Sulle  orme   di

S. Massimiliano  Kolbe


Sulle  orme   di  S. Massimiliano  Kolbe

Itinerario di formazione per la consacrazione all’Immacolata


a cura di f. Bruno Pesenti


  • Itinerario di formazione per la consacrazione all’Immacolata

    Sulle  orme   di   S. Massimiliano Kolbe

    a cura di f. Bruno Pesenti


    Edizione  riveduta ad uso interno M.I.

    Trieste  2010



    INTRODUZIONE


    Queste note non sono state concepite per essere pubblicate, ma come un aiuto al sottoscritto per presentare la spiritualità della Milizia dell’Immacolata (=M.I.).

    Accostandomi ad alcuni membri della M.I. mi sono accorto che, spesso, è stata presentata loro l’appartenenza alla Milizia più come un insieme di pratiche esteriori, belle e significative, ma senza una adeguata formazione  sul contenuto dottrinale ed esperienziale della M.I. così come si ricava dagli scritti di S. Massimiliano, dalla sua vita e da tanti studi sulla sua spiritualità che si stanno moltiplicando. Infatti il suo modo di presentare il mistero di Maria e la nostra devozione a Lei si presenta con tratti originali e caratteristici, che interessano sempre di più la mariologia del dopo-concilio. 

    I nostri militi, mi sembra, non conoscono in modo abbastanza chiaro e completo questo ricco patrimonio, per cui si rischia di parlare senza la base indispensabile di alcuni dati fondamentali. 

    Queste pagine non hanno nessuna pretesa di completezza o di discorso esaustivo, ma vogliono essere un aiuto a colmare una mancanza di conoscenza delle linee essenziali della spiritualità di S. Massimiliano e della M.I.

    Naturalmente è ovvio che parlare della M.I. vuol dire parlare prima di tutto di S. Massimiliano Kolbe, di colui che Dio e l’Immacolata hanno scelto come l’ideatore e fondatore di una nuova spiritualità mariana.

    Nello stesso tempo non si può cogliere la fisionomia spirituale, lo stile di vita, la mentalità, l’opera di una persona senza tenere conto delle sue radici nazionali, culturali, religiose, sociali e familiari.

    In queste note partiremo proprio dal considerare questi vari elementi che hanno interagito nella formazione umana e spirituale di S. Massimiliano.

    Mi auguro che al termine di questo percorso appaia più bello e attraente il volto della M.I. alla quale apparteniamo o vogliamo appartenere in modo sempre più consapevole ed attivo.

    Maria Immacolata ci guidi e ci protegga!

  • Prima di introdurmi nella presentazione dell’origine della M.I., della sua spiritualità, con alcuni accenni anche alla vita di S. Massimiliano, mi sembra opportuno indicare le fonti da cui sono dedotte le informazioni che man mano andrò presentando in questa esposizione.

    Oltre a riferirmi ad alcuni studi, che altri hanno fatto sulla figura, la personalità, la spiritualità di S. Massimiliano, uno strumento prezioso per la conoscenza del Santo e della M.I. sono i suoi “Scritti”.

    Penso sia utile, quindi, una seppure breve ed essenziale presentazione di tali “Scritti”, così come li troviamo raccolti nel volume unico, edito dal Centro Nazionale M.I. nel 1997.

    In esso, a cura del p. Simbula, vi è una lunga e buona introduzione di cui mi servo, “in toto”, per fare questa presentazione.


    CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE


    Il termine “Scritti” fa pensare ad un professionista della penna, che ferma sulle carte le sue riflessioni o intuizioni in modo ordinato, dopo aver a lungo ri-flettuto. P. Kolbe fu uno scrittore, in questo senso, solo per una minima parte di quanto è raccolto nel volume succitato, vale a dire per gli articoli pubblicati nelle sue riviste. Anzi, anche molti di questi li scrisse affrettatamente, sollecitato dalle scadenze tipografiche. Paradossalmente, poi, a mio parere, questi sono i suoi scritti meno interessanti, meno originali e meno eloquenti per quanto riguarda la conoscenza dell’uomo e del Santo.

    La maggior parte delle pagine raccolte sono appunti ad uso personale e lettere scaturite da circostanze contingenti e, molto spesso, pressanti(1), scritte quasi sempre la sera tardi o la notte, dopo una dura giornata di lavoro e con la testa bollente per la febbre. Esse non rispondono ai canoni del genere epistolare, ma unicamente al bisogno di confrontarsi con i superiori o di rispondere a domande di confratelli.

    Ma, proprio perché sgorgano dalla sovrabbondanza del cuore e non da una rifles-sione meditata, ci aiutano a conoscere ciò che abitualmente bolle nell’animo e nella mente di quest’uomo.

    Precisato così il significato che il termine “Scritti” assume in relazione a p. Kolbe, mi sembra opportuna anche una parola sul loro valore teologico.

    Su questo problema esiste un’approfondito studio di E. Piacentini, OFM Conv.(2), nel quale viene riportato il giudizio di numerosi autori in proposito; inoltre, ven-gono indicati con chiarezza i criteri per determinare l’eventuale spessore teologi-co di uno scritto. Da parte mia non credo utile impostare il discorso sul valore teologico degli scritti di p. Kolbe, in termini generali. Essi, come vedremo ap-presso, sono tanti e così vari che il problema va posto di volta in volta sul singolo scritto. Anzi, spesso, in uno stesso scritto, il linguaggio assume tonalità e scopi diversi e quindi va giudicato in tale luce. Di conseguenza, in queste pagine intro-duttive sono possibili solo alcune considerazioni generali.

    P. Kolbe non è un pensatore nel senso classico della parola, uno cioè che abbia fatto dello studio o della speculazione il suo impegno primario. Egli è, essenzialmente, un mistico e un apostolo. Si interessa anche di teologia, in quan-to avverte il bisogno di tradurre in concetti teologici e di presentare ai fedeli, in un linguaggio comprensibile, le sue esperienze mistiche. Ma egli non è un teolo-go di professione, tutto dedito alla speculazione e all’impegno di tradurre in con-cetti il contenuto della rivelazione e di inquadrarlo all’interno degli schemi cultu-rali del tempo.

    I suoi scritti e il suo pensiero mantengono un vivo interesse non perché sia capa-ce di quella tessitura calma e paziente, grazie alla quale il teologo sa operare inte-ressanti mediazioni tra il dato rivelato e la cultura del tempo o perché sia partico-larmente acuto nell’operare tutti quei passaggi concettuali che aiutano il lettore a collegare le diverse verità della fede cristiana; il loro interesse nasce dal fatto che egli vive con tanta ricchezza, intensità e forza alcuni misteri della fede che sente contemporaneamente il bisogno di trasmettere ad altri le sue convinzioni e le sue esperienze.

    Il teologo, nei suoi scritti, per certi versi, tende soprattutto alla chiarezza oggettiva; p. Kolbe mira soprattutto a contagiare i propri fratelli del suo amore a Dio e all’Immacolata. Però è anche vero che, in alcuni momenti della sua vita, si fa vivo il desiderio di sintesi, di organizzare cioè all’interno del quadro della teo-logia quanto egli vive e tenta di trasmettere. Alludo agli schemi per un opuscolo composti in Giappone e al materiale “Per un libro” raccolto negli ultimi anni del-la sua vita in Polonia. Questi brani sono scritti in vista di un’opera organica, a differenza degli scritti che, normalmente, rispondono a finalità più immediate; e di questi scritti, indiscutibilmente, faremo considerazioni sullo spessore teologi-co.

    Per il momento, in modo schematico, credo si possa affermare che p. Kolbe non è un teologo di professione; tuttavia ha modo di scrivere di teologia e, di quando in quando, adotta anch’egli un metodo teologico per tradurre le sue esperienze mistiche in linguaggio accessibile ai più. Spetta pertanto al commen-tatore individuare, di volta in volta, la natura del discorso.

    Se le cose stanno così, non meraviglia che qualche studioso, nella lettura delle opere kolbiane, provi una certa delusione per la povertà del linguaggio e la forma letteraria, in genere molto scarna.

    Per un’esatta interpretazione di tali scritti può risultare utile introdurre, in questo caso specifico, il principio ermeneutico dell’asimmetria tra pensiero e lin-guaggio, tra contenuto e forma espressiva. Il pensiero va al di là del linguaggio; possiede un’eccedenza di contenuto sulla forma espressiva. In questo senso, il pensiero e il contenuto dottrinale degli scritti di S. Massimiliano, date le loro ca-ratteristiche espressive, possono essere colti solo se li leggiamo alla luce della cultura cattolica del tempo, nella quale egli è sufficientemente inserito, e della tradizione teologico-spirituale del francescanesimo, in cui egli è profondamente immerso. Inoltre, affinché le scarne espressioni dei suoi scritti acquistino vigore e vitalità, è necessario agganciare le cose ivi dette alle realtà da lui vissute e testi-moniate negli accadimenti quotidiani.

    Dopo queste doverose premesse, vediamo ora di elencare i singoli scritti di p. Kolbe e darne una rapida lettura interpretativa.

    A differenza di altre raccolte dattiloscritte, quest’opera contiene solo gli scritti autentici, vale a dire quelle pagine scritte o dettate direttamente da p. Kolbe o se non altro da lui revisionate, come ad esempio, alcuni scritti giuridici.

    ELENCO E NATURA DELLE SINGOLE SEZIONI


    LETTERE


    Rappresentano la parte più cospicua degli scritti: complessivamente sono 1028, inclusi i telegrammi(3), e sono indirizzate ai confratelli, ai superiori, ai paren-ti, ai lettori delle riviste, ai candidati alla vita religiosa, ad autorità civili ed eccle-siastiche, a ditte, a riviste e ad associazioni di vario genere.

    Trattano evidentemente degli aspetti più disparati, in quanto possono ri-spondere a domande e a problemi dei destinatari, spesso di carattere o personale o comunitario.

    In quelle ai superiori è soprattutto p. Kolbe che presenta problemi, espone le proprie opinioni, chiede consigli, fa proposte concrete.

    Altre affrontano problemi di carattere apostolico o tecnico, in riferimento alla Milizia dell’Immacolata, alle riviste, alle Città dell’Immacolata.

    Per quanto riguarda la forma letteraria, alcune sono lunghe e profonde, al-tre telegrafiche e semplici. Qualcuna viene scritta a più riprese e presenta ripeti-zioni. Non mancano però quelle ben articolate, perché frutto di un progetto o espressione di un’idea a lungo meditata. In queste ultime lettere il discorso a vol-te assume spunti di riflessione e analisi teologiche; altre volte si abbandona a slanci mistici(4). Anche in alcune lettere al fratello p. Alfonso troviamo passi a sfondo teologico.

    Pur trattando, nelle lettere, argomenti più svariati, è interessante notare come l’autore sappia ricondurre le diverse tematiche e ogni problema e questione all’unica idea ispiratrice della sua vita: l’Immacolata.


    ESERCIZI SPIRITUALI


    Si tratta di 24 pezzi(5): il primo risale al 1912, l’ultimo al 1940. Fino al 1918 non ci sono interruzioni e, normalmente, si tratta di appunti giornalieri e, qualche volta, su ogni meditazione. Altre volte sono appunti conclusivi o propositi. Non è sempre facile distinguere ciò che è proprio da quanto è solo un riassunto delle meditazioni dettate dal predicatore di turno.

    A partire dal 1937, cioè dopo il rientro a Niepokalanów, gli appunti degli Esercizi contengono sottolineature delle Costituzioni dell’Ordine e della stessa Regola; egli insiste soprattutto su quei passi che descrivono i compiti del p. Guardiano, segno evidente della serietà con cui ha assunto questo incarico. Riporta inoltre molti propositi di Esercizi passati e brani di lettere del suo Diret-tore spirituale.

    In tutti questi appunti, a partire dai primi fino agli ultimi, trovo una certa continuità nelle tematiche: propositi di fiducioso abbandono in Dio, volontà di superare la pigrizia, di mantenere sempre desto il proposito della santità. Se negli anni giovanili prevalgono gli elementi desunti dal predicatore, in quelli della maturità è evidente il prevalere dell’elemento personale.


    MEDITAZIONI


    Sono raccolte in un unico numero(6), suddiviso in varie lettere dell’alfabeto (da A fino a I ). Vanno dal 7 dicembre 1917 all’indicazione dell’anno 1925, sen-za che segua, in quest’anno, alcuna nota. Nelle sue intenzioni si sarebbe dovuto trattare di un breve appunto giornaliero.

    Fino al mese di giugno del 1920 si nota una buona fedeltà, ma dopo il 16 giugno del 1920 fin ad agosto del 1921 c’è un vuoto completo.

    Nel 1921 troviamo tre appunti in agosto, due in settembre e uno a novembre. Vengono saltati completamente gli anni 1922-24 e si concludono, come già detto, con l’indicazione dell’anno 1925.

    E’ evidente che, una volta immerso nel vortice dell’attività, egli non riesce più a trovare quei momenti necessari per mettere sulla carta brevi appunti che riassumano i contenuti delle sue meditazioni e riflessioni.

    Le riflessioni sono telegrafiche: si tratta di richiami. Lo spunto è preso da varie occasioni: la festa liturgica del giorno, la predica ascoltata in cappella, una frase sentita da un confratello, da un professore. Più spesso ancora egli annota le ispirazioni del suo cuore, i pensieri più cari alla sua anima. In questi appunti sono preferiti i temi più familiari a p. Kolbe e diventano uno stupendo specchio della sua anima.

    Quest’opera è fondamentale per conoscere la spiritualità dell’autore e indi-viduare i principi su cui egli costruisce la propria maturazione umana, cristiana e religiosa-francescana; infatti vi ritornano con insistenza martellante le sue con-vinzioni più profonde, i propositi più convinti, le cose che maggiormente sente proprie. Inoltre, analizzando i propositi su cui maggiormente insiste, si possono individuare anche i difetti contro cui deve combattere di più(7).




    APPUNTI DI CRONACA


    Il primo appunto è del 29 gennaio 1918, l’ultimo del 23 settembre 1938, che è l’unico di quell’anno. Tutti insieme ricoprono l’arco di ben 20 anni, ma. non sono distribuiti in modo uniforme nei singoli anni. Sono relativamente ab-bondanti fino al 1920, cioè fino alla malattia che lo porterà al sanatorio di Zako-pane. Del 1921 troviamo qualche appunto solo nel mese di agosto. Viene saltato completamente il 1922. Riprendono nel mese di luglio del 1923 e fino al novem-bre di quest’anno sono abbondanti. Negli anni 1924-27 sono pochi. Abbondanti invece nel 1928; pochi ancora nel 1929, diventano abbondantissimi nel 1930, in quanto ci sono le annotazioni dei viaggi per preparare la missione in Giappone e dello stesso viaggio a Nagasaki.

    Gli appunti di cronaca nell’edizione degli “Scritti” sono riassunti in cin-que numeri (988-992), suddivisi in varie lettere.

    Lo scopo di questi appunti è indicato da p. Kolbe stesso: “Alla massima gloria possibile di Dio mediante l’Immacolata” (8). “…Mi accingo nuovamente a prendere nota delle più importanti impressioni e dati della vita ….affinchè, rileggendo queste annotazioni, io corregga gli errori e non trascuri il bene…” (9).

    Le annotazioni di questi appunti riguardano le cose più varie, liete e tristi, religiose e profane, di vita spirituale e apostolica, personali e comunitarie, e non solo quelle che interessano personalmente p. Kolbe, ma anche altre riguardanti più direttamente confratelli, familiari, ecc. 

    Gli appunti di cronaca sono molto importanti per conoscere la sua perso-nalità e i problemi che gli stanno maggiormente a cuore. Alcune annotazioni af-frontano temi di fondo sulla spiritualità francescana(10), sull’Immacolata(11) e sulla M.I.(12)


    ARTICOLI


    Questa sezione degli “Scritti” consta di 254 pezzi(13). Gli articoli li possiamo dividere in quattro categorie:

    1) le note della Redazione: richiamano lo scopo apostolico della rivista con la quale egli vorrebbe raggiungere soprattutto i non credenti. Confessa di volersi porre in un atteggiamento di dialogo e di benevolenza con tutti i non-cattolici, di accettare di discutere le loro obiezioni contro la fede(14); dialoga con i lettori sulle difficoltà economiche della rivista e chiede candidamente il loro aiuto, manifestando contemporaneamente la sua volontà di offrire gratis la rivista a chi non ha mezzi materiali; incentiva la diffusione offrendo sconti e premi(15) 

    2) gli articoli catechetici: affrontano tematiche filosofiche, teologiche, liturgiche, morali, mariane e francescane. Non mancano spunti su questioni sociali e te-mi di carattere missionario. In essi p. Kolbe traduce la dottrina cristiana in modo facile, lineare, partendo dall’esperienza e dal senso comune, in dialogo con le altre religioni(16). Qualche volta l’esigenza di chiarezza lo conduce a semplificare un po’ troppo(17).

    Tra gli articoli catechetici mi sembra di poter inserire anche quelli che, appa-rentemente, potrebbero sembrare d’attualità. Anche in questi, la finalità è essenzialmente catechetica.

    3) presentazione di modelli concreti: p.Kolbe intuisce la verità di quanto dirà più tardi esplicitamente PaoloVI: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testi-moni”(18) e da qui il richiamo ad alcuni modelli concreti: p. Venanzio(19) Benedetto XV e Pio XI(20).

    4) vita della M.I.: in questa rubrica presenta la M.I. nella sua natura e finalità e informa sulla sua diffusione.


    INEDITI


    Questa parte degli scritti, 57 pezzi in tutto(21), raccoglie le conferenze tenute a Cracovia, nella Sala Italiana, negli anni 1919-21 e altre conferenze tenute più tar-di e che hanno per oggetto la M.I.: la storia della fondazione, la natura e le altre specificazioni, l’attività. La presente sezione include anche i profili di due dei sette confondatori della M.I.: f. Antonio Mansi(22), p. Girolamo Biasi(23), le ricerche e le testimoninze su p. Venanzio(24), molti articoli preparati per le riviste, ma che, per un motivo o per l’altro, non furono pubblicati; gli schemi composti in Giappone in vista di un opuscolo sulla dottrina cristiana e altri schizzi a sfondo mariano.

    E’ una sezione molto importante per la conoscenza della M.I.(25-26)


    PER UN LIBRO


    Questa parte degli scritti, costituita da 31 pezzi(27), forse è la più importante per la conoscenza del pensiero mariano del p. Kolbe, in quanto contiene gli schemi e i pezzi scritti espressamente allo scopo di presentare, in modo organico, il suo pensiero sull’Immacolata.

    Egli pone mano a tale lavoro per realizzare una sua vecchia aspirazio-ne(28) e aderire all’invito del Ministro Provinciale(29). L’opera doveva comporsi di due parti: la prima avrebbe dovuto approfondire il mistero di Maria, la seconda presentare in tutti i suoi aspetti la M.I. In realtà riesce ad offrirci solo degli schemi provviso-ri e qualche pezzo ancora da ritoccare e da collocare nell’insieme dell’opera.

    Nonostante la frammentarietà e la provvisorietà dei brani, questo scritto è importante, perché rappresenta il tentativo più ampio del p. Kolbe di porre ordine e dare fondamenti teologici alle sue riflessioni e alle sue esperienze spirituali ed apostoliche. E’ vero che gli schemi e i brani “Per un libro” riguardano diretta-mente il suo pensiero mariologico, dato che il libro in programma ha come tema l’Immacolata Concezione, il mistero a cui egli è più interessato. Ma per meglio comprenderlo, contemplarlo e tentare di spiegarlo agli altri, egli sente il bisogno di collocarlo all’interno degli altri misteri della fede cristiana. Oltretutto non sa-rebbe stato possibile percorrere un’altra strada, perché i misteri della nostra fede sono profondamente collegati tra di loro, avendo come unica fonte Dio Uno e Trino.

    E’ da sottolineare inoltre che, pur essendo presente in lui il momento teo-rico-speculativo, p. Kolbe è interessato soprattutto a vivere il mistero di Maria e ad annunciarlo al popolo. Ecco perché troviamo un intimo nesso tra la dottrina teologica, la spiritualità e le linee operative della sua attività apostolica. 

    Usa il metodo deduttivo che, partendo dalla visione di Dio Uno e Trino, arriva a spiegare l’esperienza dell’uomo.


    PERSONALI


    Si tratta di 37 pezzi(30) su argomenti disparati. E’ superfluo osservare che al centro dei pensieri che egli annota su santini e su quaderni per i confratelli c’è la Vergine Immacolata(31).


    SCRITTI GIURIDICI


    Sono 18 pezzi(32): 5 riguardano la M.I. o nei suoi fondamenti o nella sua organizzazione  generale o in quanto può essere strutturata in vari circoli. Gli altri riguardano l’organizzazione generale(33) di Niepokalanów in quanto comunità religiosa o nei suoi vari settori di lavoro(34).

    In questi scritti, in cui potrebbe essere stato aiutato dai confratelli, emer-gono due caratteristiche importanti: una lucida visione d’insieme dei problemi e, contemporaneamente, una particolare attenzione ai dettagli.


    INVENZIONI


    L’ultima sezione riguarda tre(35) ricerche o progetti di invenzioni scientifiche: sull’etereoplano ed altri apparecchi, sui telegrafi scriventi e sul numero delle operazioni in matematica.

    Non sono in grado di valutare la portata scientifica di questi brani, ma posso ricordare che essi risalgono al periodo della sua giovinezza e che furono esami-nati da un noto fisico e matematico del tempo: p. Giuseppe Gianfranceschi(36-37).

  • Dopo questa premessa necessaria, incominciamo a prendere in considera-zione gli elementi citati nell’introduzione: la patria, la famiglia, l’Ordine, ecc., come componenti importanti che hanno contribuito remotamente alle origini del-la M.I. Vediamo di passarli in rassegna per comprendere meglio l’intuizione del Kolbe e la sua realizzazione. 

    Naturalmente sarà uno sguardo non del tutto esauriente, ma cercherò che sia, per quanto possibile, sufficientemente completo.


    LA  POLONIA(1)


    Incominciamo dall’aspetto più ampio: il paese geografico, la Polonia del tempo di S. Massimiliano.

    Quando egli nasce, la Polonia non è uno Stato indipendente; da quasi un secolo infatti era occupata e dominata da potenze straniere. Nonostante questo, formava una nazione saldamente unita e ben caratterizzata.

    La storia della Polonia è stata molto tribolata. Per la sua posizione geo-grafica, la mancanza di confini naturali determinati e sicuri (è aperta all’est e al-l’ovest), situata nel cuore dell’Europa settentrionale, è stata da sempre percorsa da invasioni di eserciti. Questo però ha contribuito a forgiare il carattere forte e tenace del popolo.

    Basta ricordare le lotte contro i Mongoli e i Tartari, che, dal cuore dell’A-sia, si lanciarono contro l’Europa; quella contro i Cavalieri Teutonici e gli Svede-si del nord; quella contro i Turchi, culminata con la battaglia di Vienna (1683) quando la leggendaria cavalleria polacca del re polacco Giovanni Sobieski fermò definitivamente l’avanzata degli eserciti turchi.

    Durante il 1700 i tre grandi Stati confinanti di allora, e cioè Russia, Prus-sia e Austria, attaccarono a più riprese la Polonia da tutti i lati e se ne spartirono il territorio.

    Nel 1795, la Polonia cessava di esistere come Stato autonomo e il Con-gresso di Vienna del 1815 ne sanzionò l’estinzione. Si crearono così almeno tre situazioni:

    a) la zona ovest, vicino alla Germania, che risentì di un piano sistematico di germanizzazione, alimentato anche dal protestantesimo; questo processo non fu mai accolto dai Polacchi che anzi fecero sempre resistenza, anche perché esso tendeva ad eliminare il cattolicesimo in favore del protestantesimo e la cultura polacca in favore della cultura tedesca. Cultura e religione sono per i polacchi due elementi intrinsecamente uniti.

    b) la zona est, vicino alla Russia, dove si trovava anche il paese natale di S. Massimiliano. In questa zona il governo russo e la Chiesa ortodossa tentarono con ogni mezzo di soffocare la lingua nazionale polacca, la tradizione culturale e il cattolicesimo. Il duro regime imposto diede origine anche a sollevazioni popo-lari.

    c) la zona sud, appartenente all’impero austro-ungarico con le città di Cra-covia e di Leopoli: questa zona ebbe condizioni di vita più tollerabili, poté man-tenere la religione cattolica, la cultura e l’eredità nazionale polacca.

    Nonostante questi smembramenti e queste divisioni, lo spirito nazionale polacco non si piegò, anzi si irrobustì insieme all’unità morale e alla cultura.

    La fede cattolica professata e sostenuta da un clero eroico ha contribuito moltissimo a questa resistenza e a questa unità. Caratteristica della religiosità polacca è sempre stata la profonda devozione a Maria “Regina della Polonia”.

    Giovanni Paolo II nella sua visita del 1979 ebbe a dire che non si può capire la storia della Polonia senza Cristo e la Chiesa.

    La Polonia riacquista l’indipendenza politica, come Stato, dopo la prima guerra mondiale (1920). Nel nuovo Stato la vita comincia a riprendere con fatica e con molte difficoltà, soprattutto economiche. Nel periodo tra le due guerre crescono minoranze religiose non cattoliche che fanno sentire il loro peso anche senza minacciare l’unità del paese: sono il laicismo, la massoneria, gli ebrei. Questi ultimi in particolare (erano il 10% della popolazione) formano il grosso della classe borghese (medici, avvocati, banchieri, commercianti), sono molto attaccati alla loro religione e hanno un peso rilevante nella vita dello Stato.


    LA     FAMIGLIA(2)


    In questo Paese, come l’abbiamo presentato, vive e opera la famiglia di S. Massimiliano. Una famiglia umile, di operai addetti alla tessitura, una della indu-strie più fiorenti a Lodz. Le fabbriche sono in mano ad ebrei i quali distribuisco-no molto lavoro nei villaggi: “lavoro a domicilio”, “in nero”, a cottimo e senza alcuna assistenza sociale. La retribuzione è molto modesta; consente di mantene-re la famiglia, ma non ricompensa certo il duro lavoro. Comunque, visti i tempi, ci si adatta.

    I genitori di S. Massimiliano, Maria e Giulio, sono ferventi cattolici. La madre avrebbe voluto abbracciare lo stato religioso e da giovane pregava: “Piut-tosto morire che arrivare all’età del matrimonio. Tuttavia, o Signore, non voglio imporvi la mia volontà, se i vostri disegni saranno altri; datemi almeno un ma-rito che non bestemmi, che non beva alcool, che non vada all’osteria per diver-tirsi. Questo, o Signore, lo chiedo incondizionatamente”(2). Questa preghiera gio-vanile ci fa capire il clima religioso della famiglia... Dio porta avanti i suoi piani e a 21 anni Maria sposa Giulio Kolbe, di un anno più giovane, ma veramente rispondente ai suoi desideri: cattolico fervente, frequenta la chiesa, si comunica alla domenica, appartiene al Terz’Ordine francescano.

    I giovani sposi danno vita ad un piccolo laboratorio di tessitura a Zdunska Wola: una sala in affitto dove sistemano in un angolo la cucina, nell’altro i telai e dietro una tenda i letti, due armadi e, tra questi, secondo l’uso delle famiglie po-lacche, una specie di altarino con l’immagine della Madonna. In questa stanza-laboratorio, ritirata la materia prima in città, marito e moglie lavorano dal mat-tino alla sera, chini sui telai, senza contare le ore, pur di guadagnare qualcosa.

    In questo luogo nasce Massimiliano (Raimondo) l’8 gennaio 1894. Due anni prima era nato Francesco. I figli e il lavoro, data la ristrettezza del luogo, fanno decidere i Kolbe a trasferirsi a Pabianice, dove prendono in affitto una casa. Spostano qui il laboratorio e aprono anche un negozietto, gestito da Maria, dove si può trovare di tutto. A Pabianice, nel 1896, nascono Giuseppe, Valentino e Antonio, ma gli ultimi due non sopravvivono.

    Qui migliorano anche la situazione economica: possono prendere una casa più comoda, conservano il laboratorio e il negozio e Maria fa la levatrice.

    Giulio e Maria sono una coppia armoniosa e felice che trasmette ai figli una religiosità intensa e una disciplina severa. Come ogni famiglia, ha le sue pro-ve: dapprima il duro lavoro, poi la morte di due figli, i vari trasferimenti...

    Francesco, Raimondo e Giuseppe sentono la vocazione alla vita religiosa ed entrano tra i Francescani Conventuali. Rimasti soli, i due coniugi maturano anni di intensa vita spirituale e di perfezione cristiana. Dopo la partenza dei figli, a Maria rispunta l’antico sogno e, d’accordo con il marito, si trasferisce a Leopoli presso le suore Benedettine. Poi segue i figli a Cracovia e prende dimora fissa tra le suore Feliciane, terziarie francescane.

    Giulio, da parte sua, liquidate le sue cose, entra come oblato nel convento francescano di Cracovia, ma vi rimane per poco. Si trasferisce a Czestochowa dove apre un negozietto di articoli religiosi e opera con il movimento di libera-zione della Polonia. Nel 1914, scoppiata la guerra, dà il suo nome e parte con i volontari per il fronte russo. Fatto prigioniero, perquisito e trovato in possesso di un passaporto russo, è impiccato come traditore.

    Francesco, il fratello maggiore di Massimiliano, non sa resistere al richia-mo delle legioni di volontari che insorgono contro gli oppressori. Combatte per tre anni riportando varie ferite. Una volta guarito, vorrebbe tornare in convento, ma ne viene dissuaso. Nella seconda guerra mondiale cospira contro i tedeschi e nel 1943 viene arrestato e imprigionato.

    Raimondo ( il futuro p. Massimiliano) è un temperamento vivace, focoso, portato a reazioni repentine, talvolta anche all’ostinazione. Certo, deve lottare molto contro questo suo carattere per divenire dolce e mite come appare e come lo presentano le varie testimonianze. 

    L’episodio fondamentale della sua fanciullezza che merita di essere ricor-dato è senza dubbio l’apparizione delle due corone: Mi sembra che è da ricercare qui il seme di quanto poi lo Spirito e l’amore all’Immacolata farà sbocciare nell’intuizione e nell’inizio della M.I. Questo fatto non fu mai rivelato dal p. Kolbe, ma custodito gelosamente e raccontato dalla madre dopo la morte del figlio, nel 1941. Ecco il suo racconto: “Ho sempre saputo che il p. Massimiliano Kolbe sarebbe morto martire, grazie ad un evento straordinario avvenuto nella sua fanciullezza, anche se non ricordo se accadde prima o dopo la sua prima confessione. Una volta fece qualcosa che non mi piacque e gli dissi: “Piccolo mio, non so cosa ne sarà di te!” Poi non feci più caso a quello che avevo detto. 

    Mi accorsi ben presto che mio figlio stava cambiando, ma così tanto che stentavo a riconoscerlo. In casa avevamo un piccolo altare nascosto, dove spesso lui si rifugiava. Generalmente il comportamento di Massimiliano era più maturo della sua età. Era sempre raccolto, serio e pregava con le lacrime agli occhi. Ero preoccupata che fosse malato, così gli domandai: “Cosa c’è che non va?”, e insistevo: “Devi dire tutto alla tua mamma”.

    Lui, tutto tremante e con le lacrime agli occhi, mi disse: “Quando mi hai detto “cosa ne sarà di te?”, ho pregato ardentemente la Madonna di dirmi cosa ne sarebbe stato di me. E più tardi, in chiesa, ho pregato di nuovo. Poi la Vergine Madre mi è apparsa tenendo in mano due corone, una bianca e una rossa. Mi ha guardato con amore e mi ha chiesto se le volevo. Quella bianca significava che sarei rimasto puro e quella rossa che sarei diventato un martire. Ho risposto di sì, che le volevo. Allora la Vergine mi ha guardato teneramente ed è scomparsa. Ora, ogni volta che vado in chiesa con te e papà - mi disse - immagino che non siate voi due, ma S. Giuseppe e la Madonna. 

    Lo straordinario cambiamento del mio ragazzo testimoniò la verità dell’evento. Pensava continuamente a questo e, se mai ce ne fosse stato bisogno, mi parlava con un volto splendente del suo desiderio di morire martire”(4).

    Le parole della madre dicono bene quel “qualcosa di nuovo” che si è pro-dotto nel ragazzo. Non si può non cogliere in questo episodio il modo di agire di Dio che si serve di piccole cose, come un rimprovero amorevole, per toccare il cuore e trasformarlo secondo i suoi disegni d’amore. E d’altra parte ha trovato in Raimondo una risposta generosa, certamente anche per la formazione ricevuta in famiglia.

    Il cugino di Massimiliano, Francesco Langer, ricorda: “Mio cugino Rai-mondo aveva lo stesso carattere di sua madre: sempre sorridente. Amava stare in chiesa a pregare, proprio come lei. Mia madre diceva sempre che, quando qualcuno non trovava sua sorella Maria, poteva cercarla solo in un posto: in chiesa. I miei genitori erano molto affezionati a Giulio e Maria e siamo andati molte volte avanti e indietro a trovarli finché non si trasferirono. Ricordo Raimondo come un ragazzo sano, ben proporzionato e allegro. Non abbiamo mai litigato durante i nostri giochi. Tutto sommato lo definirei un ragazzo buono come ce ne sono pochi. So che mia madre lo prendeva a modello e lo esaltava ai nostri occhi perché noi, suoi figli, lo prendessimo ad esempio(5).

    Raimondo: un ragazzo indipendente, che amava divertirsi e che parlava apertamente con Dio senza il minimo imbarazzo, come dimostra questo ricordo di un suo compagno di giochi: “Sul finire del giorno, Raimondo e i suoi amici erano diretti a casa, strascicando i piedi lungo i marciapiedi e sfiniti dal gioco. Era passata da un bel po’ l’ora in cui Raimondo avrebbe dovuto rincasare. Quando si decise, preoccupato per quello che avrebbe fatto sua madre, chiese umilmente agli altri: “Me lo fate un favore? Dite un’Ave Maria con me affinché mia madre non mi punisca oppure mi punisca solo un pochino?” (6).

    Raimondo segue la formazione scolastica e religiosa e, dopo il ciclo ele-mentare, avrebbe dovuto fare gli studi commerciali per aiutare i genitori nel ne-gozio. La Provvidenza vuole invece che il farmacista di Pabianice si offra di mantenere Raimondo agli studi classici. Ricorda ancora la mamma: “Un giorno ci fu una paziente che aveva bisogno di un impiastro e mandai il mio piccolo Raimondo in farmacia per comperare il necessario. Quando mio figlio chiese della <vencon greca>, il farmacista gli domandò come mai conoscesse quel nome. Raimondo gli rispose: “Perché è il modo in cui viene chiamata in latino”.

    “Ma come fai a sapere che ha questo nome, in latino?” “Perché andiamo a casa del prete e impariamo il latino”.

    Il farmacista continuò a fare domande: come si chiamava, dove abitava e che scuola facesse.

    Raimondo gli disse che suo fratello maggiore stava frequentando la scuola. Poi aggiunse: “Se il buon Dio lo permette, diventerà un prete. Ma io devo dare una mano a casa. I miei genitori non possono mandarci a scuola tutti e due. Non hanno abbastanza soldi.

    Allora il farmacista disse: “Ragazzo mio, lasciarti così sarebbe un peccato. Vie-ni da me. Ti darò io delle lezioni. Per la fine dell’anno tu sarai al pari di tuo fratello e farai gli stessi esami”. Stabilirono l’orario delle lezioni. Dopo ciò, il mio Raimondo volò da me come se avesse avuto le ali. Con grande gioia mi disse quale cosa meravigliosa gli era accaduta. E infatti, da quel giorno in poi, andò dal farmacista per le lezioni. Questo uomo buono e mandato da Dio lo preparò in modo tale che egli non solo raggiunse il fratello maggiore, ma furono pro-mossi insieme agli esami” (7).

    Segue quindi la prima formazione nel collegio francescano di Leopoli fi-no alla professione semplice. Poi lo troviamo a Roma per gli studi filosofici e teologici, come vedremo più avanti.

    Per avere un quadro d’insieme della sua vita e della sua opera rimando all’appendice I°.

    Dalla famiglia S. Massimiliano assorbe valori fondamentali:

    - un forte senso di appartenenza alla Polonia;

    - un grande amore per la Chiesa che sempre ha operato per l’unità morale dei polacchi;

    - una forte religiosità vissuta;

    - una solida pietà mariana;

    - lo spirito di sacrificio, di rinuncia, di povertà, di obbedienza.


    L’ORDINE


    Nella formazione di S. Massimiliano ha un posto e un peso molto impor-tante quanto egli ha ricevuto nell’Ordine francescano.

    Qual è la situazione dell’Ordine al tempo del nostro Santo?

    Siamo grosso modo negli anni che vanno dall’ultimo decennio del 1800 al primo ventennio del 1900. Il periodo dal 1890 in poi fino alla prima guerra e alla ripresa successiva è stato per l’Ordine, come per gli altri Istituti, un momento, per così dire, “magico” di fermento e di rinnovamento, di vera volontà di crescita quantitativa e qualitativa in tutto l’Ordine. Si può dire che era appena passato il ‘periodo nero’. Infatti, con le varie soppressioni napoleoniche e dei governi ita-liani il nostro Ordine in particolare era stato decimato. Avevamo perso tanti conventi e chiese nelle città, adibite a caserme o depositi; tanti frati erano ridotti allo stato di preti secolari. Nel 1893 c’erano solo 1481 religiosi in tutto l’Ordine.

    Già però si era messa in moto la ripresa in tutti sensi: vocazioni, riapertura di conventi, ripresa degli studi, apertura di missioni, tanto che nel 1936 l’Ordine era già triplicato. In questa ripresa si può continuare la grande tradizione filoso-fica, teologica, spirituale, culturale dell’Ordine: un patrimonio consolidato lungo i secoli. Tutto questo è riportato in evidenza grazie all’azione illuminata sia di Ministri Generali sia di santi frati dediti allo studio e alla formazione dei giovani.

    Si può dire allora che lo stato generale dell’Ordine è buono, è in ripresa, c’è una buona vita religiosa, anche se improntata allo stile tridentino-piano: la regolare osservanza.

    Su questo punto, leggendo alcuni scritti del Santo, si potrebbe avere anche un’idea diversa, nel senso che, spesso, egli fa notare ai Superiori una certa rilas-satezza, un affievolimento dello spirito genuino di Francesco d’Assisi.

    I santi sono sempre così: sempre proiettati in avanti, verso il meglio. Vedono le cose da Dio e perciò sono santamente impazienti di correre verso la perfezione e di coinvolgere tutti in questa corsa. Ecco il senso da dare alle parole del Santo. D’altra parte senza questi continui stimoli c’è il pericolo di adagiarsi in una “routine”, nell’abitudinario che svilisce anche le realtà più sante, come può essere la vita consacrata a Dio. E questo pericolo il Santo lo notava. Occorre quindi raccogliere questo suo richiamo alla genuinità, alla radicalità: non basta crescere di numero e in attività, ma deve crescere parimenti la qualità.


    LA FORMAZIONE NELL’ORDINE(8)


    In questo Ordine che è in ripresa vigorosa, ma anche con qualche segno di stasi, la formazione che viene impartita ai giovani religiosi è quella tradizionale delle scuole e dei seminari ecclesiastici, improntata al Concilio di Trento e al Concilio Vaticano I. In tale formazione è prevalente la preoccupazione apologe-tica e difensiva di fronte alla teologia protestante e al razionalismo di matrice illuministica.

    La frattura tra aree culturali diverse, iniziata con la riforma protestante, si è allargata sempre di più, soprattutto tra cultura cattolica e quel pensiero laico che accentua il suo contenuto antireligioso e anticattolico in particolare. 

    Questo produsse una chiusura totale tra i due mondi e la teologia non assunse apporti nuovi, perché considerati estranei o del tutto contrari ad essa.

    Lo sviluppo della scienza e delle sue conquiste spettacolari venne guardato dalla “teologia” (= Chiesa, intellettuali cattolici) con estrema diffidenza perché troppo spesso innestato su una base ideologica non accettabile.

    Il predominio della polemica nella teologia produsse un restringimento di orizzonti, un eccessivo concettualismo che distacca la riflessione teologica dalla vita concreta. I manuali di studio, i libri, i testi ripetono con precisione “le tesi”, cioè la dottrina, l’insegnamento del passato, così come sono stati tramandati; il magistero della Chiesa, specie dei Papi, assorbe quasi del tutto ogni fattore crea-tivo del progresso teologico. In altre parole, per paura di errori, non è lasciata libertà di ricerca e di approfondimento ai singoli, ma tutto è ricevuto dall’alto.

    Anche la formazione spirituale, ecclesiale risentono del clima e delle scel-te del tempo. Non possiamo certo guardare e giudicare questi atteggiamenti con le categorie di oggi, in modo assoluto, perché sbaglieremmo, essendo il nostro un altro clima e essendo diversa la situazione. Allora andava bene così!

    Era una formazione rigida, tutta inquadrata e squadrata in una intelaiatura di sapore religioso-militaresco, evidentemente con poco spazio alla libertà e all’ini-ziativa personale. Era un sistema educativo ereditato, e via via aggiornato, da Pio X e Benedetto XV, dall’impostazione tridentino-piana fatta di austera metodicità, disciplina ascetica e vigilanza.

    Oggi, dopo il Vaticano II, diciamo che così non è possibile formare, ma quest’ educazione esigente, non dimentichiamolo, ha formato Santi!!!

    La vita spirituale non era illuminata dalla teologia in modo adeguato. Tra lo studio e la vita concreta vissuta pareva esistesse una distanza incolmabile, cau-sata dall’eccessivo “nozionismo” e dalla mancanza di prospettiva storica. Solo una salda e profonda formazione personale, interiore riusciva a superare queste distanze.

    Massimiliano, per grazia di Dio, ebbe questo supplemento di formazione, se così possiamo dire, grazie anche a grandi educatori, in particolare p. Stefano Ignudi, che lo aprì all’amore al Papa, alla Chiesa, alla lotta coraggiosa contro coloro che erano gli avversari, alla devozione robusta e filiale verso Maria, alla disciplina e all’ascesi severa.

    Ecco una testimonianza di p. Giuseppe Pal, amico carissimo di p. Massi-miliano, sul suo periodo romano: “Nel 1913 sentii dire da alcuni compagni studenti che avevamo un santo tra noi. Chiesi ad un frate italiano di indicarmelo. Da allora, fino al 1919 quando ci separammo, vidi cose delle quali nemmeno le parole avrebbero potuto convincermi.

    L’amore fraterno di Massimiliano era davvero come quello del Vangelo. Quando nelle nostre conversazioni parlavamo di quanto poco venissero osserva-te le regole nel nostro Collegio Francescano, mi diceva di pregare per i peccato-ri. Soffriva nel vedere gli altri trasgredire le regole...Lui le osservava così atten-tamente...

    Il suo amore per l’Eucaristia e per Maria toccava il suo grande cuore fin nelle fibre più profonde. O prima o dopo ogni ora di lezione, visitava Gesù nel tabernacolo. Poiché entrambi avevamo problemi di salute, facevamo delle pas-seggiate con il permesso del Rettore... Andavamo a visitare varie chiese dove era esposto il Santissimo Sacramento per l’adorazione, specialmente la chiesa del Sacro Cuore vicino al Colle del Quirinale, dove alcune Suore francesi avevano l’adorazione perpetua. In quella chiesa si lasciava coinvolgere completamente.

    Quando fu ordinato sacerdote e iniziò a celebrare la Santa Messa, sul suo volto si poteva leggere la sua immensa e totale partecipazione.

    La sua devozione alla Madonna era semplice e sincera. Durante le nostre passeggiate verso le chiese e, durante il ritorno, mi faceva pregare con lui il Santo Rosario e altre preghiere mariane... Era solito rivolgersi a Maria chia-mandola dolcemente: “Mamma mia”.

    Una volta, mentre stavamo tornando al Collegio, incontrammo tre o quat-tro attaccabrighe che tornavano a casa dal lavoro. Stavano bestemmiando la Madonna. Con le lacrime agli occhi, Massimiliano mi lasciò nel mezzo della strada e corse verso di loro per chiedere perché. Disorientati, risposero che si stavano sfogando. Lo chiamai dicendogli di lasciar stare. Ma lui insistette, fin-ché vinse la loro rabbia. Non ho più incontrato, in tutta la mia vita, una persona che amasse la Madonna quanto la amava Massimiliano” (9).

    Massimiliano respirò a pieni polmoni il clima della grande tradizione teo-logica-spirituale francescana che ha i suoi interpreti migliori in S. Bonaventura, in Scoto e in tanti altri. In particolare ricevette la dottrina mariologica, portata avanti dall’Ordine, a sostegno e difesa dell’Immacolata Concezione. Sarebbe interessante qui vedere tutto il capitolo della storia dell’Ordine che riguarda la vi-sione e la dottrina su Maria in S. Francesco e nell’Ordine. Per chiarezza di espo-sizione lo faremo più avanti quando tratteremo il pensiero di S. Massimiliano sull’Immacolata.

    Prima di concludere questa visione panoramica che compone il quadro entro cui si situa l’origine della M.I., volevo toccare un ultimo elemento, certo non secondario nella formazione di p. Kolbe .


    LA CITTÀ di ROMA(10)


    Nel 1912 Massimiliano, con altri compagni, chierici della Provincia po-lacca, arriva a Roma per compiere gli studi filosofici e teologici nel nostro Col-legio Internazionale, situato allora in via S. Teodoro: un posto centrale, vicino al Vaticano, alle grandi università ecclesiastiche e alla Roma antica.

    Quale città trova il giovane chierico? Quale clima si respira nella Città eterna?

    La Roma incontrata da p. Kolbe era la cosiddetta “Terza Roma”, quella, cioè, dell’unità d’Italia, di “Roma capitale” del 1870. Questa Roma viene dopo la Roma classica degli imperatori e la Roma papale. Una città di proporzioni mode-ste, allora, rispetto a quelle di oggi, ma in progressivo ampliamento e rinnova-mento edilizio (ca. 600.000 ab.).

    A livello socio-politico, come un po’ in tutta Italia, furoreggiava l’anticle-ricalismo liberal-massonico. Erano tempi di permanente conflitto, di contrappo-sizione frontale tra il Papato e la Chiesa da una parte, e il nuovo impero. Un continuo stillicidio di leggi anticlericali del Parlamento, divieto ai Vescovi nomi-nati dal Papa di entrare in diocesi, attacchi e oltraggi di parlamentari nei con-fronti del Papa e della Chiesa.

    L’anticlericalismo politico era poi regolarmente comunicato alle masse, specie a quelle operaie. Già agitate nella loro situazione socio-economica, dalle lotte di classe, nella iniziata rivoluzione del lavoro, tra fermenti e miserie di tanta gente, tra l’emarginazione dei disoccupati e l’agitazione degli anarchici e degli scioperanti, queste masse si associavano volentieri a cortei e manifestazioni anti-Chiesa, proprie del socialismo marxista e della massoneria; manifestazioni che si scatenavano per ogni documento o movimento o manifestazione della gerarchia e delle forze cattoliche.

    Molta parte del mondo del lavoro era fortemente segnata dall’ateismo.

    A livello religioso si comprende quindi la situazione delle masse. Regnava l’ignoranza e vi si aggiungeva l’inganno dei politicanti che la strumentalizzava-no. In questo clima però si irrobustiva la religiosità popolare, cresceva il deside-rio di istruzione e si diffondevano le organizzazioni cattoliche.

    A livello culturale l’ambiente, specie quello scolastico (scuole superiori, università) non era dei migliori. Già si erano fatti sentire anche in Italia gli in-flussi dell’illuminismo razionalista del 1800, del positivismo, e del materialismo marxista. Nei primi anni del secolo si immettevano nella cultura dell’Italia post-unitaria l’idealismo hegeliano con Croce e Gentile, la nuova cultura dello scien-tismo e tecnicismo nell’esaltante progresso delle nuove invenzioni e scoperte, che spingevano i benestanti ad una vita sempre più elevata, contro la povertà dei più. Dominanti erano il positivismo e il laicismo radicale, che contribuirono alla dissacrazione della Tradizione e della concezione cristiana della vita.

    In questo clima generale la Chiesa (Papa e clero) e i fedeli cattolici non stavano inerti. I Papi intervennero con ferme prese di posizione: ricordo il “Non possumus” di Pio IX (1860) sulla cessione volontaria delle terre dello Stato ponti-ficio al Regno piemontese; il “Non expedit” sul divieto ai cattolici di partecipare alla vita politica. I movimenti cattolici danno origine a varie iniziative (quali le Settimane sociali) in contrapposizione alle lotte sociali e politiche. 

    E’ da ricordare brevemente, per titoli, l’azione di due grandi Papi di questo tempo: Pio X e Benedetto XV.

    Pio X (veneto: 1903 - 1914): lasciando da parte valutazioni più o meno posi-tive sul suo operato, se giudicato con i criteri di oggi, bisogna rilevare che la sua azione fu vasta e profonda, quasi anticipatrice del Concilio Vat. II.:

    * diede maggior consistenza all’unione dell’episcopato mondiale e italiano in particolare; 

    *  rianimò la pietà, il culto, la fede; 

    * rafforzò la disciplina, la cultura, l’apostolato del clero, le vocazioni e l’azione del laicato cattolico;

    * iniziò la riforma del canto liturgico e della musica favorendo la partecipazione del popolo; 

    * fece la revisione del Salterio, del Breviario e del Messale;

    * promosse la Comunione eucaristica frequente, estendendola ai bambini;

    * organizzò la catechesi con il famoso catechismo che prende il suo nome e fondò la nuova Azione Cattolica;

    * tutelò energicamente l’ortodossia della fede contro il modernismo;

    * costruì i seminari, riformando e dando nuove norme di disciplina, di conduzio-ne, di formazione;

    * promosse gli studi biblici;

    * riformò la Curia romana;

    * compilò il Codice di Diritto Canonico, rimasto in vigore fino all’attuale, venuto dopo il Concilio Vaticano II.

    Benedetto XV (genovese 1914 - 1922): si mise sulla linea del predecessore migliorando qualche settore di governo e organizzazione, promovendo la pietà, la preghiera per la pace, l’ecumenismo, la collaborazione alle missioni; incoraggiò la fondazione dell’Università Cattolica.

    Dove operò instancabilmente e si distinse fu nell’opera di pacificazione, dando origine a varie iniziative: l’opera dei prigionieri per lo scambio e il ritorno dei veterani, la raccolta di dati, la distribuzione di aiuti, ecc.


    Ma non era solo questa la Roma che  Massimiliano incontrò. Ne parla tal-volta nei suoi scritti. Era la Roma cristiana che lo attraeva; lo affascinavano e lo riempivano di fervida ammirazione le chiese di Roma: le basiliche antiche, armo-niose e solenni, le chiese del periodo barocco. Partecipava con tutta l’anima alle celebrazioni religiose nelle varie chiese; venerava con calda devozione le reliquie dei santi: era un mondo nel quale si sentiva a casa. Le cerimonie religiose lo riempivano di gioia intensa e non lo stancavano. Lo infiammavano e lo entusia-smavano le udienze pubbliche del Papa; gli incontri con lui erano sempre un momento particolare nella vita del Kolbe ed intensificavano il suo amore filiale per la Chiesa.

    Si accorse con stupore che la grande stampa quotidiana e periodica era quasi esclusivamente nelle mani dei nemici della Chiesa. Soffriva molto per quanto vedeva accadere sempre più spesso a Roma a causa della ostilità e delle manifestazioni ingiuriose promosse contro il Papa. Erano esplosioni pianificate per opporre sempre di più l’Italia al Papa. Il culmine di questa ostilità si ebbe nel 1917, in piena guerra, quando si celebrava il IV centenario della riforma prote-stante e il II centenario della fondazione della massoneria (S.K.1328).


    CIRCOSTANZE   PROSSIME(11)


    I vari elementi descritti ci danno uno sguardo d’insieme che ci introduce a comprendere meglio l’intuizione e la fondazione della M.I.

    Vediamo ora quali sono state le circostanze prossime che hanno spinto p. Kolbe a dare inizio a questo Movimento.

    Certamente la situazione che aveva incontrato a Roma e anche il clima più generale non lasciarono insensibile l’animo di questo giovane religioso. Durante le meditazioni e le adorazioni eucaristiche, frequenti e ferventi, il Signore gli infondeva il desiderio di fare qualcosa per rispondere alla situazione concreta dell’Ordine, della Chiesa, del mondo, della società in cui viveva.

    Nella cappella del collegio dominava un grande quadro raffigurante il Sacro Cuore di Gesù che appare a S. Margherita Alacoque e una statua dell’Im-macolata.

    L’11 febbraio 1913 venne inaugurata solennemente la statua dell’Im-macolata.

    Il 30 giugno 1913, preparata da un triduo di p. Ignudi, venne fatta in modo solenne la consacrazione dell’Ordine al Sacro Cuore di Gesù. Questo fece grande impressione a p. Kolbe, perché lo introduceva nella contemplazione dell’amore di Dio, tanto che nel 1918 chiese a Gesù: “...l’amore fino a diventare vittima”.

    Nel 1914 l’applicazione dell’acqua di Lourdes impedì l’amputazione del pollice della sua mano. Questo è l’episodio: fra Massimiliano si ammalò grave-mente di un ascesso che gli invase il pollice della mano destra, scolando abbon-dante pus. Il verdetto del medico del Collegio fu perentorio: “Bisogna operare; domani faremo l’amputazione”. Era una sentenza dura per un futuro sacerdote. L’altare l’avrebbe visto menomato d’una delle dita essenziali a trattare l’ostia consacrata. Ma fra Massimiliano s’abbandonò alla volontà di Dio senza un lamento, senza una parola di recriminazione. .

    La sera passò a visitarlo il Rettore che gli raccontò di una guarigione, ottenuta da lui stesso, per un simile male ad un piede, con l’applicazione dell’acqua benedet-ta di Lourdes. Lasciò a Massimiliano una bottiglietta che portava in tasca e se ne andò.

    Il mattino seguente il medico del Collegio entrò nella stanza di fra Massimiliano per prepararlo all’intervento. “Dottore,- gli disse il malato,- credo di avere una medicina capace di guarirmi senza amputazione. Vuole applicarmela per favo-re?” Il medico guardò la bottiglietta che fra Massimiliano gli indicava, capì senza bisogno di spiegazioni di che si trattava e, poiché era un buon cristiano, si prestò volentieri a preparare l’impacco, per quanto rimanesse persuaso della necessità del bisturi. “Rimandiamo tutto a domani, allora” disse, e se ne andò. 

    Ma il giorno seguente dovette costatare che l’intervento non era più necessario. Bastarono poche medicazioni e il pollice guarì completamente (S.K. 12).

    Nel 1917, come già ricordato, la massoneria festeggiava i 200 anni della fondazione e i protestanti i 400 anni dell’inizio della Riforma. Sempre in quel-l’anno i comunisti arrivarono al potere in Russia con Lenin.

    In Italia la “questione romana” (occupazione militare dello Stato pontificio da parte del Regno d’Italia) e la confusione tra politica e religione spinsero molti, anche intellettuali, ad osteggiare la Chiesa come ne fosse la causa.

    Il 20 gennaio 1917 ricorreva il 75° anniversario dell’apparizione della Ma-donna e della conversione dell’ebreo Alfonso Ratisbonne, avvenuta nella Chiesa di S. Andrea delle Fratte il 20 gennaio 1842. S. Massimiliano parla parecchie volte nei suoi scritti di questo fatto, soprattutto scrivendone sul “Cavaliere”. Penso che sia utile riportare alcune pagine nelle quali S. Massimiliano riprende una lunga lettera del convertito in cui egli stesso racconta la sua conversione.

    “Alfonso Ratisbonne, un giovane  intelligente e ricco ebreo di Strasburgo, era stato educato lontano dalla religione. <Non credevo neppure in Dio,> scri-ve di se stesso. <Non avevo mai aperto un libro di argomento religioso>.

    Ma ascoltiamo la dichiarazione dello stesso convertito, contenuta in una lettera scritta al parroco della chiesa della SS. Vergine Maria della Vittoria a Parigi:

    <Mio fratello Teodoro, nel quale ponevo una grande speranza, era diventato cri-stiano e poco dopo era andato oltre, era diventato sacerdote e svolgeva il pro-prio servizio sacerdotale nella stessa città e sotto gli occhi della mia famiglia sconsolata. Questi gesti di mio fratello minore mi avevano disgustato enorme-mente e avevano provocato in me sentimenti di disprezzo nei confronti del suo abito e del suo stato.

    Educato fra giovani cristiani indifferenti come me, non provavo né simpatia né antipatia verso il cristianesimo. Tuttavia la conversione di mio fratello, che con-sideravo una pazzia inesplicabile, mi indusse a credere nel fanatismo dei cattoli-ci e sentivo un’avversione nei loro riguardi...

    <Terminai gli studi di diritto a Parigi, ottenni il diploma e indossai la toga da avvocato. In seguito, però, fui richiamato a Strasburgo da uno zio materno, che faceva di tutto per avermi accanto a sé...

    <Lo zio mi rinfacciava unicamente i miei frequenti viaggi a Parigi. ‘Tu ami trop-po i Campi Elisi’, mi diceva con amorevolezza. Aveva ragione. Io amavo soltanto i piaceri. Gli affari mi facevano perdere pazienza, l’atmosfera di ufficio mi sof-focava. E benché una specie di pudore innato mi tenesse lontano dai piaceri e dalle compagnie  cattive, volgari, sognavo solamente divertimenti e piaceri e mi dedicavo ad essi con passione e frenesia...

    <Ero ebreo solo di nome, poiché non credevo neppure in Dio. Non avevo mai aperto un libro di argomento religioso. Anzi, in casa di mio zio, come pure quan-do stavo con i miei fratelli e sorelle non praticavo neppure le più piccole norme del giudaismo.

    <Nel mio cuore vi era il vuoto e non ero per nulla felice in mezzo a tutta quel-l’abbondanza... Avevo una nipote, figlia del maggiore dei miei fratelli, che mi era stata destinata fin dal tempo in cui eravamo ambedue fanciulli. Era cresciuta con il suo fascino davanti ai miei occhi e io vedevo in lei tutto il mio avvenire e tutta la speranza di felicità riservata a me...

    <Debbo qui rilevare un certo cambiamento verificatosi nelle mie idee religiose all’epoca del mio fidanzamento. Come ho detto, io non credevo in niente; e in tutto questo nulla, in questa negazione di qualsiasi fede mi trovavo in piena ar-monia con i miei amici cattolici e protestanti. Tuttavia, la vista della mia fi-danzata suscitava in me un sentimento della dignità umana. Incominciai a cre-dere nell’immortalità dell’anima; più ancora incominciai istintivamente a pre-gare Dio, a ringraziarlo per la felicità; tuttavia non ero felice...Non sapevo ren-dermi conto dei miei sentimenti, guardavo alla mia fidanzata come al mio angelo buono; le parlavo spesso e, in realtà, il pensare a lei elevava il mio cuore verso Dio, che non conoscevo, che non avevo mai pregato e che non avevo mai implorato.

    <Considerammo opportuno differire il matrimonio a causa della troppo giovane età della mia fidanzata: aveva 16 anni. Dovetti, perciò, compiere un viaggio di piacere in attesa dell’ora della nostra unione.

    <Decisi di recarmi a Napoli, di trascorrere l’inverno a Malta per rinforzare la mia debole salute e far ritorno in seguito passando attraverso l’Oriente...

    <Soggiornai un mese a Napoli per vedere e annotare tutto. In particolare scrissi contro la religione e contro i sacerdoti che in quelle fortunate località mi sem-bravano del tutto fuori posto...>.

    “Contrariamente alle sue intenzioni capitò a Roma, dove si incontrò con il barone Teodoro de Bussières, che dal protestantesimo era passato al cattolice-simo, dal quale accettò con manifesta riluttanza la medaglia miracolosa. Conti-nua il convertito nella sua lettera: <Mi recai in un caffè di Piazza di Spagna per dare un’occhiata ai quotidiani... Uscendo dal caffè, mi imbattei nella carrozza del Sig. Teodoro. Egli mi invitò a fare una passeggiata. La giornata era bella, perciò accettati volentieri l’invito. Arrivati alla chiesa di S. Andrea delle Fratte, il Sig. Teodoro si scusò un momento, poiché aveva una faccenda da sbrigare in quel luogo. Mi pregò di attenderlo in carrozza; io, invece, preferii scendere per visitare la chiesa. All’interno stavano preparando un catafalco funebre; perciò chiesi a Teodoro: ‘Per chi sono questi preparativi?

    “Per il conte de Laferronays, fu la risposta, un mio buon amico morto improvvi-samente. Ecco il motivo della tristezza che lei ha notato in me in questi due giorni”.   Il Sig. Teodoro mi lasciò solo e andò a far preparare la  tribuna per la famiglia del defunto.

    Continua il Ratisbonne: <Dopo che ebbi attraversato la chiesa e fui giunto al luogo in cui si facevano i preparativi per i funerali, improvvisamente provai un’inquietudine e vidi davanti a me come un velo: mi sembrò che tutta la chiesa fosse caduta nel buio, ad eccezione di una cappella, come se tutta la luce si fosse concentrata in quel luogo. Volsi gli occhi verso la cappella dalla quale emanava la grande luce e vidi all’interno di essa, sull’altare, in piedi, viva, grande, mae-stosa, bella, piena di misericordia, la santissima Vergine Maria, simile nel porta-mento all’effigie che si trova sulla medaglia miracolosa dell’Immacolata. A quel-la vista caddi in ginocchio nel luogo dove mi trovavo; per diverse volte tentai di alzare gli occhi verso la santissima Vergine, ma il rispetto e la luminosità abba-gliante mi costringevano ad abbassare lo sguardo, il che tuttavia non mi impedi-va di vedere il chiarore dell’apparizione. Concentrai lo sguardo sulle sue mani e vidi in esse l’espressione del perdono e della misericordia. Alla presenza della santissima Vergine, benché Ella non mi dicesse neppure una parola, compresi l’orrore della situazione in cui mi trovavo, la nefandezza del peccato, la bellezza della religione cattolica, in una parola compresi tutto.

    Al suo ritorno il Sig. Teodoro mi  trovò inginocchiato con la testa appoggiata alla balaustra della cappella in cui era apparsa la Vergine e inondato di lacri-me...Tutto ciò che posso dire di me si riassume in questo: che in un istante cadde dai miei occhi un velo; anzi non uno, ma molti di questi veli che mi circondavano si dileguarono uno dopo l’altro come la neve, il fango e il ghiaccio sotto i co-centi raggi del sole. Uscivo come da una tomba, da un baratro tenebroso e diventavo un essere vivente, veramente vivo...L’amore di Dio aveva preso il posto di tutti gli altri amori, fino al punto che amavo in modo diverso anche la mia fidanzata. L’amavo come un oggetto che Dio tiene nelle sue mani, come un dono prezioso che sollecita ad amare ancor più il Donatore...” (S.K. 1057, 1315).

    Il p. Stefano Ignudi, nella meditazione del mattino di quel giorno anniver-sario, 2 gennaio 1917, parlò con molto calore e fervore di questa conversione avvenuta per “la medaglia miracolosa”. Ciò suscitò in p. Kolbe il desiderio di lavorare per la conversione dei peccatori, specie dei massoni, nel nome di Maria, come testimonia p. Giuseppe Pal, uno dei primi compagni di p. Kolbe: “Da quel momento fra Massimiliano rimase tanto convinto ed ispirato circa quello che doveva fare che mi parlava, con volto raggiante e traboccante di gioia, della potenza della Madonna manifestata nella conversione del Ratisbonne e, sorri-dendo, mi disse che dobbiamo pregare affinché la Madonna debelli tutte le eresie e specialmente la massoneria. Dal gennaio fino alle vacanze dello stesso anno ritornava spesse volte sullo stesso argomento. Io, come prefetto del collegio, dato che ero l’unico sacerdote, e gli altri collegiali trascorremmo le ferie estive presso la Vigna Antoniniana alle terme di Caracalla. Fra Massimiliano invece andò ad Amelia presso Mons. Berti che il 16 luglio lo ordinò suddiacono. Tor-nando anch’egli alla predetta Vigna mi disse più volte: Un nostro vescovo ha detto che la Madonna farà grandi cose per mezzo di un nostro frate, rinnoverà lo spirito religioso in molti cuori del nostro Ordine e degli altri, anzi risveglierà lo spirito cristiano fra i fedeli di molte nazioni. Io, che ormai lo conoscevo e lo ritenevo una santa anima, ero convinto che il religioso, strumento eletto dalla Madonna, era lui stesso, fra Massimiliano ed il vescovo era Mons. Berti.

    Le nostre passeggiate che facemmo  soli nella Vigna, essendo ambedue un po’ malati, si passarono parlando sempre sullo stesso argomento” (12).

    E’ la prima idea chiara della M.I.

    Il 17 febbraio 1917 fu inscenata a Roma una grande manifestazione massonica. Il corteo percorse le vie della capitale e si fermò a lungo in piazza S. Pietro, sventolando sotto le finestre del Papa uno stendardo nero con la figura dell’Arcangelo S. Michele sotto i piedi di Lucifero, mentre altri striscioni dice-vano: “Satana regnerà in Vaticano e il Papa lo servirà” (S.K. 1328).

    Anche questo fatto colpì profondamente l’animo sensibile di Massimiliano che sentì di dover fare qualcosa in difesa della Chiesa. Pensò ad un’associazione mariana tesa alla conversione dei peccatori, specie massoni, e alla santificazione di tutti i cristiani.

    Nel maggio del 1917 ebbero inizio anche le apparizioni di Fatima. Non sappiamo con certezza se p. Kolbe, al momento della fondazione della M.I., fosse a conoscenza di tali apparizioni. La notizia non era stata divulgata e non c’erano i mezzi di comunicazione e la rapidità di oggi.


    INIZIO  DELLA  M.I


    Tutte queste circostanze che abbiamo ricordato, collegate a quanto siamo andati dicendo in particolare sull’apparizione delle due corone, portarono alla decisione di fondare la M.I.

    Sentiamo a questo proposito quanto racconta p. Kolbe: “E’ già passata molta acqua sotto i ponti: avvenne quasi 18 anni fa; molti particolari, perciò, li ho ormai quasi dimenticati. Tuttavia, dato che il p. Guardiano mi comanda di narrare gli inizi della M.I., descriverò quel che la memoria mi aiuta ancora a ricordare.

    Rammento bene che discorrevo con i chierici miei confratelli sulla miserevole condizione del nostro Ordine e sul suo avvenire. E in quei momenti si imprimeva nel mio animo la seguente idea: o rimettere in piedi o mandare all’aria. Provavo un vivo dispiacere per quei giovani che entravano nel nostro Ordine, spesso con ottima intenzione, e, il più delle volte, smarrivano il loro ideale di santità proprio in convento. Ma non sapevo bene come fare.

    Ritorno più indietro nel tempo.

    Rammento ancora che da ragazzetto mi ero acquistato una statuetta del-l’Immacolata per 5 copechi. Inoltre, nel seminario minore, mentre assistevamo in coro alla S. Messa, con la faccia a terra promisi alla santissima Vergine Ma-ria, la cui immagine dominava sopra l’altare, che avrei combattuto per Lei. Co-me? Non lo sapevo, tuttavia immaginavo una lotta con armi materiali; e per que-sto motivo, allorché giunse il momento di iniziare il noviziato, confidai al p. Maestro, p. Dionisio Sowiak, di santa memoria, questa mia difficoltà ad entrare nello stato religioso. Egli trasformò quella mia decisione nell’impegno di recita-re ogni giorno il ‘Sub tuum praesidium’. Continuo ancor oggi a recitare questa preghiera, pur sapendo ormai quale fosse la battaglia che stava a cuore all’Im-macolata(13). 

    Nonostante fossi assai incline all’orgoglio, l’Immacolata mi attirava mol-to fortemente. Nella mia celletta tenevo sempre sull’inginocchiatoio l’immagine di un santo al quale l’Immacolata era apparsa; spesso, poi, mi rivolgevo a Lei con la preghiera. Vedendo ciò, qualche religioso mi diceva che dovevo nutrire molta devozione verso quel santo.

    Allorché a Roma la massoneria uscì allo scoperto in modo sempre più audace, portando i propri stendardi sotto le finestre del Vaticano - e sul vessillo nero dei seguaci di Giordano Bruno aveva fatto dipingere S. Michele Arcangelo sotto i piedi di Lucifero e, in foglietti di propaganda, inveiva apertamente contro il S. Padre - nacque l’idea di istituire un’ associazione che si impegnasse nella lotta contro la massoneria e gli altri servi di Lucifero. Per accertarmi che tale idea venisse dall’Immacolata, interpellai il mio direttore spirituale di quegli anni, il P. Alessandro Basile, gesuita, confessore ordinario del collegio. Ottenuta l’assicurazione da parte della santa obbedienza, mi proposi di dare inizio all’opera “ (S.K. 1278).

    Della decisione di fondare un’associazione Massimiliano parla col Retto-re, p. Stefano Ignudi, e con il confessore, come abbiamo appreso sopra.

    Da gennaio ad ottobre l’idea matura e ne parla spesso con alcuni compa-gni (sette) che sono d’accordo con lui. Sentiamo la testimonianza di p. Quirico Pignalberi, uno dei sette: “Dopo aver maturato il suo progetto, lo manifestò ad alcuni compagni più intimi che ne condividessero le idee. Si tennero alcune riu-nioni nelle quali si delinearono l’essenza e il fine della M.I. Il fine principale fu di porre un argine a quel dilagare di empietà, a quei movimenti ostili alla Chiesa i quali andavano sempre più crescendo, perché, quantunque si fosse in periodo della guerra nella fase più penosa, dopo la ritirata di Caporetto, tuttavia sem-brava che le ostilità, più che contro i nemici politici, si  dirigesse contro la reli-gione con aperte e pubbliche dimostrazioni antireligiose.

    Fra Massimiliano suggerì questa riflessione: “E’ possibile che i nostri nemici debbano tanto adoprarsi sino ad avere la prevalenza e noi rimanere oziosi, al più pregare senza però adoprarci con l’azione? Non abbiamo, forse, armi più potenti, la protezione del Cielo e della Vergine Immacolata? La “Senza mac-chia”, vincitrice e debellatrice di tutte le eresie, non cederà campo al nemico che rialza la cervice; se troverà dei servi fedeli, docili al suo comando, riporterà nuove vittorie, maggiori di quelle che non si arrivi ad immaginare.” Certo, continuò fra Massimiliano con profonda modestia, la Madonna non ha bisogno di noi, ma si degna di servirsi di noi per darcene il merito e per rendere più stupenda la vittoria con persone povere e con mezzi secondo il mondo così inadatti quali sono le armi spirituali da esso derise e disprezzate.

    Bisogna che noi ci mettiamo quali strumenti docili nelle sue mani, adoperandoci con tutti i mezzi leciti, insinuandoci con la parola, con la diffusione della stampa mariana e della Medaglia miracolosa, avvalorando l’azione con la preghiera e col buon esempio.

    Perciò i mezzi dell’apostolato mariano saranno l’iscriversi alla santa Milizia con l’intento di militare sotto la bandiera dell’Immacolata, portarne come distin-tivo la Medaglia Miracolosa, rendendo quotidiana tra i militi la giaculatoria nella quale, mentre s’implora la protezione della Madonna sopra di noi, parti-colarmente si chiede la conversione dei massoni, che sono i maggiori e più acca-niti nemici della Chiesa.

    Si dette il nome in attesa di poterne incominciare la diffusione” (14).

    Nei mesi estivi, p. Kolbe ha la prima manifestazione della malattia ( la tu-bercolosi) che lo accompagnerà per tutta la vita: durante una partita di calcio ha uno sbocco di sangue (sempre le opere di Dio hanno bisogno di essere pagate!!!)

    Giungiamo così alla sera del 16 Ottobre 1917, anniversario della morte di S. Margherita Alacoque. Sette studenti di teologia dei Frati Minori Conventuali sono raccolti in una stanzetta attorno ad un tavolo sul quale campeggia una statua dell’Immacolata fra due candele. La porta della stanza dove si trovano viene chiusa a chiave. La riunione assume un certo aspetto cospiratorio, anche se avve-niva con il permesso esplicito del p. Rettore.

    I sette sono: Massimiliano Kolbe, Giuseppe Pal, Antonio Glowinski, Giro-lamo Biasi, Quirico Pignalberi, Enrico Granata, Antonio Mansi (due sono già sacerdoti e gli altri sono ormai prossimi all’ordinazione). Sono emozionati, co-scienti dell’importanza di quanto stanno per compiere: sanno che vi è impegnata tutta la loro vita. 

    Massimiliano, il leader del gruppo, in lunghi colloqui con ciascuno, come abbiamo letto dalla testimonianza, li aveva preparati minuziosamente e aveva ottenuto la loro adesione piena; ora con voce chiara, nella quale vibrava tutta la sua anima, legge un documento da lui preparato che contiene lo statuto di fonda-zione della Milizia dell’Immacolata.

    Poi per un anno intero non si fanno più riunioni e gli stessi partecipanti a quell’incontro serale non hanno il coraggio di tornare sull’argomento nemmeno tra di loro. Addirittura qualcuno pensa di convincere gli altri a lasciar perdere tutto!

    Sentiamo anche qui il racconto di p. Kolbe:  “Nel frattempo, però, ci trasferimmo per un periodo di vacanze alla 'Vigna'. Durante una partita di calcio incominciò a venirmi il sangue alla bocca.  Mi trassi in disparte e mi distesi  sull’erba. Spu-tai sangue per un bel po’ di tempo. Subito dopo mi recai dal dottore. Mi ralle-gravo al pensiero che forse ero al termine della mia vita. Il medico mi ordinò di ritornare in carrozza e di mettermi a letto. Le medicine stagnavano con difficoltà il sangue che continuava ad uscire. Durante quei giorni il giovane e pio chierico di santa memoria fr.Girolamo Biasi veniva a visitarmi.

    Due settimane più tardi il medico mi permise di uscire per la prima volta dal col-legio. In compagnia di un altro chierico mi recai, benché con difficoltà, fino alla 'Vigna'. I chierici, al vedermi, fecero gran chiasso e allegria e mi portarono fichi freschi, vino e pane. Dopo che mi fui rifocillato un poco, cessarono i dolori e le fitte e, per la prima volta, misi al corrente dell’idea di dare inizio all’associa-zione fra Girolamo  Biasi e p. Giuseppe Pal, che era stato ordinato sacerdote prima di me, pur frequentando con me lo stesso anno di teologia. Tuttavia misi come condizione che ciascuno di essi interrogasse innanzi tutto il proprio padre spirituale, per accertarsi della volontà di Dio.

    Dopo aver rafforzato un po’ le energie, fui mandato a Viterbo con il chierico fra Antonio Glowinski, mio collega, per un periodo di vacanze supplementari. In quell’occasione fra Antonio entrò nella M.I. Poco dopo si aggiunsero fra Anto-nio Mansi, di santa memoria e fra Enrico Granata ambedue chierici della Pro-vincia di Napoli.

    Oltre a questi che appartenevano alla M.I., nessuno in collegio sapeva dell’esi-stenza dell’associazione. Solo il Rettore, p. Stefano Ignudi, in qualità di superio-re ne era al corrente. La M.I. non faceva nulla esternamente senza il suo per-messo, poiché ciò era l’espressione dell’obbedienza, cioè della volontà dell’Im-macolata.

    Così dunque, con il consenso del p. Rettore, il 17 Ottobre 1917 ebbe luogo la prima riunione  dei primi sette componenti...

    La riunione ebbe luogo di sera, in segreto, in una cella interna chiusa a chiave, scelta forse per esercitare una certa pressione sui partecipanti. Di fronte a noi vi era una statuetta dell’Immacolata fra due candele accese. Fr. Girolamo Biasi fe-ce da segretario. Lo scopo di quella prima riunione fu la discussione del <pro-gramma della M.I.>, tanto più che p. Alessandro Basile, che era anche confes-sore del Papa, aveva promesso di chiedere al santo Padre la benedizione per la M.I...

    Per più di un anno dalla prima riunione non si verificò alcuno sviluppo nella M.I., anzi, contrarietà di vario genere si accumularono fino al punto che talvolta gli stessi componenti si sentivano imbarazzati a parlarne tra loro; anzi uno di essi cercava addirittura di convincere gli altri che la M.I. era qualcosa di inutile.

    Fu allora che si trasferirono presso l’Immacolata, con meravigliosi segni di ele-zione, P. Antonio Glowinski e, una decina di giorni dopo, fra Antonio Mansi, a causa della febbre spagnola. Quanto a me, le condizioni dei miei polmoni subi-rono un aggravamento: quando tossivo, sputavo sangue; e questo fu l’inizio del cambiamento. Essendo stato esonerato dalla scuola, approfittai di quel tempo per trascrivere il “Programma della M.I.” e lo consegnai al Rev.mo p. Generale allo scopo di ottenere la sua benedizione scritta. “Foste almeno in 12, dis-se”...Scrisse la sua benedizione ed espresse il desiderio che la M.I. si propagas-se tra i nostri giovani.

    Da quel momento i nuovi aderenti cominciarono ad aumentare sempre più.”   (S.K.1278)

    Ciò che li sostiene ad andare avanti, comunque, sono solo la benedizione, l’incoraggiamento e l’approvazione dei rispettivi confessori e del p. Rettore.

    Nell’ottobre del 1918, un anno dopo l’inizio, per malattia, muoiono a pochi giorni di distanza due dei primi iniziatori: Antonio Glowinski (18/10/1918) e Antonio Mansi (31/10/1918).

    Sono le fondamenta su cui poggia la M.I. 

    Scrive a proposito p. Kolbe: “Nell’anno 1918 infuriò la febbre spagnola, la qua-le falciò letteralmente molte vite umane. In tali circostanze due dei primi sette componenti si trasferirono nell’eternità con evidenti segni di elezione. Essi furo-no: p. Antonio Maria Glowinski, della Provincia religiosa di Romania e il chieri-co fra Antonio Mansi, della Provincia di Napoli.

    Il primo, nato da padre polacco e da madre rutena, ma educato in Romania, non aveva avuto neppure l’occasione di apprendere la lingua polacca. Terminati gli studi e conseguito il dottorato, egli era andato per un periodo di riposo ad Assi-si, ove, recandosi a far visita ai prigionieri di guerra rumeni, contrasse la febbre e dieci giorni dopo morì. Si era preso cura di lui p. Emilio Norsa, un ebreo con-vertito e fervente devoto dell’Immacolata. A lui p. Antonio aveva indicato il gior-no della propria morte. Alla domanda donde l’avesse saputo, aveva risposto che gli era stato rivelato dall’Angelo custode. E morì proprio nel giorno predetto. Ormai prossimo alla fine, svegliandosi dal sonno, aveva detto ai presenti: “Oh, quanto mi dispiace di essermi svegliato ancora su questa terra”.

    Non erano trascorsi che una decina di giorni ... quando fra Antonio Mansi si af-frettò a seguirlo. Nato a Londra, di origine italiana, della cittadina di Ravello, musico e poeta. Fu assalito dalla medesima malattia mentre curava un padre che l’aveva contratta nell’esercito. Negli ultimi giorni di vita egli dette prova in mo-do particolare di obbedienza religiosa. Poco prima di morire chiese al p. Rettore il permesso di cantare una canzoncina alla Madonna. Il p. Rettore temeva che, date le sue deboli condizioni, non ce la potesse fare. Ad ogni modo glielo per-mise. Con grande meraviglia dei presenti l’ammalato cantò ad alta voce la can-zoncina: “Sei pura, sei pia, sei bella, o Maria! Ogni alma sa che madre più dol-ce il mondo non ha”.

    Dopo la sua morte, fra le sue poesie se ne trovò una dedicata al B. Bonaventura da Ravello, nella quale chiedeva che gli fosse concesso di morire con un canto alla Madonna sulle labbra. Fu trovato altresì un quaderno di appunti abbastan-za ampio, che svelava l’interno di quella splendida anima. Evidentemente questi due membri della M.I. iniziarono subito un’alacre attività in paradiso, poiché, immediatamente dopo la loro dipartita, le difficoltà svanirono l’una dopo l’altra.”... (S.K. 1328).

    Per completare il quadro, mi sembra utile aggiungere qui alcune testimo-nianze sull’eroica conclusione della vita di p. Kolbe. Egli suggellò con il marti-rio, con il dono della sua vita, la fedeltà al suo Ideale: l’Immacolata.

    Era il 14 agosto 1941, vigilia della festa dell’Assunta.

    Nei giorni precedenti, nel campo, si era verificata la fuga di un prigioniero e questo, secondo l’ordinamento del campo, comportava la morte nel bunker della fame di dieci condannati dello stesso blocco 

    Ma lasciamo ai testimoni il racconto di quei momenti così importanti e, potremmo dire, così solenni, che consacrano una vita spesa per amore dell’Im-macolata(15). 

    “Finalmente la macabra selezione viene completata. Fritsch va verso Palitsch, il sottufficiale a cui piace vantarsi del numero di prigionieri fucilati personalmente da lui al muro del Blocco 11. Gli ufficiali delle SS spuntano insie-me la lista fatta dal segretario e controllano i numeri dei condannati. Mentre sono assorti per adempiere tutto alla perfezione, una delle vittime piange: «Mia mo-glie, i miei figli!». E’ Francesco Gajowniczek. Le SS lo ignorano.

    Improvvisamente c'è ancora un movimento nelle file: un prigioniero, mol-te file indietro, è uscito dai ranghi e si sta facendo strada verso la prima fila. Le guardie delle SS guardano il Blocco e sentono di avere i riflessi pronti, mentre i cani alle loro calcagna sono pronti a scattare. Anche Fritsch e Palitsch hanno messo mano alla fondina. Il prigioniero oltrepassa la prima fila.

    E’ Kolbe. Il suo passo è deciso, il suo volto inondato di pace. Arrabbia-tissimo, il kapò del Blocco gli ordina di fermarsi o lo ucciderà. Kolbe risponde con calma: «Voglio parlare con il comandante», e va oltre, mentre il kapò, strano a dirsi, né spara, né lo colpisce con il bastone. Poi, alla giusta distanza, Kolbe si ferma, tenendo in mano il berretto. Stando sull’attenti, come se anche lui fosse un ufficiale, guarda Fritsch dritto negli occhi.

    «Signor comandante, vorrei farle una richiesta», dice gentilmente in impeccabile tedesco.

    I sopravvissuti diranno in seguito che fu un miracolo che nessuno gli avesse ancora sparato. Fritsch chiede: «Cosa vuoi?».

    «Voglio morire al posto di questo prigioniero», e Kolbe punta il dito verso Gajowniczek, ancora in lacrime. Kolbe fa questa audace richiesta senza balbet-tare. Fritsch lo guarda stupefatto, irritato. Tutti notano come il tedesco, signore della vita e della morte, diventa improvvisamente nervoso e fa un passo indietro.

    Il prigioniero spiega impassibile, come se stessero parlando di una que-stione di tutti i giorni, che quell'uomo ha una famiglia.

    «Io non ho moglie e figli. Inoltre sono vecchio e non sono più buono a niente. Lui sta meglio di me», aggiunge, giocando abilmente sul fatto che i nazi-sti volevano tenere in vita solo i più adatti.

    «Chi sei tu?», gracchia Fritsch.

    «Un sacerdote cattolico».

    Fritsch rimane in silenzio. Il Blocco, attonito spettatore di questa scena, si aspetta che il comandante, come accade sempre ad Auschwitz, non mostri mise-ricordia ma dica parole di scherno: «Bene, visto che sei così impaziente, verrai anche tu», e che prenda entrambi gli uomini. Invece, dopo un momento, il porta-voce del comandante dice seccamente: «Richiesta accolta». Come se sentisse la necessità di scaricare la rabbia, prende a calci Gajowniczek ringhiando: «Torna nei ranghi, tu!».

    Ai prigionieri nelle file non è mai permesso parlare. Gajowniczek dice: “Potei solo cercare di ringraziarlo con gli occhi. Ero stravolto e facevo fatica a capire cosa stesse succedendo. L'immensità del gesto: io, il condannato, dovevo vivere e qualcun altro, volontariamente e con gioia, aveva offerto la sua vita per me, un estraneo. Era un sogno o era realtà?”

    Poi viene dato ordine ai condannati di marciare e il Blocco viene conge-dato. 

    Tante notizie le abbiamo dal prigioniero interprete, che assistette agli ulti-mi giorni di Kolbe e uscì vivo da Auschwitz E’ Bruno Borgowiec, un polacco della Slesia, una regione ricca di carbone, che nella storia era passata sotto il do-minio di molti, tra cui la Germania e la Polonia. Lavorava come gli altri prigio-nieri alla costruzione del campo. Poi, grazie al suo tedesco perfetto, gli fu affida-to l'incarico assai pericoloso di interprete nel Blocco delle punizioni. Si possono solo immaginare le cose che fu costretto a vedere e sentire. È sufficiente dire che Bruno Borgowiec morì il lunedì di Pasqua del 1947, quando aveva solo qua-rant'anni. Ma questo non accadde prima di aver scritto a Niepokalanów, il 27 dicembre del 1945, fornendo molti dettagli di quello che aveva visto. Scrisse an-che di aver rilasciato sotto giuramento due dichiarazioni, che erano state autenti-cate: una breve e un'altra più dettagliata, degli ultimi giorni di vita di un uomo che egli considerava «un santo e un eroe».

    E’ Borgowiec che ha fornito i particolari di ciò che sospettavano quelli che conoscevano Kolbe: la cella della fame non solo non decretò la sua sconfitta, ma divenne un tabernacolo nel punto più crudele di Auschwitz, come se – intru-folato nell'umile cuore di un Francescano - Dio si fosse recato all'inferno.

    Borgowiec spiega come mai ha potuto ripetere perfino le crudeli battute dell'uomo delle SS, quando chiudeva le vittime nella cella della morte, dove c'era solo una piccolissima finestra posta in alto contro il soffitto del sotterraneo, dalla quale filtrava una luce debolissima. Nonostante fossero migliaia le persone che morirono in quel bunker, si ricordò perfino di alcuni particolari isolati degli ulti-mi giorni di padre Kolbe «con totale chiarezza» - affermò -, «grazie all'assoluta straordinarietà del comportamento con il quale il nobile Padre affrontò la morte». 

    Ho unito i vari racconti di Borgowiec: “Le vittime, denudate, erano tutte in una cella, vicina a quelle dove stavano gli altri, puniti per le due fughe prece-denti. L'aria era irrespirabile, il pavimento della cella era di cemento. Non c'erano mobili, eccetto un secchio per i bisogni fisiologici. 

    Si può dire che la presenza di Padre Massimiliano nel bunker fu necessaria per gli altri. Stavano impazzendo al pensiero che non sarebbero più tornati alle loro famiglie, alle loro case, e gridavano e imprecavano per la disperazione. Egli riuscì a rendere loro la pace ed essi iniziarono a rassegnarsi. Con il dono della consolazione che egli offri loro, prolungò le vite dei condannati, di solito così psicologicamente distrutti, che morivano in pochi giorni.

    Per risollevare il loro spirito, li incoraggiava dicendo che il fuggitivo poteva ancora essere ritrovato e che loro sarebbero stati rilasciati. Allora si univano a lui e pregavano a voce alta. Le porte della cella erano di quercia, e grazie al silenzio e all'acustica, la voce di Kolbe in preghiera si estendeva anche alle altre celle, dove i prigionieri potevano udirla bene. Anche questi ultimi si univano a lui.

    Da allora in poi, ogni giorno, dalla cella dove si trovavano queste povere anime e alla quale si univano le altre voci, si poteva udire la recita delle preghiere, il Rosario, gli inni. Padre Kolbe li guidava e gli altri rispondevano in coro. Poiché queste preghiere e gli inni risuonavano in ogni parte del bunker, avevo l'impressione di essere in una chiesa”.

    Fuori dal Blocco 11, Francesco Mieczko ricorda che i prigionieri facevano delle veglie di preghiera durante le ore libere, passando dalla piccola finestra dalla quale si vedeva solo la sommità delle teste. Szweda vi era anche andato, impulsivamente, per saperne di più, ma fu sgridato da un prigioniero che lavo-rava là: «Pazzo, non sai che è meglio non fare domande come queste? Vuoi finir-ci anche tu, là dentro? Va' via prima che qualcuno ti veda!».

    Borgowiec prosegue: “Un giorno gli uomini delle SS incaricati del blocco della morte ispezionarono le celle e mi ordinarono di portare via i corpi di quelli che erano morti durante la notte. Dovevo essere sempre presente anch'io a que-ste ispezioni, come interprete-segretario, perché il mio lavoro era quello di scri-vere i numeri dei morti e tradurre dal polacco al tedesco ogni colloquio o do-manda fatta dai condannati.

    Qualche volta il gruppo di padre Kolbe era così assorto in preghiera che non si accorgeva nemmeno che il gruppo delle SS apriva la porta. Facevano dei grossi strilli per attirare la loro attenzione.

    Quando vedevano che la porta della cella era aperta, i poveri disgraziati, pian-gendo, mendicavano una crosta di pane e dell'acqua, che regolarmente non otte-nevano. Se uno di questi poveretti che ne aveva ancora la forza si avvicinava alla porta, immediatamente le SS lo prendevano a calci nello stomaco, ma in modo così violento che questi cadeva all'indietro sul cemento e, o moriva, oppure lo uccidevano loro. 

    Padre Kolbe non chiedeva niente e non si lamentava mai. Guardava diretta-mente negli occhi, con intensità, coloro che entravano nella cella. Quegli occhi, i suoi, che erano stati sempre così incredibilmente penetranti. Gli uomini delle SS non potevano sostenere il suo sguardo e sbraitavano: «Schau auf die Erde, nicht auf uns!», cioè: «Guarda il pavimento, non noi!».

    Prosegue Borgowiec: “Sentii per caso le SS che parlavano tra di loro di Kolbe. Erano ammirate dal suo coraggio e dal suo comportamento. Uno di loro disse: «So einen wie diesen Pfarrer haben wir hier noch nicht gehabt. Das muss ein ganz aussergewóhniicher Mensch sein» (Qui non abbiamo mai avuto un pre-te come quello. Deve essere un uomo eccezionale in tutto).

    Mentre gli uomini delle SS erano assenti, io andavo giù e consolavo i miei connazionali.

    Che genere di martirio stessero sopportando questi uomini si può immaginare dal fatto che il secchio delle urine era sempre vuoto. Nella loro sete divorante, dovevano berne il contenuto.

    I prigionieri diventavano più deboli, ma continuavano anche le preghiere, che, adesso, erano sussurri. Nonostante ciò anche quando gli altri venivano trovati morti sul pavimento durante le ispezioni, padre Kolbe era ancora in piedi o in ginocchio, con il volto sereno.

    Erano già passate due settimane. I prigionieri morivano uno dopo l'altro e ne rimanevano solo quattro tra i quali padre Kolbe, ancora in stato di conoscenza. Le SS. decisero che le cose stavano andando troppo per le lunghe… Un giorno inviarono il criminale tedesco Bock per fare un'iniezione di acido fenico ai pri-gionieri. Dopo che l'ago era stato infilato nella vena del braccio sinistro, si pote-va seguire il gonfiore che andava dal braccio al petto ingrossandosi man mano che questo si avvicinava al cuore. Quando lo raggiungeva, la vittima cadeva a terra morta. Tra l'iniezione e la morte passavano poco più di dieci secondi. Quando Bock arrivò là, lo dovetti accompagnare alla cella. Vidi padre Kolbe, in preghiera, porgere lui stesso il braccio al suo assassino. Non potevo soppor-tarlo. Con la scusa che avevo del lavoro da fare, me ne andai. Ma non appena gli uomini delle SS e il boia se ne furono andati, tornai.

    Gli altri corpi, nudi e sporchi, erano stesi sul pavimento con i volti che mostra-vano i segni della sofferenza;  padre Kolbe era seduto, eretto, appoggiato al mu-ro. Il suo corpo non era sporco come gli altri, ma pulito e luminoso. La testa era piegata leggermente da una parte. I suoi occhi erano aperti. Il suo volto era puro e sereno, raggiante.

    Chiunque avrebbe notato e pensato che questi fosse un santo.

    Alcuni degli amici di Kolbe furono tanto audaci da chiedere che il suo cor-po non fosse bruciato ma sepolto. La richiesta fu respinta. A Kolbe non sarebbe piaciuto fare una fine diversa da quella degli altri. Anni prima aveva detto: «Mi piacerebbe essere ridotto in cenere per la Vergine Immacolata e che questa cene-re venga spazzata via dal vento per tutto il mondo».

    Ricorda Szweda: “I corpi dovevano essere portati al forno crematorio la mattina del 15 agosto. Alcuni miei carissimi amici furono incaricati di portarli fuori nelle casse di legno. Mi dissero: «Guarda attentamente: il primo che por-tiamo fuori sarà Padre Massimiliano».

    Rimasi a guardare. Mentre passavano, mi tolsi il berretto rigato da prigioniero, anche se questo era proibito. Nessuno se ne accorse. Ero ben nascosto. Dovevo guardarlo andare così al forno crematorio...”

    È abbastanza comune, per le persone, morire in date particolari, come il giorno del compleanno o dell'anniversario di morte del coniuge. Kolbe aveva det-to che avrebbe voluto morire il giorno della festa della Madonna. E fu ucciso pro-prio la vigilia dell'Assunzione di Maria, cioè la sera prima della festa. Poiché la data della morte di un martire, la sua nascita al cielo, è quella che viene celebrata dalla Chiesa, quelli che hanno una predisposizione sentimentale penseranno che la Madonna abbia voluto che la festa del suo cavaliere venisse celebrata accanto alla sua.

    Alessio Kucharski, il quale, sull'attenti in prima fila, vide e udì tutto, oggi vive a Palm Springs, in California, e dice: “Ero preso soprattutto dalla preoccu-pazione di sopravvivere io stesso, ma fui anche molto commosso dal gesto di Padre Massimiliano”.

    L'intimo amico di Kolbe, Miecislao Koscieiniak, l'artista, spiega: “Erava-mo così sconvolti che per un momento fummo incapaci di reagire o di afferrare quello che stava succedendo. Tutto quello che potemmo fare era di essere pro-fondamente felici di non essere tra i condannati. «Grazie a Dio non sono stato scelto io, ma qualcun altro!». Nonostante sembri tremendo, umanamente era quella la prima reazione”.

    Solo dopo che lo choc di essere sopravvissuti si fu dissolto, crebbe la consape-volezza di ciò che Kolbe aveva fatto. Dice Szweda: “Era sulle labbra di tutti, non solo dei polacchi. Anche cechi, austriaci, uomini di ogni nazionalità – per-fino i tedeschi - erano sbalorditi ed esclamavano: «Questo è autentico amore per il prossimo!», perché nessuno aveva mai voluto morire volontariamente, prima. Al contrario, ognuno cercava di aggrapparsi alla vita fino all'ultimo, e Padre Massimiliano l'aveva data via: non un pezzo del suo pane o persino tutta la sua zuppa, ma tutta la sua vita per salvare un'altra persona. E per quale morte! In quell'inedia nella quale ci si consuma a poco a poco, membrana dopo membrana, sapendo con certezza che stai per morire... Fare questo e non soc-combere completamente! Qualcuno diventava pazzo, o nel suo istinto animale attaccava gli altri. Una volta due uomini furono portati via dopo essersi uccisi prendendosi a morsi l'un l'altro. Ma avere, come Padre Massimiliano, la mente lucida e la volontà di bere fino in fondo il calice dell'amarezza, dello sdegno e della sofferenza: questo è eroismo”.

    Alle parole di ammirazione del sacerdote più giovane, fanno eco quelle di Koscieiniak, Wojtkowski, Sobolewski, Dziuba e Wlodarski: «La morte di un martire e di un eroe».

    «Un uomo nel bisogno grida come un essere umano e trova un essere umano che risponde».

    «Dove tutti pensavano solo a salvare la propria vita, lui dava la vita per uno sconosciuto».

    «Questo atto è stato il culmine del suo amore per l'umanità».

    «Un atto di supremo eroismo, dove non c'era imprudenza o sconsideratezza... basato solamente su motivi soprannaturali, perché padre Massimiliano era in buono stato fisico, aveva molte persone che lo amavano e che potevano farlo uscire vivo dal campo di concentramento».

    «Non sono più accaduti fatti simili ad Auschwitz: non ne erano accaduti prima e non ne sono accaduti dopo, e non ho mai sentito dire che qualcosa di simile sia avvenuto negli altri campi di concentramento. Fu il solo tra tutti ad essere capace di compiere un gesto simile».

    Infine, Giorgio Bielecki parla a nome di tutti: “Fu uno choc enorme per tutto il campo. Ci rendemmo conto che qualcuno tra di noi, in quella oscura not-te spirituale dell'anima, aveva innalzato la misura dell'amore fino alla vetta più alta. Uno sconosciuto, uno come tutti, torturato e privato del nome e della con-dizione sociale, si era prestato ad una morte orribile per salvare qualcuno che non era neanche suo parente. Perciò non è vero, gridavamo, che l'umanità è get-tata e calpestata nel fango, sopraffatta dagli oppressori e schiacciata senza spe-ranza. Migliaia di prigionieri si convinsero che il mondo continuava ad esistere e che i nostri torturatori non potevano distruggerlo. Più di un individuo cominciò a cercare questo mondo, questa verità dentro di sé, a trovarlo e a condividerlo con gli altri compagni del campo e si facevano forza per combattere il male.

    Dire che padre Kolbe morì per uno di noi o per la famiglia di quella per-sona sarebbe riduttivo. La sua morte fu la salvezza di migliaia di vite umane. E in questo, potrei dire, sta la grandezza di quella morte. Ecco quello che provam-mo. E finché vivremo, noi che eravamo ad Auschwitz, piegheremo la nostra testa in memoria di quello che è accaduto, come quella volta che piegammo la testa davanti al bunker della fame. Quella fu una scossa che ci restituì l'ottimismo, che ci rigenerò e ci diede forza; rimanemmo ammutoliti dal suo gesto, che divenne per noi una potentissima esplosione di luce capace di illuminare l'oscura notte del campo...”. 


    LA  M.I.  APPROVATA(16)


    Queste dunque le origini semplici della M.I. Nasce così l’associazione. Nel Codice di Diritto Canonico vigente allora (è quello del 1917) essa è un’asso-ciazione privata, di carattere laicale, anche se composta da chierici. Non essen-dovi alcun atto giuridico dell’autorità ecclesiastica, se non il consenso del p. Ret-tore e del Ministro Generale, essa non ha alcuna rilevanza all’interno della Chie-sa. I suoi membri agiscono in nome proprio, non a nome della Chiesa, in quanto svolgono un apostolato privato in forza dei sacramenti del battesimo e della cresima.

    Come lo stesso p. Kolbe scrive nel programma originale, fine della M.I. è che ogni socio preghi e si adoperi, secondo le proprie possibilità, per la conversione degli eretici, degli scismatici e, specialmente, dei massoni. Il 28 Marzo 1919 Benedetto XV, aderendo alla supplica rivoltagli verbalmente dall’arcivescovo Mons. Jaquet, docente di storia ecclesiastica anche dei chierici Conventuali, concede una prima speciale benedizione orale (S.K. 23 e 37).

    Il 4 aprile 1919, il p. Domenico Tavani, Vicario Generale dell’Ordine, da la sua benedizione scritta (S.K. 23 e 37). Queste benedizioni non incidono sulla natura giuridica della M.I., che resta sempre una associazione privata.

    F. Giovanni Garleanu e confratelli del Collegio Serafico Internazionale supplicano il Card. Vicario di Sua Santità per Roma che la M.I. venga eretta a “Pia Unione”. Il Card. Basilio Pompilj, il 2 gennaio 1922, per favorire la pietà verso la Vergine Santissima, dichiara la erezione canonica dell’ associazione con la qualifica di “Pia Unione”. L’erezione canonica è un atto specifico dell’au-torità ecclesiastica competente, in questo caso il Vicario del Papa, con il quale si riconosce che l’associazione gode della natura di corporazione ecclesiastica:

    - non può essere distrutta dalla volontà dei soci, né cessa di esistere per la morte dei medesimi;

    - è di natura sua perpetua e si estingue solo per soppressione dell’auto-rità ecclesiastica;

    - gode dei diritti patrimoniali di possedere, acquistare, amministrare;

    - i membri agiscono in nome della “Pia Unione” e svolgono un aposto-lato specifico approvato dall’autorità competente, in questo caso il Card. Vicario, e operano sotto la sua vigilanza.

    Con lo sviluppo della M.I., specie in Italia oltre che in Polonia, sorgono altre sedi filiali, in varie città, approvate dai Vescovi, che per primi si iscrivono alla M.I. Per questo, su istanza del Procuratore Generale dell’Ordine, Pio XI il 18 dicembre 1926 concede speciali indulgenze e privilegi alla M.I.:

    a) indulgenza plenaria, con le condizioni consuete, 

    * per i soci nuovi nel giorno della loro iscrizione alla M.I.;

    * per i singoli soci nella solennità dell’Immacolata e una volta al mese in un giorno da scegliere liberamente.

    b) indulgenza in articulo mortis;

    c) facoltà, per i soci sacerdoti, di benedire, con semplice un segno di croce, corone, rosari, crocifissi, piccole statue.

    Il P. Procuratore dell’Ordine, in data 15 febbraio 1927, dato che la M.I. è eretta a Roma e presente anche in altre diocesi in Italia e fuori, supplica il Papa che venga eretta in Sede Primaria, con facoltà cioè di aggregare a sé altre sedi e comunicare loro indulgenze e privilegi propri. Il Santo Padre Pio XI il 23 aprile 1927 eleva la sede di Roma a Sede Primaria.

    In data 8 novembre 1975, il Pontificio Consiglio per i Laici, a cui spetta tutto quanto concerne le associazioni laicali, su richiesta del Direttore del Centro Internazionale della M.I., approva gli Statuti Generali ad esperimento.

    Questo produce a livello giuridico che la M.I.:

     dipende direttamente dalla S. Sede, non più dal vicario di Roma o dai Vescovi;

     i membri svolgono il loro apostolato in nome della loro associazione, ma sotto una speciale garanzia di vigilanza della S. Sede;

    l’approvazione degli Statuti vale già come approvazione indiretta dell’asso-ciazione.

    Parlando più avanti della natura della M.I. vedremo meglio anche qual è la situazione giuridica attuale della M.I.

  • Nel primo capitolo ho cercato di delineare i contorni, la cornice entro cui collocare la M.I.. Seguendo lo Statuto originario di p. Kolbe, in questo secondo capitolo vorrei presentare in che cosa consiste la M.I., che cosa si intende esprimere con queste due parole, quale sia il suo contenuto(1).

    Parto da alcune considerazioni introduttive che si rifanno all’idea che ha avuto S. Massimiliano nel fondare la M.I., confermando questa visione con l’apporto di Mons, Coda, che presenta la lettera del Papa sul Rosario, perché fa vedere quanto sia attuale l’intuizione di p. Kolbe.

    Poi richiamo la visione francescana di Maria e, in particolare, la tesi dell’Immacolata, che ha interessato la teologia francescana fin dagli inizi. Penso, infatti, che non è possibile comprendere bene il pensiero e la vita di Kolbe se non ci rifacciamo al patrimonio di pensiero e di vita della scuola teologica france-scana, che S. Massimiliano ha ricevuto e assimilato nel corso della sua forma-zione a Roma.

    Di seguito cerco di esporre l’approfondimento che S. Massimiliano ha delineato riguardo all’Immacolata e alla sua presenza nella nostra vita. Certa-mente il suo pensiero è appena abbozzato, perché, come abbiamo già detto, non ha avuto il tempo e il modo di farne una sintesi completa ed elaborata. Mi sono servito di studi e ricerche di chi è più preparato di me facendone, spero, una presentazione lineare e semplice, consapevole che non è l’ultima parola, ed è tutto materiale oggetto di ulteriori approfondimenti.

    Per tutto questo è un capitolo un po’ lungo e il più impegnativo, ma mi sembra che sia opportuno offrire ai militi anche una base di conoscenza teologica, seppur minima, perché conoscendo di più, si possa amare di più l’Immacolata.

    CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE


    Una prima considerazione da fare è proprio su questo titolo: Milizia dell’Immacolata. La spiegazione la troviamo già in quanto abbiamo detto sulle origini; ma trascrivo anche quanto ho trovato in una vita di p. Kolbe: “Milizia, Cavalleria”, sono termini che a noi suonano forse fuori tempo, estranei ormai al nostro mondo culturale. Ma sono caratteristici del p. Kolbe, delle sue radici polacche e del suo temperamento combattivo, portato alla conquista”.


    Il Card. Wojtyla, arcivescovo di Cracovia, nel 1972 osservava: “Il popolo polacco è sempre rimasto un popolo di cavalieri; ne ha dato prova fino al tempo d’oggi. E Massimiliano, fin dalla sua gioventù, era veramente un figlio di questo popolo di cavalieri. Anche i suoi anni giovanili erano stati pieni di sogni caval-lereschi: pensava di combattere con le armi in mano per una causa nobile. Del resto anche suo padre aveva dato la vita per quella causa valida, validissima che, in quei tempi, era per tutti i polacchi l’indipendenza della loro patria”.

    Dopo aver notato come il concetto di cavalleria risale a S. Paolo, che de-scrive la vita del cristiano come un combattimento coraggioso, sempre il Card. Wojtyla rileva che “la civiltà medioevale vi aggiunse un altro elemento: quello del servizio per amore della “signora del cuore”.

    Anche questo elemento della “signora del cuore”, del cavaliere, trovò posto nel-l’anima di Massimiliano.” Questo discendente di un popolo di cavalieri che, nel-lo stesso tempo, era un povero figlio di S. Francesco, trovò assai facilmente la “Signora del cuore” alla quale egli fin dall’inizio desiderava consacrare tutta la propria cavalleria spirituale: l’Immacolata, così come era presentata nella Tradi-zione dell’Ordine e gli fu fatta gustare dalle pie e saporose meditazioni del p. Stefano Ignudi.

    E proprio nel donarsi completamente a questa “Signora del cuore”, Massimiliano riuscirà a penetrare anche di più nel mistero di Maria per spiegarne la grandezza, la bellezza, la presenza indispensabile nella vita spirituale. E di questo parleremo più avanti, presentando il suo pensiero su Maria.

    Milizia dell’Immacolata: disponibilità totale dunque a Maria con tutte le caratteristiche spirituali e affettive, ma anche combattive, battagliere, di conqui-sta che questo nome sottintende. Già la denominazione è tutto un programma di vita. Non si combatte, non si mette a repentaglio la propria vita senza sapere, conoscere per chi lo si sta facendo. Questo vuol dire aver già una profonda espe-rienza spirituale.

    Sentiamo come lo spiega S. Massimiliano: una pagina che ogni milite dovrebbe continuamente avere presente per trovarvi il suo dover essere. “La sigla M.I. racchiude in sé tutta l’essenza dell’associazione della Milizia dell’Im-macolata.

    L’associazione, infatti, è innanzi tutto <I>, vale a dire dell’Immacolata. L’ideale di ogni suo componente è di appartenere all’Immacolata, di essere suo servo, fi-glio, schiavo, cosa, proprietà, insomma di appartenere a Lei sotto qualsiasi de-nominazione che l’amore verso di Lei ha escogitato o sarà in grado, in qualun-que tempo, di escogitare; appartenere a Lei sotto ogni aspetto per tutta la vita, per la morte e per l’eternità. Essere suoi senza alcuna restrizione, irrevocabil-mente, per sempre. E divenire suoi sempre di più, in modo sempre più perfetto, farsi simili a Lei, unirsi a Lei, divenire in certo qual modo Lei stessa, affinché Ella prenda sempre più possesso della nostra anima, si impadronisca totalmente di essa e in essa e per mezzo di essa, Ella medesima pensi, parli, ami Dio e il prossimo e agisca. Ecco l’ideale: divenire suoi, dell’Immacolata, <I>.

    Chi diviene proprietà di Lei in modo sempre più perfetto, in questa maniera eser-citerà un’influenza sempre maggiore nell’ambiente che lo circonda e stimolerà gli altri a conoscere sempre più perfettamente l’Immacolata, ad amarla più ar-dentemente, ad avvicinarsi sempre più a Lei e a consacrarsi a Lei fino a divenire totalmente, senza alcuna limitazione, Lei stessa. Un’anima di questo genere, in quanto proprietà dell’Immacolata, conquisterà un numero sempre maggiore di altre anime a Lei, con ogni mezzo legittimo e diverrà non solo proprietà, ma anche cavaliere, milite dell’Immacolata, <M>.

    Ecco il significato delle lettere <M> e <I>, vale a dire la sigla M.I.” (S.K. 1211; cfr. anche S.K. 508).

    In questa visione di p. Kolbe, la M.I. non si riduce ad una devozione mariana e neppure ad una semplice associazione ecclesiale. 

    Essa è una presa di coscienza della vocazione umana e cristiana del credente, una visione della vita cristiana, una forma di vita cristiana che p. Kolbe scopre per sé e propone anche a tutti i cristiani per realizzare il piano di Dio su ciascuno.

    A fondamento di questa visione, di questa forma di vita, di questa presa di coscienza S. Massimiliano pone il riferimento a tutto il mistero di Maria e non solo a una particolare verità che la riguarda. Questo mistero si illumina nella realtà dell’Immacolata Concezione.

    Il carattere mariano della M.I. non si fonda quindi, come qualche volta può sembrare o qualche autore può rilevare, su motivi sentimentali o soggettivi, ma su una profonda, lucida intuizione del ruolo di Maria nel piano di Dio.

    Maria, infatti, in quanto Immacolata Concezione, rappresenta il modello di grazia e di perfezione nel cammino della  santità per la sua eccezionale e perfettissima santità. Inoltre rappresenta anche il modello di impegno  apostolico per la sua lotta contro il male.

    Dice l’art. 3 dei nuovi Statuti Generali della M.I.: “La Milizia dell’Im-macolata è stata definita dallo stesso P. Kolbe una visione globale di vita cattolica sotto forma nuova, consistente nel legame con l’Immacolata nostra Mediatrice universale presso Gesù (S.K.1220). Essa infatti si propone essen-zialmente di promuovere l’estensione del Regno di Cristo nel mondo attraverso l’azione dell’Immacolata, stimolando tutti i cristiani, laici, religiosi e contempla-tivi a porsi a servizio di Lei nella missione che Ella ha come Madre della Chie-sa”.

    In questa visione di Maria Immacolata, S. Massimiliano anticipa quanto il Papa Giovanni Paolo II° ha ben espresso nella lettera: “Rosarium Virginis Ma-riae” nel capitolo intitolato: “Contemplare Cristo con gli occhi di Maria” (2).

    A questo proposito riporto l’introduzione e la sintesi, per me stupenda e chiaris-sima, che fa un noto teologo, mons. Piero Coda. Scrive:

    “La tragedia dell’11 settembre e le drammatiche condizioni di vita in Iraq, in Palestina e in tante altre parti del mondo denunciano l'eccezionale serietà della situazione in cui versa l'umanità. Siamo di fronte a un bivio, e tocca a noi imboc-care la via giusta. Nubi oscure sembrano addensarsi all'orizzonte, solo che si pensi ai pericoli che incombono sulla pace, alla povertà di decine e decine di mi-lioni di diseredati e alle epidemie che li minacciano, alle potenzialità di manipo-lazione della vita umana e di alterazione dell'equilibrio ecologico nelle nostre mani.

    Non è un caso se, in un tale frangente e all'inizio del terzo millennio dalla venuta di Gesù, Giovanni Paolo II ha lanciato un programma energico e di gran-de respiro: "Duc in altum, prendi il largo!" Si tratta di un invito che scaturisce dal cuore del Vangelo, un invito alla fede nella presenza di Dio e nell'efficacia del suo amore nella storia.

    Scorrendo le pagine della "Novo millennio ineunte", la lettera scritta dal Papa dopo il giubileo, forte è l'impressione di un cuore giovane che batte nella Chiesa. "Non si tratta - egli scrive - d'inventare un nuovo programma. Il pro-gramma c'è già ...s'incentra in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in Lui la vita trinitaria, e trasformare con Lui la storia fino al suo compi-mento nella Gerusalemme celeste" (n.29).

    E’ un invito caldo e contagioso a una "misura alta" di vita cristiana. Non occorre andare in cerca di chissaché, ma credere all'amore di Dio per ogni uomo e per tutti, e vivere la Chiesa come casa e palestra di comunione: dov’è legge l'amarsi l'un l'altro come Cristo ci ha amati.

    E così seminare il lievito, il sale, la luce di quest'esperienza nella concretezza delle relazioni sociali, delle scelte politiche, delle attività economiche, dei pro-getti culturali.

    Il nuovo dono, che Giovanni Paolo II ci ha fatto nell'ottobre scorso con la lettera sul Rosario della Vergine Maria, si pone in ideale continuità con l'invito e il programma della "Novo millennio ineunte". Lo sottolinea il Papa definendo, nell'introduzione, quest'ultima lettera "quasi un coronamento" della precedente.

    La chance e, per questo, il compito primo che c'interpella come cristiani – sotto-linea il Papa – è quello non tanto d'imparare da Gesù le cose che Egli ha insegna-to, ma di "imparare Lui".

    E allora "quale maestra, in questo, più esperta di Maria?" (n. 14). Perché - sono ancora sue parole - "se sul versante divino è lo Spirito Santo il Maestro interiore che ci porta alla piena verità di Cristo, tra gli esseri umani, nessuno meglio di Maria conosce Cristo" (ibid.).

    "Imparare Gesù". Vedere, sentire, amare, pensare, soffrire e vivere come Lui e insieme con Lui, nell'amore del Padre e dei fratelli: questa è l'esistenza cristiana.

    Torna spontaneo alla mente uno scritto di Chiara Lubich che, tanti anni fa, subito dopo la seconda guerra mondiale, diceva in modo semplice e abissale questa verità: "L'anima deve mirare ad essere un altro Gesù ... prestare a Dio la nostra umanità affinché la usi per farvi rivivere il Figlio suo".

    Far rivivere Gesù in noi, è certo opera di Dio. Ma è necessario fare la no-stra parte. Come? Accogliendo le sue parole di vita e imitandone gli atteggia-menti e le opere. L'ascolto e la messa in pratica della Parola di Dio sono decisivi per il cristiano.

    E la recita del rosario - spiega il Papa - si pone su questa lunghezza d'onda. Essa, infatti, viene ad integrare, nella quotidianità della vita, la medita-zione della Sacra Scrittura e la partecipazione alla liturgia della Chiesa…Il rosario è una pedagogia inventata da Maria, con il suo amore di Madre, per aiutarci ad "imparare" Gesù.

    Non meditiamo forse, nei misteri del rosario, gli eventi principali della vita di Lui? E non li meditiamo imprimendoli nella mente e nel cuore per "rivestirci dei suoi stessi sentimenti?”

    È così che si diventa "amici" di Gesù: frequentandoLo assiduamente.

    Lo diceva il beato Bartolo Longo, grande propagatore di questa pratica.

    Questa preghiera così semplice da poter essere la preghiera di tutti e in tutte le circostanze, ricorda il Papa, "batte il ritmo della vita umana, per armonizzarla col ritmo della vita divina, nella gioiosa comunione della Santa Trinità" (n.25). E confessa: "È la mia preghiera prediletta".

    Ma perché, viene da chiedersi, per sintonizzare il ritmo della nostra vita sul ritmo della vita d'amore della Trinità, occorre pregare con Maria?

    C'è qui qualcosa che tocca le radici della fede cristiana.

    Guardare a Gesù con gli occhi di Maria c'insegna come dev'essere il no-stro cuore: aperto, pienamente affidato, quasi un calice vuoto pronto ad accoglie-re il dono di Dio. Come lo è stato Maria nel "fiat" dell'Annunciazione, mille volte ripetuto, nella gioia e nel dolore, nella luce e nell'oscurità, sino ai piedi della croce e all'effusione dello Spirito Santo nel Cenacolo.

    Maria è il modello del discepolo che segue passo passo Gesù, affinché Egli possa rivivere in lui. Da Maria impariamo lo stile della contemplazione cri-stiana, che non è fuga dal mondo, ma allenamento a conservare nel cuore le parole di Gesù (cf. Lc 2,19), perché, al momento opportuno, diano frutto nella vita.

    Contemplare è specchiarsi in Colui che si contempla, Gesù, per poterLo poi rispecchiare a propria volta. Come ha fatto Maria che - scrive il Papa nell'enci-clica sull'Eucaristia - irradiava la luce di Gesù attraverso i suoi occhi, la sua voce, i suoi gesti.

    Maria, poi, non è soltanto un modello, sia pure il più alto e trasparente, del nostro cammino d'immedesimazione con Gesù. E’ qualcosa di molto di più. E’ la Madre di Gesù ed è, spiritualmente ma realmente, la madre nostra. L'ha assicu-rato Gesù stesso, prima di morire, rivolgendosi a Maria e poi al discepolo che amava: "Ecco il tuo figlio... ecco la tua madre" (Gv. 19,26).

    S. Luigi Grignion de Montfort, dalla cui dottrina Giovanni Paolo II ha tratto il motto del suo ministero, Totus tuus, afferma che due soli son capaci di formare il Figlio di Dio nella carne: lo Spirito Santo e Maria.

    E quando parla del Figlio di Dio, pur riferendosi, in modo del tutto singolare, a Gesù, si riferisce insieme a quel rivivere di Lui in noi che ci fa figli nel Figlio.

    Maria, continuando nei secoli la sua missione in unione con il Risorto, esercita dal Cielo la sua maternità verso di noi. Se ci avviciniamo a Lei con fiducia e disponibilità, ci nutre di quel latte spirituale che genera in noi la vita di Dio.

    È un ruolo che la Chiesa ha sempre riconosciuto alla Madre del Signore. Ma negli ultimi due secoli "la presenza e la voce" di Maria - dice Giovanni Paolo II – hanno acquisito un timbro e un'incisività particolari: (1) le apparizioni di Lourdes e di Fatima, (2) i dogmi mariani dell'Immacolata e dell'Assunzione, (3) sino alla proclamazione di Maria Madre della Chiesa, a conclusione del Vaticano II, e (4) al riconoscimento del "principio mariano" come costitutivo della vita, della missione, della bellezza della Chiesa. Soprattutto oggi. 

    Tutto sembra convergere in una spinta delicata, ma decisa, proveniente dallo Spirito Santo, divino artista della storia di Dio con gli uomini, affinché ci mettiamo alla scuola di Maria per imparare Gesù. Il Gesù di sempre e il Gesù che, anche attraverso di noi, vuol vivere nel nostro tempo come Luce e salvezza per tutti”.


    La visione e l’esperienza di S. Massimiliano è dunque attualissima e in piena sintonia con lo Spirito che anima la Chiesa del nostro tempo. Seguendo e vivendo quanto p. Kolbe ci propone, siamo al passo con la Chiesa di oggi. 

    In particolare, nel pensiero mariano di S. Massimiliano, il dogma dell’Im-macolata Concezione occupa un posto centrale, unico. Questo dogma, che rac-chiude e manifesta il dono magnifico che Dio ha fatto a Maria Santissima, è la chiave di volta non solo della spiritualità, ma della stessa vita di S. Massimiliano. E’ quasi impossibile trovare una sua pagina scritta o un suo discorso ove non sia presente l’Immacolata. Tuttavia egli sa che la bellezza e la grandezza dell’Imma-colata Concezione è tutta in funzione della Maternità divina: “Ella fu Immacola-ta perché doveva diventare la Madre di Dio e divenne Madre di Dio perché era Immacolata” (S.K. 1292).

    Si potrebbe dire che il dogma dell’Immacolata Concezione folgorò la vita e la mente di S. Massimiliano in una visione mistica, mentre il dogma della divina maternità fu oggetto di profondo, intenso e anche faticoso studio che durò tutta la vita. “Le parole umane non sono in grado di descrivere chi sia Colei che è diventata vera Madre di Dio. A dire il vero, Ella da se stessa è soltanto una crea-tura, tuttavia è un essere talmente elevato da Dio, che bisognerà capire chi è Dio, per comprendere chi sia la Madre di Dio” (S.K.,1292).


    LA VISIONE FRANCESCANA DI MARIA(3) 


    A questo punto mi sembra importante e necessario tratteggiare a grandi linee la visione che Francesco ha avuto di Maria, ciò che l’Ordine ha sviluppato, con particolare riferimento all’Immacolata, e la visione e l’approfondimento di S. Massimiliano.

    Su questo argomento è stato scritto molto ed è difficile sintetizzare tutto in qualche pagina

    Diciamo subito che Francesco non fu un teologo nel senso di un ricerca-tore sistematico, cioè uno che si è messo a tavolino e ha elaborato la sua visione di Maria. E’ stato invece un grande mistico, guidato dai doni dello Spirito ed ha sperimentato quanto poi esprime nei suoi scritti. In essi non troviamo nessuna trattazione che riguarda Maria, ma da tante espressioni, preghiere, riferimenti si coglie la pienezza della sua esperienza di Maria, che cerca di trasmettere.


    a)  MARIA  E  LA   TRINITÀ


    Un primo aspetto che viene in luce negli scritti di Francesco è la visione, la contemplazione, nella fede, del mistero di Maria nel rapporto con la Trinità, di cui è l’Eletta e dalla cui elezione di grazia è consacrata (FF,259)

    La dignità di Maria deve essere fatta derivare dal suo rapporto vitale, unico, irre-petibile con il Dio - Trinità. Tutto ciò che è in Lei viene da Dio e Francesco non distingue mai la lode a Maria dalla lode alla Trinità. Egli non parte mai da una considerazione di Maria in sé, neppure nel suo singolare e unico rapporto con Cristo, ma dal disegno gratuito di Dio - Trinità nei suoi confronti (cfr. Magnificat).

    Nel Saluto alla Vergine c’è l’esempio più bello e concreto di questa visione.

    <Ti saluto, Signora santa, regina santissima, Madre di Dio, Maria, che sempre sei Vergine, fatta, divenuta Chiesa, eletta dal santissimo Padre celeste e da Lui col santissimo Figlio diletto e con lo Spirito Santo Paraclito, consacrata.

    Tu in cui fu ed è ogni pienezza di grazia e ogni bene.

    Ti saluto, suo palazzo.

    Ti saluto, sua tenda.

    Ti saluto, sua casa.

    Ti saluto , suo vestimento.

    Ti saluto, sua ancella.

    Ti saluto, sua Madre.>    (FF, 259).

    Tutti i privilegi di Maria inducono Francesco a pensare soprattutto e prima di tutto all’opera di Dio compiuta in Maria. Con un linguaggio pervaso di esul-tanza Francesco proclama: “Eletta dal santissimo Padre celeste, che ti ha consa-crata insieme con il santissimo Figlio diletto e con lo Spirito Santo Paraclito”.

    Tale elezione fa della Vergine la “tutta piena di grazia”, il degno “Palazzo”, il “Tabernacolo santo” della presenza augusta di Dio - Trinità, la “Madre di Dio”, ma allo stesso tempo anche la “Serva” disponibile alla sua parola e l’umile strumento del suo disegno di grazia.

    In questo contesto l’Assisiate non specifica il rapporto di Maria con le sin-gole persone divine. Lo fa invece nell’antifona mariana che recitava quotidiana-mente nell’Ufficio della Passione ad ogni ora canonica. 

    Dice l’antifona: “Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te, nata nel mon-do, fra le donne, figlia e ancella dell’altissimo Re, il Padre celeste, madre del santissimo Signore nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo; prega per noi con S. Michele Arcangelo e con tutte le virtù dei cieli e con tutti i santi presso il tuo santissimo Figlio diletto, nostro Signore e Maestro”.(FF, 281).

    Si tratta di una preghiera mariana che risale ai secoli VII - VIII e che egli recitava con qualche piccola variazione personale. 

    In questa preghiera, Maria è da lui invocata “Figlia e ancella dell’altissimo sommo Re e Padre celeste, Madre del santissimo Signore nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo”.

    Questi titoli non sono del tutto originali, però sembra che il titolo “Sposa dello Spirito Santo” sia stato proprio Francesco ad usarlo per primo. Ad ogni modo denotano quanto Francesco ponga in alto il mistero di Maria e con quale profon-dità di sguardo ne colga la missione salvifica.

    Tale altezza e tale profondità sono raggiunte dal Santo di Assisi attraverso la me-ditazione amante e laudativa, nonché la preghiera, del racconto dell’Annuncia-zione, come la troviamo nel Vangelo di Luca (Lc. 1,26-38).

    Francesco considera Maria all’interno del piano salvifico della Trinità come strumento privilegiato del dono centrale dell’Incarnazione, per cui Maria è Madre di Dio.

    Dalla meditazione del Vangelo dell’Annunciazione Francesco prende i concetti che poi assimila ed esprime in forme diverse. Così, per es., quando parla ai cri-stiani del medesimo grande dono del Padre, la sua Parola, Gesù Cristo, dice: “Questa Parola del Padre, così degna, così santa e gloriosa l’annunciò dal cielo l’altissimo Padre per mezzo del suo arcangelo Gabriele alla santa e gloriosa Vergine Maria, dal cui grembo ricevette la vera carne della nostra umanità e fragilità” (FF. 181).

    La divina maternità di Maria non è solo motivo di giubilo e lode al Padre celeste, ma è anche la prima e più importante ragione per lodare e onorare Maria. La creatività poetica di Francesco di fronte al mistero di questa maternità appare anche nel fatto che, nei suoi scritti, egli mai onora Maria due volte con lo stesso titolo.

    Francesco celebra questa gloria di Maria, non in testi polemici, ma in preghiere e cantici. Non è da meravigliarsi allora che prediliga il mistero del Natale, “festa delle feste”, il giorno in cui Dio, fatto piccolo infante, aveva succhiato ad un seno umano. Nell’Ufficio esprime sotto forma di giubilo la fede nella vera incarna-zione di Dio nella carne di Maria.

    Francesco non vede mai Maria isolata dal mistero dell’Incarnazione, per cui “il Signore della maestà si rese nostro fratello”. Egli medita la posizione e funzione centrale di Maria, appunto la sua maternità divina; funzione e posizione che Maria ha in base alla Scrittura e alla coscienza di fede della Chiesa, nel dise-gno e nella storia dell’amore di Dio verso l’umanità. Un amore non tanto e pri-mariamente in quanto peccatrice, ma in quanto famiglia creata da Dio, nei riguardi della quale la Trinità santissima ha deciso di chinarsi per poter intessere con lei un dialogo di amore rispettivamente paterno, fraterno, sponsale. Tomma-so da Celano dice: “Circondava di un amore indicibile la Madre di Gesù, perché aveva reso nostro fratello il Signore della maestà” (F.F. 786).

    Francesco vede la missione d’amore compiuta da Gesù e da Maria fondata sulla loro vita umiliata ed avverte che non è tanto l’annuncio in astratto di tale amore, ma la congiunzione di questo annuncio con il suo fondamento (Be-tlemme), che evidenzia la pertinenza di tale annunzio per la nostra vita: il “per noi” dell’Incarnazione del Figlio, che genera in noi la fede in Lui e l’amore per Lui, è basato su una vita autenticamente umana: Egli è nato da un’umile donna, lungo la via e deposto in una mangiatoia, perché non c’era posto in albergo.


    b)   MARIA  E  LA  CHIESA


    Un altro aspetto della visione francescana di Maria è il rapporto Maria - Chiesa.

    A questo proposito ci aiuta la proposta di lettura critica del testo del saluto alla Vergine (FF, 259) avanzato da Kaietan Esser, un grande studioso di Francesco e della sua spiritualità. Secondo questo autore, nel Saluto, Francesco presenta Maria nel solco di una tradizione che risale al tempo dei Padri, come tipo e modello della Chiesa, la quale è ed è chiamata a divenire sempre più “Comunità dei credenti” nell’integrità del cuore, nella purezza della fede e nella dedizione senza riserve al suo Signore, al quale deve appartenere con cuore integro, vergine.

    Francesco vede la Chiesa così e vede in Maria la persona in cui si è realiz-zata in modo pieno e rifulge in forma esemplare la sostanza della realtà ecclesiale (cfr. L.G., 63-65). Dice infatti: “Ti saluto, Signora Santa, Regina santissima, Madre di Dio, Maria, che sei sempre vergine, fatta, divenuta Chiesa...” (F.F. 259).

    Maria è la rappresentazione concreta di ciò che è la Chiesa, ossia del mistero vitale a cui prendono parte i credenti vivendo come Lei di fede, carità e perfetta unione con Cristo.

    Maria però non è solo un originale in base al quale vengono formati la Chiesa e ogni singolo battezzato, ma si trova all’origine della Chiesa, perché Lei è la realizzazione dinamica, che influisce vitalmente imprimendovi la sua fisio-nomia. Maria, dunque, esercita un influsso esemplare, come modello di virtù, ma anche come efficace appello a crescere nella conoscenza del mistero della salvezza.

    Maria e la Chiesa, per quanto congiunte a Cristo, Francesco le vede di fronte a Lui, bisognose di salvezza e sempre al di qua della deità, quindi docili allo Spirito, nella cui forza aderiscono a Cristo e servono alla rigenerazione dei fedeli da parte del Padre, mediante il Figlio, nello Spirito Santo.

    Francesco invita ad una devozione mariana informata dalla visione del Cristo e dello Spirito. Con la sua intuizione del rapporto Maria - Chiesa, Fran-cesco si sprofonda nell’abisso del mistero divino.


    c)   MARIA  LA  POVERELLA


    Le considerazioni circa la grandezza di Maria, Madre di Dio, nel disegno amoroso della Trinità ci introducono in un altro aspetto della visione francescana di Maria: aspetto che costituisce la sua visione specifica, la sua angolatura particolare nel considerare Maria.

    E’ l’aspetto espresso in diversi passi degli scritti di Francesco, nei quali Maria Madre, Regina, Vergine, Eletta e beatissima, da Francesco è vista, sentita, amata e onorata quale Vergine e Madre Povera.

    I testi nei quali parla di questo sono numerosi: FF, 31, 90, 182, 303...

    Parlando della povertà che il frate minore è chiamato a vivere e testimo-niare, Francesco ne indica il motivo con queste parole: “E non si vergognino, ma si ricordino piuttosto che il Signore nostro Gesù Cristo, figlio del Dio vivo, onni-potente, rese la sua faccia come pietra durissima né si vergognò; e fu povero e ospite e visse di elemosine Lui e la Beata Vergine e i suoi discepoli” (FF. 31).

    Nella Lettera ai fedeli, parlando del mistero dell’Incarnazione, indica ai suoi fratelli di fede la grande degnazione del Padre di far scendere il suo Verbo “nel grembo della santa e gloriosa Vergine Maria” e di fargli ricevere dal seno di Lei “la vera carne della nostra umanità e fragilità” (F.F. 181)

    Ma al Santo non basta aver ricordato la sublime degnazione del Verbo e la fragi-lità umana assunta da Maria; egli sente di dover richiamare con cura anche la decisione del Figlio di Dio di spogliarsi radicalmente, di farsi povero e di asso-ciare a sé Maria sua Madre in questa forma di presenza tra gli uomini: “Lui che era ricco sopra ogni altra cosa, volle scegliere in questo mondo, insieme alla beatissima Vergine sua Madre, la povertà”(FF. 182).

    Il testo più importante e significativo è quello dove S. Francesco esprime la sua ultima volontà, in certo senso raccoglie, sintetizza lucidamente e conferma con vigore la sostanza della sua scelta di vita evangelica: “Io Frate Francesco, piccolo, voglio seguire la vita e la povertà dell’Altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre e perseverare in essa fino alla fine”(FF. 140).

    Le figure concrete, storiche del Gesù umile e povero e di Maria povera, sono le ultime immagini che si presentano agli occhi e allo spirito del santo morente. Le diverse biografie su questo punto concordano: Francesco ebbe sempre davanti ai suoi occhi e nel cuore la partecipa-zione della Vergine Maria al mistero di povertà del Figlio (cfr.FF. 653, 670, 672, 788, 1118, 1547).

    Come si vede si tratta di una componente rilevante della spiritualità ma-riana di Francesco, che non va minimizzata né dimenticata, ma da considerare come la dimensione più originale, specifica, quella che dovrebbe informare in modo tutto particolare la spiritualità mariana della famiglia francescana. Si tratta di comporre questa visione di Maria “Poverella” con quella di Maria “Gloriosa”.

    Qualcuno ha detto che non è possibile armonizzare queste due visioni.

    Il grande studioso Esser è convinto del contrario, ma non porta ragioni sufficien-ti. E’ possibile fare tale armonizzazione, ci sembra, se si considera questo tipico approccio di Francesco a Maria come il prolungamento, nel settore mariano, dell’esperienza francescana fondamentale e originale di Gesù Cristo, rivelazione e offerta dell’amore di Dio in forma umile, povera, kenotica.

    Maria, Regina gloriosa, è la Madre di Dio, l’Eletta della Trinità, il Taber-nacolo dell’Altissimo, la piena di grazia, che, però, come Vergine e Madre pove-ra, è stata chiamata da Dio a partecipare alla sua iniziativa salvifica verso l’uma-nità, attraverso la condivisione concreta della povertà, dell’umiltà, dello spoglia-mento kenotico abbracciati dal Figlio. 

    Se consideriamo l’esperienza che Francesco fa di Maria Vergine e Madre povera sullo sfondo del suo tipico, originale approccio al mistero kenotico di Gesù Cristo, Figlio di Dio Altissimo, possiamo comprendere come la sua devo-zione filiale, portata dalla fede, passi senza soluzione di continuità e senza dif-ficoltà dalla contemplazione di Maria quale Eletta dalla Trinità, Madre gloriosa di Dio, Regina e Signora piena di grazia, alla contemplazione di Lei quale Madre povera, Vergine povera, Regina povera, chiamata da Dio a collaborare al suo disegno di amore e di salvezza verso l’umanità con una forma di vita fatta di povertà, di umiltà, di spogliamento radicale simile a quella del Figlio.

    Di più: potremmo pensare che la prospettiva kenotica in cui Francesco coglie Maria quale Vergine e Madre povera, permetta di afferrare con maggior profondità la portata teologica della serie delle sue affermazioni mariane, che abbiamo denominato “gloriose”: anche in quanto Madre di Dio, piena di grazia, Signora, Maria è stata resa per sempre l’umile e povera serva che tutto ha ricevuto dall’Onnipotente e Santo, da Lei umilmente ringraziato nel suo cantico di lode.

    Per approfondire questo aspetto così tipico della spiritualità francescana, rimando alla appendice II°.


    LA  TESI  DELL’IMMACOLATA(5)


    La visione mariana di Francesco è stata poi ripresa e approfondita dai teologi francescani soprattutto in riferimento all’Immacolata Concezione.


    Oggi per noi questa verità rappresenta una realtà acquisita, chiara, certa; ma non è sempre stato così.

    * La Sacra Scrittura manca di affermazioni esplicite su questa verità e la richiama solo attraverso immagini ed espressioni che, agli occhi dei teologi, si sono chiarite gradualmente.

    * I primi Padri della Chiesa fanno silenzio attorno a questo tema.

    * La Chiesa è giunta alla piena comprensione di questa verità soprattutto grazie all’influsso della pietà popolare.

    La storia del lungo processo che ha portato la Chiesa alla definizione del dogma dell’Immacolata esemplifica bene il modo con cui, sotto l’azione dello Spirito, matura tra il popolo di Dio la comprensione della fede. Essa, cioè, si sviluppa mediante l’esercizio dei vari carismi di tutto il popolo di Dio:

    - i fedeli intuiscono le verità intrinseche al dato rivelato e le indicano ai teologi;

    - i teologi approfondiscono e illuminano con i loro studi tali intuizioni;

    - la gerarchia valuta, modera, promuove, riconosce, definisce (Cfr.: Dei Verbum , 8). Questo è avvenuto concretamente nel 1854 con Pio IX, per quanto riguarda il dogma dell’Immacolata.


    Parlando dell’Immacolata, occorre anche liberare il campo da alcune idee non troppo esatte:

    + spesso si confonde l’Immacolata con il concepimento di Maria: sono due cose distinte. Maria è stata concepita dai suoi genitori, Gioacchino e Anna, come tut-te le altre creature, ma fin dall’inizio Dio è intervenuto esentandola da ogni macchia di colpa;

    + altre volte si identifica Immacolata e Verginità di Maria: la verginità si riferi-sce all’intervento miracoloso di Dio, per cui il concepimento di Gesù da parte di Maria non è opera di uomo, ma dello Spirito Santo; Immacolata riguarda lo stato spirituale di Maria in rapporto a Dio e dice piena comunione con Lui fin dal primo istante di vita nel grembo della madre.

    Fatte queste precisazioni, prendiamo in considerazione la cosiddetta “tesi” dell’Immacolata.

    Quando si è incominciato a proporla da parte dei teologi, era nuova e neppure i grandi santi e dottori del Medioevo si davano da fare per sostenerla. 

    Il punto di partenza della questione era l’affermazione di S. Paolo che tutti gli uo-mini sono soggetti al peccato originale (Rom. 5, 12), nessuno escluso, se non Gesù.

    S. Agostino, nella polemica antipelagiana, sottolineò energicamente la ne-cessità assoluta della grazia di Gesù Cristo per la salvezza, per ogni uomo. Il bat-tesimo dei bambini praticato dalla Chiesa non si spiegherebbe senza l’universa-lità del peccato originale. In breve, l’universalità della redenzione compiuta da Gesù sottende l’universalità del peccato.

    Quindi, si diceva, anche Maria ha contratto il peccato per generazione, anche se per brevissimo tempo. Ne è stata liberata in previsione dei meriti della morte di Gesù. Sulla base della tradizione agostiniana si riteneva inconciliabile l’Imma-colata Concezione e la redenzione operata da Gesù. Se frutto della redenzione di Gesù è la liberazione dal peccato originale, o si nega la redenzione o si nega l’Immacolata. Tanti teologi del tempo hanno optato per la seconda.

    Su questo panorama si inserisce la dottrina del B. Giovanni Duns Scoto e della Scuola francescana in genere.

    1.  Per Scoto vi è prima di tutto una ragione filosofica, cioè di logica di pensiero, per cui, poste alcune affermazioni, ne derivano delle conseguenze ade-guate. Senza addentrarci troppo nei particolari che richiederebbero una conoscen-za profonda dei termini filosofici e del modo di procedere del pensare filosofico, si può dire, per comprenderci, che Scoto procede in questo modo: chi decide in materia di peccato originale non è l’uomo, né la natura decaduta come suo frutto (si pensava infatti che era l’uomo segnato dal peccato originale, che, mediante la generazione, trasmettesse anche l’eredità del peccato; quindi qualcosa di auto-matico, necessario).

    Scoto, invece, sostiene che è Dio che decide e Lui, secondo il suo disegno di sal-vezza e di amore, può benissimo esentare una persona dal peccato originale, visto che è partita da Lui la punizione della disubbidienza di Adamo.

    A questo modo di procedere di Dio non vi sono ragioni che si oppongono. Nulla vieta a Dio di poter agire così, perché Dio non è soggetto a nessuna logica o leg-ge, ma è sovrano nel suo agire. Per cui, dice Scoto, se una cosa è possibile, può accadere. Filosoficamente, quindi, è possibile l’Immacolata Concezione.

    2.  Ma vi è anche una ragione teologica che, per Scoto, rende possibile e opportuna l’Immacolata Concezione di Maria. E basa la sua spiegazione soprat-tutto sulla mediazione universale di Gesù e sulla Maternità divina di Maria.

    Cristo Gesù è il mediatore perfettissimo di tutte le grazie, perciò esercita questo atto nel modo più perfetto nei confronti di quelle persone di cui è media-tore. Certamente, allora, per nessun’altra persona ebbe un grado più eccellente di mediazione come per Maria, scelta da Dio ad essere Madre del Figlio suo.

    In questa affermazione vi è una visione nuova della mediazione: essa non è solo liberativa, come era pensiero comune dei teologi, ma anche preservativa (es. il medico che cura la malattia o che previene).

    Scoto arguisce il concetto di mediazione preventiva dalla considerazione della perfezione somma del mediatore, Gesù Cristo.

    Questa perfezione risiede nel suo essere vero Dio e vero uomo. Tutto ciò che Cri-sto ha operato è stato graditissimo alla Trinità. Allora certamente la sua opera di mediazione è perfettissima quando previene il male, preserva dal male e non solo libera dal male contratto. E, dice Scoto, se c’è una persona verso cui esercitare questa perfettissima mediazione in modo tutto particolare, questa è Maria.

    Cristo perciò è perfettissimo redentore e mediatore nel preservare la sua Madre da ogni macchia di peccato originale e anche dalla possibilità di esso.

    Un’ affermazione fondamentale di Scoto è che Dio aveva predestinato dal-l’eternità, da sempre, Gesù suo Figlio all’incarnazione, morte e risurrezione. In altre parole Gesù si sarebbe fatto uomo anche se non ci fosse stato il peccato ori-ginale, perché Dio non può essere mosso nel suo agire da una cosa o da un fatto esterno a sé, ma unicamente dall’amore: Dio è Amore (1.Gv.).

    E solo per manifestare l’amore più grande, perfetto verso il Padre e verso gli uo-mini, Gesù si sarebbe incarnato. Il Padre da sempre aveva pensato al Verbo In-carnato e, sulla sua immagine, ha creato l’uomo e il mondo. Gesù Cristo, Verbo Incarnato, quindi, ha il primato assoluto sopra tutte le creature.

    L’assoluta centralità del Verbo Incarnato emerge da molti brani della Scrittura. Pensiamo a Ef. 1, 3-14, dove si afferma che il Padre “ci ha scelti in Cristo prima della creazione del mondo”; a Col. 1,15-16, dove Cristo è visto come il prototipo della creazione: “Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di Lui sono state create tutte le cose...Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in Lui sussistono”.

    Anche Giovanni ci riferisce che “In principio era il Verbo” e che “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui” (Gv. 1,1).

    Da questi brani e da altri ancora, che si potrebbero citare, si riconosce il piano che Dio ha seguito nell’opera della creazione: prima ha pensato il Verbo Incarnato, poi ha pensato all’uomo e alla creazione in Cristo. Ci ha creati guar-dando a Cristo, l’uomo perfetto.

    E’ evidente che, in questo progetto di Dio, la Madre del Verbo Incarnato ha il suo ruolo unico e insostituibile. Ella fu pensata da Dio, fin dall’eternità, Im-macolata, proprio in vista dell’Incarnazione, come creazione nuova, terra ver-gine, o, per dirla con il Vangelo di Giovanni, la “tenda” dove Dio pone la sua dimora in mezzo a noi (cfr. Gv. 1,14).

    Di conseguenza anche Maria è stata predestinata dal Padre ad essere Madre di Cristo prima del peccato di Adamo e quindi non può essere soggetta al peccato originale.

    Come conciliare allora questa affermazione con l’altra, cioè che Maria è stata preservata dal peccato originale in previsione dei meriti della passione, mor-te e risurrezione di Gesù?

    Lungo i secoli vi sono state posizioni diverse, che qui non riferiamo per-ché sono per addetti ai lavori e per non ingenerare confusione. Diciamo che la conclusione alla quale sono arrivati i teologi, confermata poi autorevolmente dal Papa nella proclamazione del dogma dell’Immacolata, è la seguente:

    +- Maria è stata redenta in modo più perfetto, più sublime di noi.

    + La redenzione, come si diceva, può essere liberativa o preventiva. Questa non dice la necessità in un soggetto di contrarre il peccato, ma una possibilità. Ora, dice il Papa nella proclamazione, in Maria è da escludere anche questa possibi-lità, perché fu predestinata da Dio insieme a Gesù, con uno stesso disegno, per essere Madre di Dio. Ciò significa che mentre Dio predestinava Gesù all’incar-nazione, nello stesso tempo predestinava Maria alla maternità divina. Eleggen-dola a Madre del Figlio suo, non poteva in alcun modo includere Maria nella legge del peccato originale, ma doveva escluderla assolutamente.

    Ma allora Maria è stata redenta come ogni creatura?

    Certo, ma i meriti della morte e risurrezione di Gesù per Maria furono causa della sua esistenza, della sua elezione alla maternità divina e della sua esclusione dal peccato, mentre per noi sono stati causa della nostra creazione, redenzione dal peccato ed elevazione.

    La conclusione, quindi, è che la predestinazione di Cristo e la sua Incarna-zione, indipendentemente dal peccato, senza riferimento necessario al peccato originale, come sosteneva certa teologia, ma opera sublime dell’amore gratuito di Dio, comporta anche la predestinazione di Maria, in virtù dei meriti della croce, i quali in Maria operano l’esclusione dalla legge del peccato.

    A questa elezione da parte di Dio corrisponde la risposta di Maria. Non è pensata come una creatura passiva, ma come collaboratrice attiva: “Eccomi, sono la serva del Signore: avvenga di me quello che hai detto” (Lc. 1,38).

    Paolo VI nella “Marialis cultus” afferma: “Maria, assunta al dialogo con Dio, dà il suo consenso attivo e responsabile, non alla soluzione di un problema contin-gente, ma a quell’”opera dei secoli”, come è stata chiamata l’Incarnazione del Verbo” (17).

    Giovanni Paolo II completa e chiarisce il concetto della partecipazione attiva di Maria nel piano di Dio, con la catechesi che troviamo anche nella “Mulieris di-gnitatem”: “La particolare unione della Theotokos con Dio è pura grazia e, co-me tale, un dono dello Spirito. Nello stesso tempo, però, mediante la risposta di fede Maria esprime la sua libera volontà e dunque la piena partecipazione del-l’io personale e femminile all’evento dell’Incarnazione” (4).

    Nella “Redemptoris Mater”, ribadisce il medesimo concetto: “Nell’annunciazio-ne, Maria ha risposto con tutto il suo io umano e femminile ed in tale risposta di fede erano contenute una perfetta cooperazione con la “grazia di Dio che pre-viene e soccorre” ed una perfetta disponibilità all’azione dello Spirito Santo” (13).

    Questa in estrema sintesi la dottrina sostenuta dalla scuola francescana.


    LA   VISIONE   DI   P. KOLBE(6)


    S. Massimiliano assorbì profondamente questa tradizione mariologica del-l’Ordine e, come vedremo, cercò anche di approfondirla.

    Prima di esporre il suo pensiero, così come lo possiamo raccogliere dai suoi scritti, occorre fare qualche considerazione.

    1 -  S. Massimiliano è ammirato e considerato come un uomo di azione, che promosse opere eccezionali nel campo dell’editoria, delle missioni, dell’or-ganizzazione; è venerato soprattutto come martire, ma è poco considerato nel-l’ambito teologico.

    - Alcuni ammiratori giudicano la sua devozione a Maria l’espressione di una religiosità ingenua, sentimentale, priva di spessore teologico.

    - Anche oggi la sua dottrina su Maria è poco conosciuta e considerata e, quindi, anche la sua devozione a Maria è giudicata una dolce mania.

    A queste varie posizioni risponde in modo inequivocabile e autorevole Paolo VI nel discorso della Beatificazione il 17 Ottobre 1971. E’ utile risentire questo passo: “Nessuna esitazione trattenga la nostra ammirazione, la nostra adesione alla consegna che egli ci lascia in eredità e in esempio... Il profilo ma-riano del nuovo Beato lo qualifica e lo classifica fra i grandi santi e gli spiriti veggenti che hanno capito, venerato e cantato il mistero di Maria... Non è da rimproverare il nostro beato, né la Chiesa con lui, per l’entusiasmo che ha dedi-cato al culto della Vergine. Esso non sarà mai pari al merito, né al vantaggio di tale culto, proprio per il mistero di comunione che unisce Maria a Cristo e che trova nel Nuovo Testamento un’avvincente documentazione; non ne verrà mai una “mariolatria” come non sarà mai oscurato il sole dalla luna”.

    Parole lucide di un Papa di finissima cultura teologica e ricco di sensibilità evangelica.


    2 -  Vita e dottrina di p. Kolbe si compenetrano e si illuminano a vicen-da. Infatti, il mistero di Maria nella sua Immacolata Concezione non fu per lui solo una verità da credere e da studiare con assiduo impegno intellettuale, ma fu prima di tutto sorgente di vita, porta di ingresso al mistero cristiano della salvez-za e modalità di parteciparvi sotto la guida dello Spirito. Perciò non è compren-sibile e afferrabile la sua vita senza il rapporto con Maria Immacolata e la dottri-na mariologica che lo informa, lo sostiene, lo motiva; né tale dottrina è accessi-bile senza il vissuto.

    Dobbiamo affermare che, purtroppo, S. Massimiliano non ha potuto elabo-rare in modo sistematico il suo pensiero su Maria, ricco di intuizioni geniali.

    Nel “Progetto di un libro” abbiamo uno schema di come avrebbe voluto fare que-sta trattazione: appunti, vari temi non legati e materiale non ordinato né portato a termine; ci sono anche articoli e conferenze.

    Da tutto questo materiale si può ricavare il suo denso pensiero, le intuizioni, i principi di soluzione, tutto ciò che aveva meditato durante la sua esistenza. In tutti i suoi scritti egli non discute princìpi, non polemizza, non fa riferimento al-l’enorme letteratura mariana del tempo. Radicato nella storia e nell’humus reli-gioso-culturale polacco, dimostra di averne assorbito la tenerissima devozione a Maria, lo spirito cavalleresco, la ricchezza di motivi racchiusi nella prassi devo-zionale a Maria. Tale eredità religiosa viene da lui elevata a dimensione eccle-siale.

    Si muove anche nel solco della teologia e della spiritualità mariana e cri-sto-centrica dell’Ordine, come abbiamo visto, imprimendovi però aperture note-voli e prospettive che aiutano a rendere attuale la visione sostenuta dall’Ordine.

    Negli anni di formazione, soprattutto a Roma, ha conosciuto l’apporto determi-nante dei Francescani per la causa dell’Immacolata, come abbiamo visto. Di que-sta missione svolta dall’Ordine gode intimamente e lo ripete con frequenza nelle lettere e negli articoli.

    Si sofferma in particolare sull’apporto del B. Giovanni Duns Scoto. E’ più che mai convinto che l’Immacolata Concezione sia la tesi francescana per eccellenza, una causa sposata generosamente dall’Ordine, la vera perla dei francescani, per-ché ad essa dedicarono le energie migliori in tutti i tempi. La causa dell’Immaco-lata è come il filo d’oro che congiunge e unisce i Francescani dei vari secoli: in particolare i Conventuali.

    Scrive: “Io mi meraviglio talvolta del fatto che l’Immacolata non abbia offerto l’opera della M.I. ai francescani Osservanti o ai Cappuccini: eppure possono richiamarsi in egual modo alla tradizione francescana con lo stesso nostro diritto” (S.K., 343).

    Per questa constatazione propone parecchie volte e con insistenza la consacra-zione dell’Ordine all’Immacolata come impegno che conduca i religiosi ad un profondo rinnovamento interiore. Secondo lui, Dio ha concesso la M.I. ai Con-ventuali proprio a questo scopo.

    Continuando quindi la tradizione dell’Ordine nei riguardi dell’Immaco-lata, p. Kolbe si addentra in questo mistero, dove lo seguiamo anche noi. Nel suo itinerario verso Maria lo sostengono la sua esperienza spirituale, la sua vita inte-riore ricchissima, i doni dello Spirito. Egli è insieme mistico e teologo dell’Im-macolata: mistico perché di tale mistero possiede un’intuizione e un’esperienza eccezionali; teologo perché dell’Immacolata scruta tutta la ricchezza e la profon-dità attraverso le ragioni teologiche.

    Da un lato il mistero dell’Immacolata viene visto nel quadro generale della teo-logia, dall’altro, alla sua luce, p. Kolbe non solo organizza tutta la mariologia, ma cerca di comprendere il mistero divino e quello della salvezza. 

    L’Immacolata è lo specchio in cui p. Kolbe vede riflesso tutto il mistero di Dio. La sua visione dell’Immacolata non è qualcosa di settoriale, chiuso in sé, un particolare: p. Kolbe scruta il mistero di Maria nella visione d’insieme, globale del mistero di Dio-Trinità, di Cristo-Capo e centro delle creature e dell’esperien-za che ne fa nella sua vita, per cui i misteri cristiani non sono prima di tutto verità da conoscere e da indagare, ma sono vita.

    Quindi anche l’Immacolata non è prima di tutto un dogma, ma una persona viva per la quale Massimiliano vive concretamente; la sua devozione a Maria non è qualcosa di formalistico e sentimentale, ma è soprattutto un’esperienza sopranna-turale, profonda di vita con Maria e per Maria.

    Nel “Progetto di un libro” parla di umiltà, lealtà e preghiera per accostarsi a Ma-ria Immacolata, Essere vivente, puro, senza macchia, che ti ama. 

    Scrive: “Quando ti accingi a leggere qualcosa sull’Immacolata, non dimentica-re che in quel momento entri in contatto con un essere vivente, che ti ama, puro, senza macchia. Rammenta, inoltre, che le parole che leggi non sono in grado di esprimere chi Ella sia, poiché sono parole umane, attinte da concetti terreni, parole che descrivono ogni cosa in modo umano, mentre l’Immacolata è un Es-sere totalmente di Dio, per cui, in certo qual modo, è infinitamente più sublime di tutto ciò che ti circonda. Ella stessa ti si manifesterà attraverso i pensieri che leggerai e ti comunicherà pensieri, convinzioni, sentimenti che lo stesso autore non era stato minimamente in grado di immaginare.

    Considera attentamente, inoltre, che quanto più pura avrai la coscienza, quanto più la laverai con la penitenza, tanto più le tue cognizioni su di Lei saranno prossime alla verità.

    Riconosci pure con sincerità che senza il suo aiuto tu non sei capace di intra-prendere nulla nell’opera della conoscenza e dell’amore di Lei, con tutto ciò che deriva. Riconosci che Lei sola ti deve illuminare sempre più, Lei sola deve attirare il tuo cuore verso di sé con l’amore. Ricordati, perciò, che tutto il frutto della lettura dipende dalla preghiera a Lei. 

    Non cominciare la lettura prima di aver invocato con qualche preghiera il suo aiuto; non preoccuparti di leggere molto, ma piuttosto intreccia la lettura con l’elevazione del tuo cuore verso di Lei, soprattutto quando sentimenti di altro genere si svegliano nel tuo cuore. Quando poi concludi la lettura, affida a Lei la produzione di un frutto sempre più bello” (S.K. 1306).

    Da questa pagina si capisce come si conosce per amare di più e per vivere di più: questa è l’eredità della speculazione francescana.

    E’ necessaria un’intensa vita interiore per “conoscere” le realtà spirituali. Proprio da questa vita deriva la devozione di S. Massimiliano, che è vita evange-lica con il timbro, la luce, l’amore rivelato da Dio in Maria. La totalità irreversi-bile della sua donazione a Maria, che caratterizza la spiritualità kolbiana, trova il suo fondamento nella globalità e nella funzione salvifica universale di Maria nel piano della salvezza di Dio-Trinità.

    La visione mariologica globale del p. Kolbe rappresenta una novità nel pa-norama del devozionismo popolare. Ce lo dimostra l’incomprensione da parte di molti frati e superiori dell’Ordine. Viene messa in discussione la centralità che p. Kolbe accorda all’Immacolata e alla sua mediazione nell’ambito della grazia perché sembra che questo lo conduca ad una spiritualità diversa da quella del-l’Ordine, che pone al centro di tutto Cristo.

    P. Kolbe vuole dimostrare con la vita la perfetta cattolicità e il perfetto cristo-centrismo della sua dottrina, senza scoraggiarsi per le difficoltà.

    Addentriamoci allora, dopo queste premesse, nel pensiero di S. Massimiliano.


    IMMACOLATA  E  PIANO  DI  DIO


    Come si è accennato, p. Kolbe colloca la visione di Maria nella vita trini-taria e nel piano di amore di Dio per l’uomo. La pone cioè in un discorso gene-rale, globale sull’azione creatrice di Dio, ispirata dall’amore, e sulla risposta della creatura, intonata anch’essa all’amore.

    Scrive: “Dal Padre,  attraverso il Figlio e lo Spirito Santo, discende ogni atto dell’amore di Dio: atti creativi, atti che mantengono nell’esistenza, atti che danno la vita e il suo accrescimento, tanto nell’ordine della natura quanto nel-l’ordine della grazia. E così, Iddio partecipa l’amore alle sue innumerevoli somi-glianze finite; inoltre, la reazione d’amore della creazione non sale al Padre per altra via che attraverso lo Spirito e il Figlio. Non sempre ciò avviene con piena consapevolezza, tuttavia avviene sempre realmente. Dio solo e nessun altro è il creatore dell’atto di amore delle creature, ma se una di queste creature è dotata di libero arbitrio, tale atto non avviene senza il suo consenso” (S.K. 1310).

    La visione di Maria non è fine a se stessa, ma l’esposizione di p. Kolbe sull’Immacolata parte dal mistero trinitario e dal disegno o piano libero e gratuito della salvezza voluto da Dio, che consiste nella comunicazione della vita divina alle creature in Gesù Cristo (divinizzazione).


    S. Massimiliano stesso ci invita a leggere la sua mariologia in chiave trinitaria e questo attraverso numerosi suoi scritti. Famoso soprattutto è lo scritto in cui egli, proprio la mattina del suo definitivo arresto, il 17 febbraio 1941, fissa gli ultimi pensieri su Colei che non ha mai cessato di occupare il suo cuore di sacerdote e di apostolo. E’ un testo di primaria importanza, quasi il suo testa-mento. Contemplando: “Chi sei Tu, o Immacolata Concezione?” la risposta di S. Massimiliano sgorga dal suo cuore innamorato: “Tu sei la creatura talmente pie-na dell’amore di Dio, che non deviasti mai in nessuna cosa dalla volontà divina. Tu sei così unita allo Spirito Santo, come una sposa. Egli abita in Te, vive in Te. Egli stesso è l’Amore in Te. L’amore del Padre e del Figlio; l’amore con il quale Dio ama se stesso; l’amore di tutta la Santissima Trinità. Lo Spirito Santo ti ren-de feconda, concepisce la vita dell’Uomo-Dio. E attraverso il Figlio, l’amore ritorna al Padre. Tu così dai al Padre la risposta d’amore nel nome di tutta la creazione. Il cielo si congiunge alla terra; tutto il cielo con tutta la terra, tutto l’amore eterno con tutto l’amore creato: è il vertice dell’amore” (S.K., 1318).

    In questo piano, Maria fu predestinata e voluta da Dio tutta santa e, perciò, senza macchia di peccato, perché doveva essere la Madre dell’Uomo-Dio e del suo Corpo mistico.

    “Nel numero incalcolabile degli esseri possibili riproducenti le sue svariate perfezioni, Iddio vide pure, da tutta l’eternità, un Essere perfetto sotto qualsiasi aspetto, non contaminato da alcuna macchia di peccato e che rifletteva i suoi attributi divini nel modo più fedele possibile ad un essere creato. Si rallegrò per questa prospettiva e decise dall’eternità di chiamare tale Essere all’esistenza in un tempo determinato” (S.K. 1311).

    Dio realizzò questo piano nella storia (la pienezza dei tempi): p. Kolbe accenna quindi alle grandi tappe della storia sacra, mettendo in evidenza il ruolo speciale di Maria.


    IL NOME:  IMMACOLATA  CONCEZIONE


    Per fare questo, S. Massimiliano, fedele al metodo di indagine praticato nelle scuole di teologia, concentra la sua attenzione dapprima nell’analisi del no-me: Immacolata Concezione, per ricavarne il significato esauriente e preciso.

    Con l’ampia visione che lo caratterizza, egli segue il modello della rivela-zione del nome di Dio avvenuta sul Sinai (Es. 3,14) e della sua importanza nella storia di Israele per farci cogliere, per analogia, il significato di rilievo, che ha il nome “Immacolata Concezione” nella conoscenza del mistero di Maria nel piano della salvezza.

    In Oriente, il nome non era un’espressione esteriore, bizzarra o priva d’im-portanza: esso manifestava, in modo tutto particolare, l’essenza delle cose, la proprietà più intima della persona; anzi il nome era la persona stessa. Per questo dare il nome (cfr. Genesi) o conoscere il nome voleva dire avere il dominio sulle cose o sulle persone. In Israele è Dio soltanto che rivela il proprio Nome, perché solo Dio si conosce realmente e nessuno ha potere su di Lui; manifestando il proprio Nome, Dio afferma così anche la sua realtà sovrana e indipendente. Per tal modo il Nome rivelato esprime sia la trascendenza assoluta di Dio come pure la sua prossimità esistenziale; ne fa in certo modo intravvedere la sua vita intima, perché rivelando il Nome, che è parte della persona, si avvicina ad Israele, si dona ad esso.

    Il nome “Immacolata Concezione” non è stato rivelato esplicitamente da Dio nella Scrittura, come quello di “Jahvè”; l’ha coniato la Chiesa per esprimere in modo infallibile una realtà soprannaturale della persona che è “Maria”.

    Nel 1858, apparendo a Lourdes, Maria si presenta, si rivela: “Io sono lImmaco-lata Concezione”, quasi a conferma del dogma fissato appena quattro anni prima (Pio IX, 1854).

    S. Massimiliano è colpito da questa autodefinizione e la scruta con amore, consapevole che questa non è una rivelazione pubblica (Sacra Scrittura), ma pri-vata, che non impegna la fede, ma la sostiene e stimola la ricerca teologica... Le rivelazioni private, infatti, possiedono una funzione di grande importanza, perché aiutano a concentrare meglio la nostra attenzione su aspetti della Rivelazione che potrebbero rimanere oscuri o non percepiti e ci conducono a coglierne il contenu-to in modo esplicito e corretto. Per questi motivi, p. Kolbe attribuisce somma im-portanza alle parole di Maria a Lourdes e le analizza acutamente, vedendo in esse quasi la ratifica e l’illustrazione della definizione dogmatica del Papa Pio IX


    Immacolata Concezione: in primo luogo, osserva, troviamo in esse “la definizione” della persona di Maria, perché il soggetto (”Io”) è identificato con il predicato (“sono l’Immacolata Concezione”). Questa identificazione non procla-ma soltanto una dote o una qualità di Maria, ma delinea radicalmente il suo modo di essere. Ella non ha l’immacolatezza, ma è Immacolatezza e Santità.

    Naturalmente solo Dio è perfezione e santità assoluta, originale, fontale; quella di Maria è purezza e santità ricevuta, finita, è dono di Dio, ma è la più piena possi-bile in una creatura, tanto da elevarla e permearla compiutamente in modo totale fin dall’inizio. In questo senso, l’Immacolata è “il capolavoro di Dio”.

    Le parole uscite dalla bocca di Maria la indicano perciò con la massima precisione e dicono nel modo più profondo chi Ella è. 

    Scrive S. Massimiliano: “L’Immacolata a Lourdes in una sua apparizione non ha detto: “Io sono stata concepita immacolatamente”, ma: “Io sono l’Immaco-lata Concezione”. Con queste parole Ella determina non solo il fatto dell’Im-macolata Concezione, ma anche il modo con il quale questo privilegio le appar-tiene. Perciò non è qualcosa di accidentale, ma fa parte della sua stessa natura. Ella quindi è la Concezione Immacolata” (S.K., 486).

    C’è tuttavia la stessa differenza che passa tra un nome e un aggettivo: altro è un oggetto bianco (Maria), altro è la bianchezza (Dio); altro è un oggetto perfetto (Maria), altro è la perfezione (Dio).

    Dio è la perfezione assoluta, Maria la perfezione per dono, la più alta possibile ad una creatura.

    Da se stessa, ripete spesso S. Massimiliano, Maria non è nulla, ma per do-no di Dio è la creatura più perfetta. In questo senso non solo è concepita, ma è anche Concezione, perché Dio l’ha voluta elevare a prototipo di ogni creatura divinizzata.

    “Noi ci rivolgiamo a Lei con questo titolo, poiché Ella stessa a Lourdes volle presentarsi con questo nome... Immacolato è Dio e ciascuna delle Tre Persone divine, tuttavia Dio non è concepito. Immacolati sono gli angeli, ma neppure in essi vi è una concezione. Immacolati furono i nostri progenitori prima del pec-cato, però neanche loro furono concepiti. Immacolato e concepito fu Gesù, tut-tavia Egli non era una concezione, poiché, in quanto Dio, esisteva già da prima e a Lui si riferivano le parole che avevano rivelato a Mosé il nome di Dio...Tutte le altre persone sono una concezione, macchiata tuttavia dal peccato. Unicamente  Lei è non solo concepita, ma Concezione e per di più Immacolata. Questo nome contiene molti altri misteri che col tempo saranno svelati... Esso indica infatti che l’Immacolata Concezione appartiene in certo qual modo all’essenza dell’Im-macolata. Questo nome deve esserle caro perché indica la prima grazia ricevuta nel primo istante della sua esistenza e il primo è il più gradito. Questo nome poi si è verificato lungo tutta la sua vita poiché Maria è sempre stata senza peccato. Perciò fu “piena di grazia” e Dio fu con Lei sempre e fino al punto che Ella divenne la Madre del Figlio di Dio“ (S.K., 1331).

    S. Massimiliano non vede mai la Concezione Immacolata di Maria in mo-do statico, come una specie di ornamento o gioiello soprannaturale, ma come principio dinamico che permea tutto il suo essere e che si espanderà lungo tutta la sua vita, umile e povera agli occhi dell’uomo, ma incomparabile e intensissima davanti a Dio. Allora:

    Immacolata dice la santità, la perfezione, la purezza la più perfetta possibile ad una creatura per dono di Dio.

    Concezione dice la dipendenza assoluta da Dio.

    Vedremo meglio più avanti che per spiegare l’Immacolata Concezione p. Kolbe fa riferimento allo Spirito Santo.


    AZIONE   DI  DIO  E  RISPOSTA DELL’IMMACOLATA


    Quanto si è detto trova il suo fondamento nell’intuizione della realtà di ba-se di tutto il mistero cristiano. Realtà di cui S. Massimiliano è convinto perché ne ha fatto l’esperienza e cioè l’Amore di Dio: Dio è Amore (1 Gv. 4,8).

    Scrive: “La creazione è frutto dell’amore. Gesù Cristo è frutto dell’amore di Dio verso la beata Vergine. Ogni “uomo-Dio” (cristiano) è frutto dell’amore di Dio verso la beata Vergine. Dovunque c’è l’amore “ (S.K. 1291).

    Al principio delle vie di Dio, del piano di salvezza sta l’amore di Dio: ecco la grande luce che tutto illumina e rivela! Amore che è libertà creatrice, donazione gratuita, partecipazione della vita divina; amore che è un radicale, totale voler be-ne, puro dono. Questo e solo questo sta all’origine dell’azione di Dio e non altri motivi come potrebbe essere il peccato, la salvezza dell’uomo, ecc.

    Primo momento del piano d’amore di Dio è la rivelazione del mistero di Cristo, uomo-Dio, attraverso una creatura, Maria, come unico principio di perfe-zione per tutti, angeli compresi (cfr. Ef. 1,3ss; Col. 1,15ss); piano non condizionato dal peccato né degli angeli, né degli uomini, ma iniziativa libera, gratuita, assoluta di Dio in Gesù Cristo.

    Tale piano, secondo l’ampia visione di S. Massimiliano, comporta neces-sariamente anche la rivelazione di Maria Madre di Dio. Secondo l’opinione di tanti Padri e teologi, fatta propria da p. Kolbe, questa fu la prova cui furono sot-toposti gli angeli: accogliere Maria Immacolata come Madre di Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo. Lucifero e i suoi non l’accettarono. Da qui la lotta acer-rima del nemico contro Cristo e Maria (S.K. 1311).

    Partendo sempre dal principio dell’amore di Dio, p. Kolbe afferma che ta-le amore è creativo, cioè produce l’essere o la perfezione delle creature. Tanto più queste sono perfette, quanto più dipendono dall’amore di Dio. La perfezione quindi non è opera delle creature, ma frutto dell’amore discendente di Dio che si dona e si comunica liberamente. Conseguenza: Gesù Cristo, l’uomo-Dio, il cen-tro della salvezza, è il frutto supremo, insuperabile dell’amore creante di Dio.

    Maria, dal canto suo, è la creatura pura, più elevata, perfetta esistente, perché Madre di Dio, Immacolata.

    Quindi si realizza in Maria, in maniera insuperabile per le altre creature, il principio che quanto più una creatura è nobile e perfetta, tanto meglio riflette, manifesta, esprime Dio. Il suo amore creativo, infatti, produce somiglianze e im-magini di Sé nelle creature. E veramente l’Immacolata è la creatura più vicina a Dio, la persona finita che riflette Dio in modo incomparabile, perché piena di grazia, in modo unico e fedelissimo perché Immacolata, perché Madre di Dio.

    Ma ogni effetto è simile alla sua causa.

    L’Immacolata, riflesso meraviglioso unico di Dio-Amore, ci fa intrave-dere la sua vita intima: essere capacità sconfinata di amore intensissimo, parteci-pazione in maniera unica, per dono di Dio, alla creatività propria dell’amore divi-no, che si è manifestato in modo sommo nell’incarnazione di Gesù Cristo, uomo-Dio; è partecipazione alla fecondità della donazione di Dio nell’ordine della sal-vezza e cioè la mediazione universale di tutte le grazie, come vedremo più avanti.

    La santità dell’Immacolata, quindi, è capacità d’amare, ricevuta da Dio, senza possibilità di deviazioni, arresti, limitazioni; è amore e libertà, partecipa-zione perfetta, in una creatura, dell’amore fecondo, libero di Dio; è, perciò, es-senzialmente elevazione divinizzante della sua persona - libertà umana.

    S. Massimiliano non mette tanto l’accento sull’esenzione dal peccato originale, ma evidenzia la realtà positiva costituita dalla pienezza di grazia, dal dono gra-tuito di Dio, che esclude certo ogni peccato, ma ha la funzione primaria di eleva-re e divinizzare la persona e la libertà di Maria.

    L’Immacolata Concezione, per p. Kolbe, non è un privilegio giuridico inerte, ma un principio vitalissimo, vertiginoso nel cammino della persona; elevata ad una sfera soprannaturale altissima, Maria visse e realizzò nella libertà un movimento ascendente verso Dio senza cedimenti e deviazioni.

    Scrive S. Massimiliano: “...(Maria) è il vertice dell’amore della creazione che torna a Dio”; “...l’essere senza macchia di peccato, tutta bella, tutta di Dio. Neppure per un istante la sua volontà si è allontanata dalla volontà di Dio. Ella è appartenuta sempre e liberamente a Dio. E in Lei avviene il miracolo dell’u-nione di Dio con la creazione” (S.K., 1310).

    In questa visione sta anche il superamento di ogni forma di fisicismo che lega la peccaminosità originale ad una specie di infezione o malattia trasmessa per via della generazione naturale; secondo questa visione, per tanti teologi, si trattava di stabilire se Maria, come appartenente al genere umano, avesse avuto la necessità o la propensione a contrarre il peccato originale.

    Questo indirizzo è caratteristico di noi occidentali per i quali Immacolata dice mancanza di peccato, mentre per gli orientali dice soprattutto la “Tutta San-ta”, la “piena di grazia”, perché per loro, nell’azione di Dio, viene più in risalto il concetto di divinizzazione. La salvezza e la redenzione non sono limitabili alla sola liberazione dal peccato, ma, in primo luogo, come si diceva sopra, e soprat-tutto, significano elevazione e partecipazione gratuita alla vita divina in Cristo Gesù. La liberazione dal peccato è una conseguenza di questo.

    Fin qui abbiamo visto ciò che Dio ha operato gratuitamente e liberamente in Maria, secondo il pensiero di p. Kolbe.


    Ora vediamo la risposta di Maria.

    Partendo dalla legge fisica dell’azione e della reazione uguale e contra-ria, p. Kolbe illustra il tema del ritorno della creatura a Dio, ritorno che chiude il cerchio discendente dalla Trinità e risalente ad Essa.

    Scrive p. Kolbe: “La stupenda legge dell’azione e della reazione uguale e con-traria iscritta dal Creatore in ogni opera della creazione quale sigillo della SS. Trinità, si verifica anche qui. La creatura, uscita dalla mano dell’Onnipotente, ritorna a Lui e non trova riposo che in Lui fino a diventare Lui“ (S.K. 1296).

    “Il vertice dell’amore della creazione che torna a Dio è l’Immacolata, l’essere senza macchia di peccato, tutta bella, tutta di Dio“ (S.K. 1310).

    E’ la risposta d’amore di creature libere, che attua il ritorno a Dio, che costituisce la dignità massima della persona e l’espressione vera della libertà in un movimento ascendente incessante. Nella risposta di amore di Maria c’è la per-fezione somma perché è Immacolata. Resa capace di un amore puro, durante la sua vita terrena camminò lungo le vie di Dio con libertà chiara e rettilinea.

    Nella sua risposta sono contenute anche tutte le flebili risposte degli uomini. La risposta di Maria chiude così il circolo dell’amore: quello discendente dalla Tri-nità, che si comunica all’umanità attraverso lo Spirito Santo e Maria sua sposa; quello ascendente: nell’amore di Maria c’è il ritorno, perché nel suo amore, tutte le creature, mediante lo Spirito, sono introdotte nel circuito misterioso della vita trinitaria.

    Dice S. Massimiliano: “E così il ritorno a Dio, la reazione uguale e contraria procede per la via inversa a quella della creazione. Con la creazione tale cam-mino viene dal Padre attraverso il Figlio e lo Spirito, mentre qui, per mezzo del-lo Spirito, il Figlio si incarna nel grembo di Lei e, attraverso Lui, l’amore ritor-na al Padre. Nell’unione dello Spirito Santo con Maria non solo l’amore con-giunge questi due Esseri, ma il primo di essi è tutto l’Amore della SS. Trinità, mentre il secondo è tutto l’amore della creazione e così, in tale unione, il cielo si congiunge alla terra, tutto il cielo con tutta la terra, tutto l’Amore Increato con tutto l’amore creato: è il vertice dell’amore” (S.K., 1318).

    In tutto questo traspare anche la funzione mediatrice di Maria: l’amore dell’Immacolata ne è la prima espressione; la maternità divina il momento culmi-nante; la cooperazione alla santificazione, operata dallo Spirito, il punto termi-nale.

    “L’Immacolata purifica, rende limpido l’amore meschino dell’uomo facendolo proprio nel suo amore immacolato e lo offre a Gesù. Egli presenta tale amore creaturale purificato al Padre dando ad esso una dignità e un valore senza limiti, perché partecipi del suo Corpo Mistico” (S.K., 1310).

    Ancora: “Gesù, il Figlio di Dio e dell’uomo, l’uomo-Dio, il Mediatore tra Dio e gli uomini è il frutto dell’amore di Dio e dell’Immacolata” (S.K.,. 1310).   “A imita-zione di questo primo Figlio di Dio, dell’uomo-Dio, devono essere formati i figli adottivi di Dio, riproducendo la fisionomia dell’uomo-Dio... Pertanto chi non vorrà avere Maria Immacolata per Madre, non avrà neppure Gesù Cristo per fratello, Dio Padre non gli invierà il Figlio, lo Spirito Santo non formerà con la propria grazia il Corpo Mistico sul modello di Cristo, perché tutto ciò avviene in Maria Immacolata, piena di grazia e unicamente in Maria” (S.K., 1295).

    Ritorneremo sul tema della mediazione di Maria più avanti.

    Possiamo dire che S. Massimiliano concentra tutta la sua teologia in una espressione densa di contenuto: “solo l’amore crea”. In essa vi è espressa tutta l’azione di Dio - Amore - Trinità, che si riversa sull’uomo, su Maria in partico-lare. Ma vi è espressa anche la risposta di Maria e di ogni persona; infatti l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, partecipe per grazia, della vita divina, in tanto è e vale in quanto ama, come Dio che è Amore. Nell’amore l’uomo trova la sua autenticità e la sua grandezza.

    In questa visione ampia del disegno di Dio e della risposta dell’uomo, del-l’amore discendente e ascendente, p. Kolbe risponde anche agli interrogativi con-cernenti l’Immacolata, il peccato originale, la redenzione. Ma non approfondisce gli argomenti.

    L’esistenza e la santità dell’Immacolata non hanno per lui quale presup-posto o premessa il peccato originale né la liberazione da esso. Quella di Maria è santità primigenia, originale, quale dono gratuito di Dio-Amore, perché Ella do-veva essere Madre di Cristo, uomo-Dio e predestinata con Cristo dall’eternità. La sua fu salvezza e liberazione redentrice nel senso che la presenza di Maria fu col-locata fin dal principio in una sfera soprannaturale vertiginosa; camminò con libertà piena e sempre più intensa fino al termine (Assunzione), senza deviazioni e intoppi.

    La sua libertà fu tanto più grande e perfetta quanto maggiore fu la grazia eleva-trice-liberatrice; la sua persona, per dono di Dio in Gesù, fu liberata e salvata da ogni fallibilità concreta, per cui compì una traiettoria rettilinea fino al termine; la sua vita fu un andare al Padre verso la terra della libertà che ha come termine la divinizzazione, cui ogni uomo, e non solo Maria, è chiamato.

    Come si vede è richiamata in pieno la linea e il pensiero di Scoto e della scuola francescana. La salvezza-redenzione in Maria è una realtà in sé senza con-nessione con il peccato. Maria è la massima e incomparabile realizzazione della salvezza-divinizzazione operata da Gesù Cristo, la rivelazione di ciò che costi-tuisce la redenzione nella sua attuazione più perfetta e totale: fare creature divi-nizzate. Maria è il prototipo ineguagliabile sia per quanto concerne l’azione di Dio, sia per quanto riguarda la risposta della creatura: “Ecco, sono la serva del Signore...”.


    L’IMMACOLATA  E  LO  SPIRITO   SANTO


    Ne abbiamo accennato più volte. Ora vorremmo approfondire questo aspetto molto caratteristico nel pensiero mariologico di p. Kolbe.

    + Qualcuno ha accusato S. Massimiliano di un culto esagerato a Maria, soprattutto per la consacrazione totale a Lei e abbiamo già detto quanto ha affermato Paolo VI a questo proposito.

    + Altri vedono in questa devozione totale a Maria qualcosa che supplisce il poco spazio riservato allo Spirito Santo nella vita del cristiano, in particolare nella teologia occidentale e prima del Concilio. Nel mondo orientale vi è un’altra considerazione dello Spirito Santo nella vita del credente e della Chiesa. In pratica si dice: siccome non si ha un rapporto vivo con lo Spirito Santo, allora ci si rivolge a Maria. Costoro, bisogna dirlo, non conoscono la dottrina di p. Kolbe circa lo Spirito Santo e l’Immacolata.

    Nel suo pensiero infatti, come Maria non oscura Gesù, anzi fa risaltare la sua opera redentiva-divinizzante, così non si sostituisce allo Spirito Santo, ma fa risplendere ed esalta in maniera tutta particolare la presenza e l’azione dello Spirito Santo in Lei e in ogni cristiano. Si può ritenere che nella teologia di p. Kolbe, l’Immacolata ha la funzione capitale di far conoscere lo Spirito Santo e la sua azione nella Chiesa. E’ uno dei punti più interessanti, originali e fecondi della sua mariologia.

    Il primo anello fondamentale per cogliere il pensiero di S. Massimiliano, da questo punto di vista di estrema importanza, è dato dalla relazione tra la Persona dello Spirito Santo, che lui definisce: “Concezione Immacolata Eterna”e la Concezione Immacolata di Maria.

    E’ una riflessione che deriva dalla sua visione globale del mistero di Maria, come abbiamo visto, e specialmente dal rilievo capitale che S. Massimiliano accorda al mistero della Trinità per delineare ogni mistero cristiano.

    Per procedere in modo ordinato e possibilmente abbastanza chiaro voglia-mo considerare due suggestioni che la riflessione di p. Kolbe propone e alle quali cerca di rispondere:

    1.  Chi è lo Spirito Santo? Come cerca di descriverlo S. Massimiliano?

    2.  Quale relazione c’è tra lo Spirito Santo e Maria, tra la Concezione Immacolata Eterna e la Concezione Immacolata finita?


    Chi è lo Spirito Santo? Come cerca di descriverlo P. Kolbe?


    Fedele al suo metodo di indagine, egli applica il principio fisico dell’azione-reazione, come abbiamo già potuto vedere sopra, per spiegare il mistero della Trinità e l’origine dell’universo.

     Possiamo riassumere così il suo pensiero: le creature rispecchiano Dio-Trinità, Creatore, Origine  di ogni realtà creata. Il mondo creaturale rimanda a Dio-Trinità, dal quale ha origine. Non solo a Dio come causa prima, Sorgente, Fonte di vita, ma a Dio come esemplare, modello, archetipo, paradigma di ogni creatura, in particolare il Verbo, nel Quale e per il Quale è stato fatto tutto ciò che esiste (cfr. Ef. 1, 3-14; Col. 1, 15-16; Gv. 1, 1).

    Questo avviene in maniera ancora più elevata ed evidente nell’ordine soprannaturale. Pensiamo ai Santi: la loro testimonianza di vita rimanda ad una santità superiore, fondante, più perfetta, assoluta, di cui essi sono manifesta-zione.

    Anche la Concezione Immacolata di Maria ha la sua sorgente, il suo principio esemplare. Dove? Nella Trinità.

    Per illustrare le sue affermazioni, S. Massimiliano ricorre a un’analogia desunta dal mondo umano. Nella famiglia, osserva, il figlio è il frutto dell’amore reciproco dei genitori; è una “concezione” derivante dall’amore fecondo. Lo Spi-rito Santo, come insegna la teologia, è il termine, cioè il punto di arrivo, sussi-stente come Persona divina, cioè esistente per sé ed in sé, dell’amore mutuo, reci-proco, eterno del Padre e del Figlio. Egli può essere delineato, in questo senso, come “Concezione Immacolata sussistente, perfetta, eterna”; è questa Concezio-ne Immacolata sussistente che lo costituisce Persona divina distinta, in quanto la divinità esiste in Lui come frutto dell’amore reciproco del Padre e del Figlio. Da notare che, assumendo l’analogia della generazione umana, che termina nella produzione di una nuova persona di cui sono autori il padre e la madre, S. Mas-similiano non pensa ad un duplice principio, maschile e femminile, nella Conce-zione dello Spirito.

    Entriamo qui nel mistero della Trinità, dove il linguaggio nostro umano è del tutto inadeguato per descrivere la realtà. Anche i teologi e i Padri della Chiesa, lungo la storia e fini ai nostri giorni, si sono serviti di termini che cercano di esprimere quanto si può comprendere di questo mistero. Non è qui il caso di addentrarci in questo. Ci limitiamo solo a qualche accenno, speriamo chiaro, per cogliere meglio il pensiero di Kolbe sul rapporto tra lo Spirito Santo e l’Immacolata.

    Nel linguaggio teologico esiste un termine, fondato nella Rivelazione, per indicare l’origine e la proprietà della seconda Persona; si parla di “generazione” del Figlio dal Padre. 

    Non esiste invece un termine specifico come il primo per indicare il modo di ori-gine e il costitutivo proprio della terza Persona; vengono impiegate descrizioni che la riallacciano all’amore, come prodotto di esso. P. Kolbe per descrivere l’origine, il costitutivo, l’essere proprio, chi è lo Spirito Santo, usa il termine “Concezione” .

    E’ un termine nuovo, originale profondo, che può suscitare sorpresa o anche diffidenza, perché non pare differenziarsi dal primo; che differenza c’è, infatti, tra generazione e concezione?

    Generazione indica l’atto del produrre, del generare, del dare la vita, mediante il quale il Padre da sempre genera, produce il Verbo, nello Spirito. Questo, secondo S. Tommaso, avviene nella linea della conoscenza, nel significato biblico del termine che comporta comunione di vita, intimità: (“Nessuno conosce il Figlio  se non il Padre; nessuno conosce il Padre se non il Figlio”) e dell’esprimere la realtà conosciuta: (“Filippo, chi vede me vede il Padre”). Per questo il Figlio generato dal Padre è detto “Verbo”,  “Parola del Padre”,  “pronunciata”, “detta” dal Padre; è Immagine perfettissima del Padre che lo produce. Generazione dice dunque somiglianza, uguaglianza, rappresentazione, esistente come Persona, del Principio che lo genera, che lo produce, che Gli dà vita: del Padre.

    Concezione”, nel mistero Trinitario, dice il perché della generazione, cioè l’Amore (Dio è Amore), che è vita circolante, fecondità infinita, donazione perfetta,  capacità e possibilità di dar vita,  intenzione e progetto di creare sul mo-dello delle Persone divine.

    Questo Amore, vita, dono, fecondità, donazione, intenzione, progetto si “ipo-statizza”, come si dice in termine tecnico, cioè  diventa Persona, la Terza Persona della Trinità, lo Spirito Santo. Egli è l’essenza divina (Amore, Dio è Amore) in quanto amata dal Padre nel Figlio e dal Figlio nel Padre. Lo Spirito sussiste come frutto o termine dell’amore reciproco, mutuo, eterno del Padre e del Figlio.

    E’ perciò una “Concezione” (frutto dell’Amore),eterna, increata, perché da sempre e per sempre il Padre ama il Figlio ed è da Lui riamato; infinita, perché è Dio come il Padre e il Figlio, libera, perché libero, attuale, sempre presente è l’amore del Padre per il Figlio; immanente, necessaria, perché non può essere che così, essendo Dio Amore; immacolata, perché non altera né divide l’essenza divina; non è meno Dio, ma possiede l’identica divinità del Padre e del Figlio. 

    Per esplicitare meglio questa differenza si può ricorrere ad un’ immagine del grande teologo tedesco M.J.Scheeben, tratta dal mondo vegetale: la fecondità della pianta esprime la sua vitalità non soltanto riproducendo nuove piante per generazione, ma anche in una seconda forma, che non è però generazione, perché il prodotto non è un’ immagine simile a se stessa. La pianta produce linfe, succhi e profumi che manifestano all’esterno la sostanza vitale che serve alla formazione del primo prodotto. La vitalità della pianta nel suo comunicarsi ha dunque due termini che, in diverso modo, ne esprimono il carattere e la fecondità. La prima comunicazione è un vero generare, perchè la pianta si esprime in essa sostanzialmente, si riproduce. La seconda non è riproduzione, quindi non è generazione; è invece una notificazione della forza vitale della pianta e dell’essenza della sua potenza riproduttiva. Il suo carattere proprio è uno spirare, un effondersi, un emanare(7). Quindi concezione dice che lo Spirito Santo è la personificazione, la manifestazione della creatività, della fecondità, della donazione totale del Padre al Figlio e del Figlio al Padre e nel Figlio a tutte le creature, all’universo intero.

    Dopo quanto abbiamo detto ascoltiamo quanto afferma S. Massimiliano e ritengo che il suo pensiero apparirà sufficientemente chiaro: “Le parole che in-dicano realtà create ci parlano delle perfezioni divine soltanto in modo imper-fetto, limitato, analogico. Sono un’eco, più o meno lontana, degli attributi divini, come le svariate creature che esse designano. Ma la concezione (la parola, il ter-mine, il concetto “concezione”) costituisce forse un’eccezione? Non è possibile, perché in questo campo non esistono eccezioni di sorta. 

    Il Padre genera il Figlio, mentre lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio. In queste parole è racchiuso il mistero della vita della Santissima Trinità e di tutte le perfezioni esistenti nelle creature, le quali non sono altro che un’eco, di natu-ra diversa, un inno di lode, in toni multicolori, di questo bellissimo mistero. Noi dobbiamo pure servirci delle parole tratte dal vocabolario delle creature, dato che non ne abbiamo altre, anche se dobbiamo ricordarci che si tratta di parole imperfette.

    Tutto ciò che esiste al di fuori di Dio...porta in se stesso una somiglianza con il Creatore e, nel creato, non esiste nulla che non rechi in sé una tale somiglianza, poiché tutto è effetto di questa prima causa...Nel piano soprannaturale: Chi è il Padre? Che cos’è ciò che costituisce il suo essere? La generazione attiva, poiché Egli genera il Figlio dall’eternità e per l’eternità; genera sempre il Figlio. 

    Chi è il Figlio? E’ Colui che è generato, poiché sempre e dall’eternità è generato dal Padre. E chi è lo Spirito Santo? E’ il frutto dell’amore del Padre e del Figlio. 

    Frutto dell’amore creato è una concezione creata. Pertanto il frutto dell’amore, del prototipo, dell’esemplare di questo amore creato non è nient’altro che una concezione. Lo Spirito Santo, frutto dell’amore del Padre e del Figlio, è una Concezione Immacolata, Eterna; è il prototipo, l’esemplare di qualsiasi conce-zione di vita dell’universo... Quindi il Padre genera, il Figlio è generato, lo Spi-rito Santo procede e questa è la loro essenza per la quale si distinguono l’uno dall’altro. Li unifica tuttavia la medesima natura, l’esistenza, divina per essenza. Lo Spirito Santo, perciò è una Concezione Santissima, infinitamente santa, Immacolata “ (S.K., 1318).


    Che relazione c’è tra lo Spirito Santo “Concezione Immacolata eterna” e Maria la Concezione immacolata finita?

    Tra la Persona dello Spirito Santo e Maria, tra le due Concezioni Imma-colate, quella eterna e quella creata, c’è una unione profonda, unica, piena di mi-stero. Maria Immacolata è prospettata sinteticamente da S. Massimiliano quale sede, organo e manifestazione dello Spirito Santo, in modo analogo a quello pro-prio dell’umanità di Cristo rispetto alla Persona del Verbo.

    Per spiegare tale relazione particolarissima, p. Kolbe si serve di alcune idee ed analogie:

    1. la presenza-possesso della persona di Maria, fin dal primo istante della sua esistenza e fino alle più profonde radici di essa da parte della Persona divina dello Spirito Santo; questa presenza-possesso esprime dominio sovrano, che permea e compenetra la persona di Maria ren-dendola tutta di Dio, santa e immacolata. Ciò non significa assoluta-mente minaccia alla sua libertà o cancellazione della sua libertà; pro-duce all’opposto una dignità e libertà altissime, tanto più piene e per-fette quanto più intima e profonda è l’unione con lo Spirito; in Maria si riversa, in modo finito ma ineffabile e incomparabile, la fecondità creatrice dello Spirito che è Amore e Libertà infiniti.


    b) la “missione”: “missione” nel senso strettamente teologico-trinitario, non la troviamo negli scritti di S. Massimiliano, ma la nozione e il con-tenuto di “missione” riferito allo Spirito Santo e a Maria è implicita, con incidenza dominante, nelle sue riflessioni.

    + La “missione”, nel linguaggio teologico, è un prolungarsi della Tri-nità nel mondo creaturale, che produce una presenza specialissima delle Persone divine alle quali è attribuita: in concreto si parla sem-pre di missione del Figlio e dello Spirito Santo. La Scrittura lo insegna: il Figlio è “mandato” dal Padre; lo Spirito è mandato dal Figlio o dal Padre (cfr. Gv 14,15; 15,26; 16,7; Gal 4,6; Rom 5,5).

    + La “missione “ dice un nuovo specifico effetto soprannaturale nella creatura, una nuova presenza della Persona “mandata” in essa.

    + Tra lo Spirito Santo che viene o è “mandato” e Maria, come insegna il Nuovo Testamento, esiste un’ unione misteriosa, unica, fondata sulla “missione” dello Spirito in Lei; Spirito che si rende presente e prende possesso di Lei. Illuminante il testo di Luca nell’Annuncia-zione (1, 35): “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque Santo e chiamato Figlio di Dio”. Questo dice tutto sulla “missione” dello Spirito in Maria, indicando una presenza specialissima in Lei.


    c) l’analogia sposo-sposa: è una delle note per far intuire l’unione tra lo Spirito e Maria. Il p. Kolbe vi ricorre più volte per sottolineare spe-cialmente il possesso-dominio dello Sposo sulla sposa e la fecondità dell’unione sponsale. L’analogia, evidentemente, è intesa e utilizzata in un clima socio-culturale che non è il nostro; è opportuno perciò rap-portarsi a un ambito culturale non recente per cogliere gli aspetti del-l’analogia, come fa il p. Kolbe.

    E’ interessante rilevare che studi recenti hanno messo in luce che colui che indicò Maria con la denominazione di “Sposa dello Spirito Santo” fu Francesco d’Assisi. S. Massimiliano si ricollega istintivamente a lui e ne ripropone il ricco e originale significato.

    Scrive p. Kolbe: Se fra le creature una sposa riceve il nome dello sposo per il fatto che appartiene a lui, si unisce a lui, si rende simile a lui e, in unione con lui diviene fattore creativo di vita, quanto più il nome dello Spirito Santo 

    “Immacolata Concezione” è il nome di Colei nella quale Egli vive di un amore fecondo in tutta l’economia soprannaturale?!.

    Nelle somiglianze create l’unione d’amore è la più stretta. La Sacra. Scrittura afferma che saranno due in una carne sola (Gen. 8,41) e Gesù sottolinea: Così che non sono più due, ma una carne sola (Mt. 19,6.  In modo senza paragone più rigoroso, più interiore, più essenziale, lo Spirito Santo vive nell’anima dell’Immacolata, nel suo essere, la feconda e ciò fin dal primo istante della sua esistenza” (S.K., 1318).

    S. Massimiliano va anche al di là di quest’ analogia perché non gli sembra sufficiente; infatti essa fa vedere principalmente la sfera del-l’agire e del vivere senza che la compenetrazione delle persone e il dominio dello Spirito vengano illuminati.

    Scrive: “Lo Spirito Santo compenetra l’anima di Maria in modo così ineffabile che la definizione di Sposa dello Spirito Santo è un’imma-gine assai lontana per esprimere la vita dello Spirito in Lei e attra-verso di Lei...Fin dal primo istante della sua esistenza il Datore di ogni grazia, lo Spirito Santo stabilì la propria dimora nella sua ani-ma, ne prese possesso assoluto e la compenetrò talmente che il nome Sposa della Spirito Santo non esprime che un’ombra lontana, pallida, imperfetta, anche se vera, di tale unione” (S.K., 1310, 1224). 


    d) la dottrina dell’inabitazione dello Spirito nell’anima: in virtù del-l’inabitazione, lo Spirito Santo con la sua presenza stabilisce una unio-ne specialissima con la persona di Maria, unione che è designata dalla Scrittura e dai Padri con i termini di “santuario, dimora, tempio” dello Spirito Santo. 

    “Di quale genere è questa unione? Essa è innanzitutto interiore; è l’unione del suo essere con l’essere dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo dimora in Lei, vive in Lei e ciò dal primo istante della sua esi-stenza sempre e per l’eternità” (S.K., 1318).

    Questa unione o inabitazione che, come afferma la dottrina della Chie-sa, è comune in tutti i battezzati, in Maria è di un’ intensità tutta parti-colare, altissima, speciale, nuova.

    Sintetizzando questo tema del rapporto tra Maria Immacolata e lo Spirito Santo possiamo dire:

    - Maria Immacolata non è l’incarnazione dello Spirito Santo, ma è la manifestazione più sublime di Chi è lo Spirito Santo  e che cosa opera. Quindi, pur nell’unione ineffabile, sono due persone pienamente distinte.

    - Tale unione consiste nel perfetto accordo tra la volontà dello Spirito Santo (Dio) e la volontà dell’Immacolata.

    - L’unione tra lo Spirito Santo e Maria esiste dal primo momento del suo concepimento.

    - Il primo dono di questa unione è l’Immacolata Concezione, cioè la preservazione dal pecato e della possibilità di  esso, in vista dei meriti della morte e risurrezione di Gesù. L’unione tra lo Spirito e Maria è una realtà dinamica, cioè in evoluzione, in crescita.

    - L’unione dello Spirito con Maria è iniziata nel momento del suo concepimento da parte di Gioacchino ed Anna e dura incesantemente. Di tale unione si può solo balbettare qualcosa, o cercare di esprimerla con immagimni come abbiamo fatto sopra. 

    Alcune di queste affermazioni si ripeteranno andando avanti nelle considarazioni che svolgeremo.

    S. Massimiliano approfondisce e sviluppa questo tema con felicissime intuizioni personali.


    MATERNITÀ  DIVINA  DI   MARIA


    L’approfondimento dell’unione dello Spirito Santo con Maria è soprattutto in prospettiva della divina Maternità di Maria, tema basilare del pensiero di p. Kolbe e sul quale ritorna molto spesso nei suoi scritti.

    S. Massimiliano non ritiene sufficiente e appropriata la nozione, comune a tutti i battezzati, di inabitazione propria dello Spirito Santo per delineare il caso di Ma-ria Immacolata. Indubbiamente c’è in Lei la grazia santificante come in tutti i giusti, anche se di intensità meravigliosa; ma la sua unione con lo Spirito Santo è fondata su un principio particolare: la divina maternità, che la colloca in un rap-porto specialissimo con la Terza Persona divina e perciò ne fonda una presenza nuova, altissima.

    Ciò che S. Paolo affermava di sé e della presenza di Gesù Cristo in sé: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”, vale in modo incomparabile per l’Immacolata Madre di Dio, elevata e permeata dalla presenza dello Spirito fino dall’inizio della sua esistenza. Come abbiamo già avuto modo di dire, la sua predestinazione è associata a quella del-l’Incarnazione del Figlio di Dio e alla missione dello Spirito santificatore in modo incondizionato e irrevocabile; questo determina e qualifica la costituzione personale soprannaturale, l’esistenza intima di Maria. 

    La sua realtà ontologico-soprannaturale fu formata e voluta da Dio oggettiva-mente, prima dell’intervento della libertà di Lei, come l’esistenza e il fine prece-dono l’agire della persona e ne determinano la situazione esistenziale. Maria Immacolata possiede per questo una funzione fondamentale oggettiva, un cari-sma-missione nel piano della salvezza. Qualche teologo parla, per questo, di “funzione personologica” di Maria.

    S. Massimiliano esprime questa verità con una frase incisiva: “Maria fu Imma-colata perché doveva essere Madre di Dio; è divenuta Madre di Dio perché era Immacolata”. In breve possiamo dire che quella di Maria fu una esistenza programmata sulla maternità divina. Impiegando un linguaggio desunto dalla ter-minologia scientifica, ma che sarebbe piaciuto a p. Kolbe, l’Immacolata Conce-zione di Maria fu quasi ilcodice genetico” soprannaturale della sua persona, orientata integralmente alla maternità divina.

    In Maria non c’era soltanto l’attitudine fisico-psicologica alla maternità, come in ogni donna; non esisteva soltanto la fecondità soprannaturale data dalla grazia, ma venne posta in Lei l’attitudine oggettiva e costitutiva alla maternità divina, prodotta dalla presenza-unione specialissima dello Spirito.

    Ecco perché S. Massimiliano parla di Concezione Immacolata eterna e Concezio-ne Immacolata finita. Come lo Spirito Santo è sorgente, capacità, possibilità di ogni vita, nella sua unione specialissima con Maria non poteva non renderla partecipe di questa sua prerogativa. Allora:

    Concezione viene a dire che “Maria non è Dio, che non ha principio, né un an-gelo, creato direttamente da Dio; non Adamo, plasmato con il fango della terra; non Eva, tratta da Adamo e neppure il Verbo Incarnato, il quale esisteva già dal-l’eternità ed è ‘concepito’ piuttosto che ‘concezione’...” (S.K., 1318), dipende da Dio, che la rende “capace” della maternità divina.

    Immacolata non dice solo che non contrasse il peccato originale, ma soprattutto che in Maria venne a realizzarsi un’ unione tutta particolare con lo Spirito Santo, Concezione Immacolata increata ed eterna in vista della Maternità divina.

    Scrive p. Kolbe: “Fin dall’eternità Dio aveva previsto una creatura che in nes-suna cosa, nemmeno la più piccola, si sarebbe allontanata da Lui, che non avrebbe dissipato nessuna grazia, che non si sarebbe appropriata di nessuna cosa ricevuta da Lui. Fin dal primo istante della sua esistenza il Datore della grazia, lo Spirito Santo, stabilì la propria dimora nella sua anima, ne prese altresì potere assoluto e la compenetrò talmente che il nome di Sposa dello Spirito Santo non esprime che un’ombra lontana, pallida, imperfetta, anche se vera, di tale unione” (S.K., 1224).

    Si tratta dunque di una presenza nuova dello Spirito Santo che unisce Ma-ria a Lui secondo il suo essere divino personale, sorgente divina di ogni materni-tà. In altre parole, nel momento della concezione della Vergine, il Padre e il Fi-glio assimilano questa creatura al loro comune Spirito perché Ella sia atta a dive-nire Madre del Figlio di Dio per lo Spirito Santo. Da questo istante c’è al fondo del suo essere di donna il fatto che questa grazia unica la raggiunge realmente poiché, per questa grazia, l’Immacolata è già definita, “programmata” come Madre di Dio: è la sua vocazione unica.

    Dice il teologo Muhlen: “Lo Spirito Santo, origine di ogni grazia, perciò anche della grazia della maternità divina, fu presente in Maria fino dal principio della sua esistenza in modo tale che Ella è caratterizzata “personologicamente” da questa presenza e non avrebbe potuto impedire l’Incarnazione rifiutando il suo “Sì”. Con ciò non si dice affatto che Maria si lasciò usare da Dio in un modo puramente passivo; piuttosto da tutto ciò risulta che il “Sì” personale, cioè libero e cosciente di Maria fu preparato e condizionato in modo personologico e fu così la concretizzazione libera dell’atto fondamentale della Vergine. La maternità divina fu per Maria una consacrazione; consacrazione che è sottratta alla sua libera autodeterminazione e che non può essere revocata o distrutta da un semplice atto personale; è cioé un ufficio nella storia della salvezza” (8).

    Con termine comprensivo di tutto questo S. Massimiliano condensa il suo pensiero nell’affermazione che a prima vista può apparire sconcertante: Maria è la quasi-incarnazione dello Spirito Santo: ne è perciò la rivelazione, l’organo operativo, il quasi-sacramento. P. Kolbe esclude con precisione assoluta che que-sta sia una seconda incarnazione dopo quella del Verbo. Lungi dal fare confusio-ni, S. Massimiliano afferma energicamente che quanto più intima è l’unione tra la Persona dello Spirito Santo e quella di Maria, tanto più quest’ultima è perfetta nella sua espansione; il Divino non soffoca l’umano ma lo eleva e lo fa vivere in-comparabilmente. Per questo l’inabitazione e la quasi-incarnazione dello Spirito Santo in Maria producono un’attuazione incommensurabile della dignità e libertà di Maria Immacolata e generano la vitalità meravigliosa della sua risposta d’amo-re; non sono un soffocamento, ma un’elevazione che potenzia e dilata la sua atti-vità di persona finita.

    Leggiamo dei testi significativi: “In che consiste questa vita dello Spirito in Lei? Egli stesso è amore in Lei, l’amore del Padre e del Figlio, l’amore con il quale Dio ama se stesso, l’amore di tutta la Santissima Trinità, un amore fecondo, una concezione” (S.K., 1318).

    “Nell’unione dello Spirito con Lei, non solo l’Amore congiunge questi due Es-seri, ma il primo di essi è tutto l’amore della Santissima Trinità, mentre il se-condo è tutto l’amore della creazione e, così, in tale unione il cielo si congiunge con la terra, tutto il cielo con tutta la terra, tutto l’Amore Increato con tutto l’amore creato: è il vertice dell’amore” (S.K., 1318).

    “Il Padre opera unicamente attraverso il Figlio e lo Spirito Santo. Gesù Cristo è il Figlio incarnato. L’Immacolata è lo Spirito Santo, in certo qual modo, incar-nato. Nel Padre vi è una persona e una natura. In Gesù Cristo vi sono una per-sona e due nature. Nell’Immacolata vi sono due persone e due nature, unite però nel modo più stretto possibile. In un’anima giusta è presente lo Spirito Santo, perciò nell’Immacolata, la creatura più giusta, lo Spirito Santo è presente nel modo più perfetto possibile. L’Immacolata non è solo “concepita senza pecca-to”, ma anche “Immacolata Concezione”. Perciò lo Spirito Santo regna in Lei nel modo più perfetto possibile” (S.K., 1286).

    “Lo Spirito Santo è nell’Immacolata come la Seconda Persona della Santissima Trinità, il Figlio di Dio, è in Gesù, ma con questa differenza: che in Gesù vi sono due nature, la divina e l’umana e un’unica persona, quella divina. La natura e la persona dell’Immacolata, invece, sono distinte dalla natura e dalla Persona dello Spirito Santo. Quest’ unione, tuttavia, è così inesprimibile e perfetta, che lo Spirito Santo agisce unicamente attraverso l’Immacolata, la sua Sposa” (S.K. 634).

    P. Kolbe, a proposito del mistero mariano della Maternità divina, pur non mancando di spunti personali, fa propria e accoglie la dottrina tradizionale della Chiesa. Tanto più che la Maternità divina non è solo il più grande dono fatto a Maria, ma anche la verità mariologica più documentata sia nella Bibbia che negli scritti dei Santi Padri e nei documenti del Magistero.

    Non facciamo qui tutta la storia del dogma. Ricordiamo solo che già nel 300 d.C.. si parla di Maria “Theotokos” (= Madre di Dio) e che la verità è stata definita nel Concilio di Efeso (431) e riconfermata nel Concilio di Calcedonia (451) e poi sempre approfondita e compresa dalla dottrina della Chiesa fino al Vaticano II nel cap. VIII. della ‘Lumen Gentium’.

    P. Kolbe considera la divina maternità come la prerogativa prima, più importante, fonte e radice di tutti gli altri privilegi di Maria.

    Dalla divina maternità scaturiscono tutte le grazie concesse alla SS. Vergine Maria e la prima grazia è l’Immacolata Concezione” (S.K., 1210) che è in funzione della maternità divina.

    S. Massimiliano, penetrando nel mistero, sostiene che se è difficile comprendere che cosa significa “creatura di Dio” ed “essere figli di Dio”, è ancora più arduo comprendere Maria, una creatura, “Madre di Dio”.

    Scrive: “Bisognerebbe capire chi è Dio per comprendere chi sia la Madre di Dio” (S.K., 1292); ma Dio sfugge ad ogni umana comprensione che voglia esaurire l’essere di Dio. 

    “Una madre non si chiama e non è madre di una parte del figlio, né un padre è padre di una parte di esso, ma sia il padre, sia la madre sono genitori di tutto intero il figlio. Così anche la Madonna si chiama ed è Madre di tutto Gesù, uomo-Dio, perciò è anche Madre di Dio” (S.K. 1305).

    Come è possibile questo? Unicamente per un dono dello sconfinato amore di Dio per il quale nulla è impossibile (cfr. S.K., 1292, 1296, 1320).

    Un testo riassuntivo: “Chi sei, o Signora? Chi sei, o Immacolata? Io non sono in grado di esaminare in modo adeguato ciò che significa “creatura di Dio”. Sor-passa già le mie forze il comprendere quel che vuol dire essere “figlio adottivo di Dio”. Ma Tu, o Immacolata, chi sei? Non sei soltanto creatura, non sei soltan-to figlia adottiva, ma sei Madre di Dio e non sei soltanto madre adottiva, ma ve-ra Madre di Dio. E non si tratta solo di un’ ipotesi, di una probabilità, ma di una certezza, di una certezza totale, di un dogma di fede.

    Ma Tu sei ancora Madre di Dio? Il titolo di Madre non subisce mutazioni. In eterno Dio ti chiamerà: Madre mia...Colui che ha stabilito il quarto comanda-mento, ti venererà in eterno, sempre... “ (S.K., 1305).

    A questa elezione da parte di Dio, Maria dà il suo pieno assenso, risposta e colla-borazione. Per questo è fondata e legittima la devozione a Maria che sempre la Chiesa, il popolo di Dio, ha vissuto e vive.

    Questa divina maternità Maria la esercita principalmente in rapporto a Gesù, l’Uomo-Dio. Per Lei, infatti, il Verbo di Dio si fa uomo per opera dello Spirito, perché l’uomo possa tornare ad essere Dio. Questa è la straordinaria vocazione ed elezione di Maria, di cui la Chiesa, fin dalle origini, ha preso coscienza, ha proclamato e difeso.

    Negli scritti, che abbiamo citato via via, notiamo un continuo riferimento di S. Massimiliano a Gesù nato da Maria. Scrive tra l’altro: “Il Tuo (di Gesù) cuore, ardente di amore verso di me, ti ha suggerito ancora un altro dono; sì, un altro dono ancora! Tu ci hai comandato di diventare come bambini se vogliamo entrare nel regno dei cieli. Tu sai bene che un bambino ha bisogno di una ma-dre: Tu stesso hai stabilito questa legge di amore. La Tua bontà e la Tua miseri-cordia, perciò, hanno creato per noi una Madre, la personificazione della Tua bontà e del Tuo amore infinito e dalla croce, sul Golgota, hai affidato Lei a noi e noi a Lei” (S.K., 1145).


    LA  PRESENZA  DI  MARIA  NELLA   CHIESA


    Tema trattato già nei primi secoli dai Padri della Chiesa, come scrive S. Cromazio, Vescovo di Aquileia (sec. IV) sull’origine della Chiesa: “La Chiesa si riunì in una camera al piano superiore con Maria, la Madre di Gesù e con i suoi fratelli. Non si può dunque parlare di Chiesa se Maria, la Madre del Signore, non è lì con i suoi fratelli: ivi è la Chiesa di Cristo, dove si predica l’Incarna-zione di Cristo dalla Vergine e là si sente il Vangelo, dove predicano gli apostoli, fratelli del Signore” (Sermone 30). 

    E’ un tema attuale che interessa sempre di più teologi e studiosi di spiritualità quello della presenza soprannaturale di Maria nella Chiesa. Questo tema, nel pen-siero di S. Massimiliano, si collega al rapporto tra Maria e lo Spirito Santo. 

    Il termine “presenza” sembra il più adatto a tradurre l’azione di Maria: attività varia e penetrante, non disgiungibile dalla realtà della sua persona. Non si tratta di presenza puramente ideale, simbolica o concettuale, ma di presenza con-creta, analoga a quella di una persona presso un’altra, di rapporto interpersonale, ovviamente di ordine soprannaturale; cioè, non è l’immagine o l’idea di Maria che è presente, ma Ella stessa nella sua concretezza. Le esperienze attestano ap-punto tale tipo di presenza, il contatto diretto con Lei e la coscienza di recepire il suo influsso dinamico.

    P. Kolbe è indubbiamente uno dei testimoni più notevoli della presenza esperienziale dell’Immacolata nella propria vita e nell’anima in grazia. E’ molto discreto nel confidare le intimità spirituali della propria vita, ma, dal modo con cui parla della relazione personale con l’Immacolata e da come tratteggia il cam-mino spirituale in unione con Lei, possiamo dedurre che egli si riferisce ad una vera presenza di Maria.

    Scrive: “Consacriamoci a Lei completamente senza alcuna limitazione, per esse-re suoi servi, suoi figli, sua cosa e sua proprietà incondizionata, così da divenire, in un certo qual modo, Ella stessa, vivente, parlante, operante... Quando saremo diventati Lei, anche la nostra intera vita e le sue fonti saranno di Lei e Lei stessa” (S.K., 486).

    “Noi siamo suoi, dell’Immacolata, illimitatamente suoi, perfettissimamente suoi, siamo quasi Ella stessa. Ella per mezzo di noi ama Dio. Con il nostro povero cuore Ella ama il suo divin Figlio. Noi diventiamo il mezzo attraverso il quale ama Gesù e Gesù, vedendo noi proprietà, quasi parte della sua amatissima Ma-dre, ama essa in noi e per noi... Vogliamo essere fino a quel punto dell’Immaco-lata che non soltanto non rimanga niente in noi che non sia Lei, ma che diventia-mo quasi annientati in Lei, cambiati in Lei, transustanziati in Lei, sì che rimanga Lei stessa; che siamo di Lei come Lei è di Dio” (S.K., 508).

    “L’Immacolata ci trasformerà in se stessa di modo che non siamo più noi a vive-re, ma Ella in noi, così come Gesù vive in Lei e il Padre nel Figlio. Permettiamo a Lei di fare in noi e per mezzo nostro qualunque cosa desidera” (S.K., 556).

    “Come Gesù Cristo nel grembo di Maria, l’anima deve rinascere secondo la for-ma di Gesù Cristo....Dal cuore di Lei deve attingere l’amore verso di Lui, anzi amarlo con il cuore di Lei e diventare simili a Lui per mezzo dell’amore” (S.K., 1295).

    “Nell’Immacolata i nostri atti acquistano una purezza immacolata, mentre in Gesù acquistano un valore infinito” (S.K., 1310).

    “Imitare Lei, dunque, avvicinarsi a Lei, offrirsi in proprietà a Lei, diventare Lei: ecco il vertice della perfezione dell’uomo” (S.K., 1325).

    “L’Immacolata ci trasformerà in se stessa di modo che non siamo più noi a vive-re, ma Ella in noi, così come Gesù vive in Lei e il Padre nel Figlio” (S.K., 556).

    Il Santo non fa un trattato sulla presenza di Maria nell’anima, ma ciò che appare chiaro è che questa presenza-mediazione viva è strettamente collegata al-l’unione specialissima di Maria con lo Spirito Santo. P. Kolbe insiste sulla pre-senza dello Spirito Santo, lo Spirito di Gesù, per far vivere da cristiani e portare gli uomini a Gesù: “Nessuno può dire: Signore, Signore, se non nello Spirito” (1 Cor. 12,3). Se lo Spirito non è in noi è impossibile riconoscere Cristo e quindi accoglierlo come unico Mediatore. Gesù ci dona da parte del Padre lo Spirito perché sia in noi avvocato, aiuto, sicurezza, mediatore.

    Poiché Maria è unita ineffabilmente allo Spirito, Ella è associata a quest’opera e a questa presenza così profonda.

    Per spiegarsi meglio, S. Massimiliano fa un confronto con quanto è avve-nuto nell’Incarnazione: in Gesù, nella sua umanità, unita alla persona del Verbo, c’è il segno visibile, dinamico, efficace della presenza e dell’attività di Dio nel mondo; analogamente l’Immacolata è segno visibile, dinamico della presenza e dell’azione santificatrice dello Spirito.

    Il Nuovo Testamento ci parla spesso della presenza-azione dello Spirito mediante segni quali la colomba, il fuoco (cfr. Pentecoste). Maria Immacolata è il segno incomparabilmente più alto ed espressivo dello Spirito lungo tutta la sua esistenza, in particolare, nella sua realtà materna feconda. Frutto dell’Amore, che è lo Spirito, e di quello di Maria è l’Incarnazione di Gesù, la generazione del cor-po fisico e mistico di Gesù (... erano radunati con Maria...) e la formazione del corpo mistico fino alla pienezza escatologica. Maria è sempre segno visibile-fe-condo dello Spirito; perciò a Lei compete una funzione materna, riflesso di quella dello Spirito, rispetto a tutta la Chiesa, Corpo di Cristo.

    “Lo Spirito Santo è nell’Immacolata come la seconda Persona della SS. Trinità, il Figlio di Dio, è in Gesù; ma con questa differenza: che in Gesù ci sono due na-ture, la divina e l’umana e un’unica Persona, quella divina. La natura e la per-sona dell’Immacolata, invece, sono distinte dalla natura e dalla Persona dello Spirito Santo. Questa unione tuttavia, è così inesprimibile e perfetta che lo Spi-rito Santo agisce unicamente attraverso l’Immacolata, la sua Sposa. Di conse-guenza, Ella è mediatrice di tutte le grazie dello Spirito Santo. Dato che ogni grazia è un dono di Dio Padre attraverso il Figlio e lo Spirito Santo, perciò non esiste grazia che non appartenga all’Immacolata. Dunque, venerando l’Immaco-lata noi veneriamo in modo tutto speciale lo Spirito Santo; e come la grazia vie-ne a noi dal Padre attraverso il Figlio e lo Spirito Santo, così, a buon diritto, i frutti di questa grazia salgono al Padre da noi in ordine inverso, ossia attraverso lo Spirito e il Figlio, vale a dire attraverso l’Immacolata e Gesù. E’ questo lo stupendo prototipo del principio di azione e reazione, uguale e contraria, come affermano le scienze naturali” (S.K., 634).

    Come è possibile questa presenza-azione universale di Maria?

    Gesù Risorto è divenuto Spirito vivificante; Maria assunta in cielo, non più sotto le categorie limitanti dello spazio e del tempo, espande la sua azione e la sua presenza - mediazione in modo universale in unione con lo Spirito.

    Nell’esposizione che abbiamo fatto si coglie che S. Massimiliano, pur non essen-do esegeta e studioso specializzato, ha saputo penetrare nel mistero di Maria. L’Immacolata lo ha guidato a percepire la profondità e a tradurre il midollo spiri-tuale con le formulazioni limpide, che nascono dalla vita. La mariologia di p. Kolbe è frutto di conoscenza saporosa, esperienziale, ricca di doni mistici, radi-cata in un’esistenza che è stata donazione illimitata all’Immacolata e desiderio ardente che tutti l’amassero.

    “O Immacolata, Regina del cielo e della terra, io so di non essere degno di avvi-cinarmi a Te, ma, poiché Ti amo tanto, oso supplicarti di essere tanto buona da volermi dire chi sei Tu. Desidero infatti conoscerti sempre di più e amarti in mo-do sempre più ardente. Inoltre desidero rivelare anche ad altre anime chi Tu sei, affinché un numero sempre crescente di anime Ti conosca sempre più perfetta-mente e Ti ami sempre più ardentemente, perché Tu divenga la Regina di tutti i cuori che battono sulla terra e batteranno in qualsiasi tempo; e ciò quanto pri-ma, al più presto possibile...

    Quando, o Signora, dominerai sovrana in tutti i cuori e in ciascuno singolar-mente? Quando tutti gli abitanti della terra riconosceranno Te quale Madre, il Padre celeste quale Padre e in tal modo finalmente si sentiranno tutti fratelli?” (S.K., 1307).


    LA   MEDIAZIONE   DI   MARIA


    Sviluppo di quanto abbiamo appena detto è il pensiero di p. Kolbe sulla mediazione di Maria, che si basa sulla sua unione particolare con lo Spirito San-to. Scrive: “Tutti noi sappiamo bene che la Vergine Immacolata è stata costituita da Dio mediatrice di tutte le grazie. In realtà nessuno si converte o si santifica senza la grazia di Dio, poiché è proprio la grazia di Dio la causa della conver-sione e della santificazione, purché l’anima voglia collaborare con tale grazia. Per questo motivo non si può affatto parlare né di conversione, né di santifica-zione senza l’aiuto di Maria Madre della grazia divina. Anzi, quanto più uno si avvicina a questa Dispensatrice delle grazie divine, tanto più numerose grazie riceve, tanto più facilmente si fa santo e contribuisce alla santificazione del pros-simo. E’ logico, quindi, che ci si impegni nell’opera di conversione e santifica-zione delle anime sotto la protezione e per la mediazione dell’Immacolata“ (S.K., 1226).

    Non è qui il luogo per fare il trattato della mediazione di Maria, ma, per capire il pensiero di p. Kolbe, occorre tenere presenti tre aspetti di questo argo-mento:

    1. la collaborazione o cooperazione di Maria alla salvezza operata da Gesù;

    2.  l’intercessione delle grazie attuali;

    3.  la distribuzione e l’applicazione concreta di esse ai fedeli.

    Abbiamo già detto che S. Massimiliano fonda la mediazione di Maria oltre che sulla maternità divina sul rapporto speciale con lo Spirito Santo. Dice: “...Questa unione, tuttavia, è così inesprimibile e perfetta, che lo Spirito Santo agisce unicamente attraverso l’Immacolata, la sua Sposa. Di conseguenza, Ella è la Mediatrice di tutte le grazie dello Spirito Santo. Dato che ogni grazia è dono di Dio Padre attraverso il Figlio e lo Spirito Santo, perciò non esiste grazia che non appartenga all’Immacolata, offerta a Lei, a sua libera disposizione” (S.K., 634).

    “ Al compiersi del tempo della venuta di Cristo, Dio uno e trino crea esclusi-vamente per sé la Vergine Immacolata, la colma di grazia e prende dimora in Lei...E questa Vergine santissima con la propria umiltà affascina talmente il suo Cuore che Dio Padre Le dà per figlio il suo proprio Figlio Unigenito; Dio  Figlio scende nel suo ventre verginale, mentre Dio Spirito Santo vi plasma il corpo santissimo dell’Uomo-Dio. E il Verbo si fece carne come frutto dell’amore di Dio e dell’Immacolata.

    Così Egli divenne il primogenito, l’Uomo-Dio, e le anime non rinascono in Cri-sto in altro modo, ma solo per mezzo dell’amore di Dio verso l’Immacolata e nell’Immacolata. E nessuna parola diviene carne, nessuna perfezione o virtù si incarna, si realizza in nessuno, se non attraverso l’amore che Dio ha verso l’Im-macolata. Come Cristo, sorgente delle grazie, è divenuto proprietà di Lei, così pure appartiene a Lei la distribuzione delle grazie. Ogni grazia è frutto della vita della Santissima Trinità: il Padre genera da tutta l’eternità il Figlio, mentre lo Spirito Santo procede da entrambi. Per questa medesima via qualsiasi per-fezione si diffonde nel mondo a qualsiasi livello. Ogni grazia proviene dal Padre, il quale genera eternamente il Figlio e per rispetto al Figlio. Lo Spirito Santo, che da tutta l’eternità procede dal Padre e dal Figlio, mediante questa grazia forma le anime, nell’Immacolata e attraverso l’Immacolata, a somiglianza del primogenito, l’Uomo-Dio” (S.K., 1296; cfr,. anche 1224).

    C’è poi una pagina del Santo che spiega la relazione tra Maria, lo Spirito Santo e la mediazione di tutte le grazie. In questa pagina p. Kolbe cita anche alcuni pas-saggi di S. Luigi Grignion de Montfort sul tema: “... L’opera della redenzione dipende immediatamente dalla seconda Persona divina, Gesù Cristo, il quale con il proprio sangue ci ha riconciliati con il Padre... Tuttavia anche la terza Persona ...partecipa a quest’opera, per il fatto che, in virtù della redenzione compiuta da Gesù, trasforma le anime degli uomini in tempio di Dio, ci rende figli adottivi... (ICor. 6,11; Rom. 8,26; ICor. 12,8ss).

    Tuttavia, come Gesù per manifestare il suo immenso amore verso di noi si è fatto Uomo-Dio, così anche la terza Persona, Dio-Amore, volle manifestare con qual-che segno esterno la propria mediazione presso il Padre e il Figlio. Questo se-gno è il Cuore della Vergine Immacolata,.. Il B. Luigi Maria Grignion... trae le seguenti conclusioni: “Lo Spirito Santo che è infecondo all’interno della Trinità, poiché da Lui non procede nessuna Persona divina, è diventato fecondo per mez-zo di Maria, che Egli si è scelta come Sposa. Con Lei, in Lei e per mezzo di Lei realizza il proprio capolavoro, vale a dire il Verbo incarnato... Questo tuttavia non deve essere inteso nel senso che la Vergine abbia dato allo Spirito Santo quella fecondità che Egli, in quanto Dio, avrebbe dovuto avere allo stesso modo del Padre e del Figlio, anche se di fatto non l’ha posta in atto, per il semplice motivo che da Lui non procede alcuna Persona divina; quanto piuttosto nel sen-so che lo Spirito Santo ha voluto servirsi della mediazione di Maria, pur senza averne bisogno, per manifestare la propria fecondità formando per mezzo di Lei e con  Lei la natura umana di Cristo”.  

    Alla conclusione che lo Spirito Santo opera attraverso Maria siamo condotti dai testi della Scrittura (Gv. 14,16; 16, 13, 14). ..

    Raccogliendo insieme tutte queste affermazioni, è lecito concludere che Maria, per il fatto di essere la Madre di Gesù Salvatore, è divenuta la Corredentrice del genere umano, mentre per il fatto di essere la Sposa dello Spirito Santo prende parte alla distribuzione di tutte le grazie...” (S.K., 1229).

    Altro punto chiave che S. Massimiliano chiarisce e richiama spesso in consonanza con tutta la dottrina dei Padri e della Chiesa, è l’unicità e l’univer-salità della mediazione di Gesù Cristo.

    “Gesù Cristo è l’unico mediatore tra Dio e l’umanità; l’Immacolata è l’unica mediatrice fra Gesù e l’umanità” (S.K., 577).

    “E’ vero che l’unico mediatore presso il Padre è il Figlio Incarnato, Gesù Cri-sto, Dio e uomo nello stesso tempo, attraverso il quale i nostri omaggi rivolti al Padre da umani diventano divini, da limitati acquistano un valore infinito e, in tal modo, diventano realmente degni della maestà del Padre. E’ vero che noi amiamo il Padre nel Figlio, in Gesù Cristo e a Lui noi dobbiamo offrire tutto il nostro amore, affinché in Lui e attraverso Lui il Padre riceva tutto il nostro amore” (S.K., 643).

    E aggiunge di seguito: “Ciononostante è proprio vero che i nostri atti, anche i più santi, non sono senza difetti, e, se vogliamo offrirli puri a Gesù Cristo, puri e senza macchia, dobbiamo rivolgerli direttamente solo all’Immacolata e donarli a Lei in proprietà, affinché Ella li offra come suoi al Figlio suo. Allora questi nostri atti diverranno puri, immacolati. Inoltre, avendo ricevuto un valore infinito, per mezzo della divinità di Gesù, adoreranno degnamente il Padre” (S.K., 643).

    Detto questo vediamo il pensiero di S. Massimiliano sulla mediazione di Maria.

    1.  La collaborazione o cooperazione di Maria alla salvezza. E’ fuori dubbio che Gesù è l’unico mediatore della salvezza e di tutte le grazie. Ma, dato lo stretto rapporto tra Gesù e Maria, i Padri della Chiesa, la Tradizione hanno dedotto e riservato un ruolo particolare anche a Maria nell’opera della redenzione di Gesù, la quale abbraccia tutta la sua vita e non solo la Passione, morte e risurrezione.

    Classica l’espressione: “Per Mariam ad Jesum” (a Gesù si arriva attraverso Maria). Nel determinare concretamente in che cosa consiste questa corredenzione o cooperazione o collaborazione di Maria, i teologi hanno varie opinioni (tra parentesi si parla di “corredentrice”, ma il Concilio preferisce “cooperatrice” per non ingenerare confusione):

    -  alcuni dicono che la cooperazione o collaborazione di Maria è stata ed è immediata, diretta, cioè, nel piano di Dio, ha partecipato alla redenzione con i suoi meriti; naturalmente cooperazione secondaria e dipendente da quella di Cristo che rimane l’autore principale, indipendente, autosuf-ficiente della salvezza;

    -  altri dicono che è stata ed è cooperazione mediata o remota, che consiste nell’aver accettato di essere Madre del Redentore;

    -  altri pensano ad una cooperazione immediata passiva, sintesi delle due posizioni precedenti: Maria ha cooperato alla redenzione, ma in senso passivo, cioé in quanto per prima ha accettato i frutti della redenzione e li ha resi trasmissibili alla Chiesa.

    Dicevo prima che il Concilio, nel cap. VIII della L.G., anche per un’atten-zione verso i fratelli separati, parla di “cooperazione” di Maria e si può riassume-re in queste espressioni:

    +  Maria ha cooperato in modo tutto speciale all’opera del Salvatore. Per questo fu per noi Madre nell’ordine della grazia (n. 61);

    + Maria non fu strumento passivo, ma cooperò con libera fede e obbe-dienza (n. 56);

    +   Maria è veramente madre delle membra di Cristo, perché ha cooperato con la carità alla nascita dei fedeli della Chiesa (n. 53).

    P. Kolbe non ha particolari riferimenti su questo punto o almeno non ne parla esplicitamente. Da quanto scrive si può dedurre che Maria, strettamente legata a Gesù Cristo nel piano di Dio, lo fu anche nell’opera della redenzione.

    2.  Intercessione delle grazie attuali. Anche su questo punto tra i teologi c’è unanimità nell’attribuire a Maria la missione di impetrare da Dio le grazie; ci sono differenti opinioni sulla natura di tale missione:

    - alcuni parlano di causalità morale: Maria avrebbe un “peso morale”, per dire così, su Dio, che lo muoverebbe a concedere grazie. Dio è causa immediata della grazia, Maria la causa mediata;

    - altri parlano di causalità fisico-strumentale: la mediazione di Maria favo-rirebbe o produrrebbe negli uomini la disposizione a riceve le grazie;

    - altri ancora parlano di causalità fisico-strumentale nel senso che Maria, nelle mani di Dio, è strumento per effondere o produrre grazie e favori per gli uomini. E’ questa l’ipotesi più seguita dai cattolici.

    Per P.Kolbe non c’è grazia che sfugga alla potente intercessione e distri-buzione della Vergine. Maria “...è la Mediatrice di tutte le grazie, non solo può e desidera donare qualche volta in qualche luogo le sue grazie, ma la sua missione celeste si identifica col compito di distribuire agli uomini la grazia di Dio” .

    Frequentemente S. Massimiliano specifica anche le diverse grazie che la Vergine ci conferisce: la grazia della conversione; quella della salvezza, quella della santificazione (S.K., 668); libera la Chiesa dalle eresie (S.K., 597); la rigenerazione spirituale e la crescita numerica dell’Ordine (S.K., 668, 875, 983).

    P. Kolbe usa quasi sempre il termine generico di mediatrice delle grazie, ma non manca di specificare anche le singole funzioni.

    Alcuni testi: “Ad Jesum per Mariam: attraverso Maria si va a Gesù ed è proprio la via più bella, più piacevole, più sicura...Certamente davanti al Figlio di Dio, di cui ci siamo dimenticati e al quale abbiamo disubbidito, bisogna aver timore, un santo timore; tuttavia c’è anche Maria, una Madre tanto buona e umile che si presenta a Gesù per supplicare in favore di coloro che hanno bisogno della sua intercessione e della sua protezione” (S.K., 1299).

    E fa sue, riportandole, le parole di Leone XIII nell’enciclica sul rosario “Octobri mense” (22/9/1891): “Si può affermare che, per divina disposizione, nulla ci può essere comunicato dell’infinito tesoro di grazia... se non per mezzo di Maria. Di modo che, come nessuno può accostarsi al Padre supremo se non per mezzo del Figlio, così, ordinariamente, nessuno può accostarsi a Cristo se non per mezzo della sua Madre” (S.K., 1007).

    “L’Immacolata è la mediatrice di tutte le grazie poiché Ella appartiene allo Spi-rito Santo, a motivo della più intima unione con lo Spirito. Ecco perché, attra-verso Lei, si va a Gesù e al Padre” (S.K., 1285).

    3.  La distribuzione delle grazie ai fedeli. Tutte le grazie sono date al-l’Immacolata, ma per noi. E’ questo l’aspetto più esplicitamente e abbondante-mente sviluppato da p.Kolbe.

    Scrive: “Qualsiasi grazia che noi riceviamo ogni giorno, ogni ora ed ogni istante della nostra esistenza è grazia sua, che sgorga dal suo cuore materno che tanto ci ama” (S.K., 1322).

    Parlando della medaglia miracolosa, secondo l’apparizione a S. Caterina Labou-ré, ripete più volte nel racconto: “I raggi che tu vedi emanare dalle palme delle mie mani sono il simbolo delle  grazie che spando su coloro che me le doman-dano...Quante grazie concede a tutti coloro che la invocano” (S.K., 1042).

    Circa la natura della causalità da attribuire alla Vergine, p. Kolbe è in sintonia con la terza ipotesi: Maria causa fisico-strumentale nelle mani di Dio. Scrive: “Ogni grazia che proviene dal Padre attraverso Gesù, il Figlio Incarnato e lo Spirito Santo, che dimora nell’Immacolata, viene distribuita proprio attraverso l’Immacolata” (S.K., 1224).

    La contemplazione della sublimità di Maria Immacolata, “quasi-incarna-zione” dello Spirito e Madre ineffabile del Figlio di Dio fatto uomo, mediatrice di tutte le grazie non fa scomparire dagli occhi di S. Massimiliano la visione di Maria umilissima ancella del Signore. Ripete più volte: “Da se stessa non è nul-la, come le altre creature, ma, per opera di Dio, è la più perfetta fra le creature” (S.K., 1320).

    P. Kolbe ama porre in rilievo specialmente lo spirito di servizio di Maria, la quale è designata appunto come la Serva del Signore (Lc. 1,38); il “fiat” del-l’Annunciazione esprime la disponibilità totale, la donazione a Dio senza riserve. La sua fu una vita di servizio, un cammino nella fede, nella speranza, nella carità. La povertà e la condizione sociale umile la caratterizzavano; sperimentò, osserva p. Kolbe, la fuga piena di ansie in Egitto, la vita dura e la solitudine in un Paese straniero e poi la sofferenza atroce al momento della morte del Figlio:“Scoccò pure l’ora del suo ingresso nel mondo. Ella nacque nel nascondimento, nel silen-zio, in una povera casetta di un villaggio della Palestina. Neppure i libri sacri parlano di Lei. In essi La vediamo nell’annunciazione, allorché Ella divenne la Madre di Dio. Seguiamo il suo viaggio a Betlemme, dove ammiriamo la nascita del suo Figlio, Dio e uomo, in un grotta poverella. Quindi la fuga, piena di an-sie, in Egitto. La dura vita in un paese straniero e infine il ritorno in Palestina... Maria riappare e accompagna Gesù al luogo dell’esecuzione ed è accanto a Lui nel momento del trapasso e stringe al petto il suo corpo gelido deposto dalla croce...” (S.K., 1312).

    La povertà esteriore valeva però come segno di quella interiore che dice disponi-bilità totale a Dio nella coscienza della dipendenza da Lui.

    Questa sottolineatura di S. Massimiliano è in linea con l’esperienza genui-na francescana, di cui abbiamo parlato, che vede accanto a Maria gloriosa, Maria povera (cfr. articolo riportato in appendice II°).

    Il titolo di “Sposa dello Spirito Santo” esprime, in un certo senso, rapporto di uguaglianza e comunione reciproca; quello di ancella e serva manifesta spe-cialmente la sottomissione assoluta, il servizio umile, il nulla dell’uomo e il tutto di Dio.

    “Ella è strumento di Dio. Con piena consapevolezza si lascia volontariamente condurre da Dio, si conforma alla sua volontà, desidera solo ciò che Egli vuole, opera secondo la Sua volontà e ciò nel modo più perfetto possibile, senza il minimo difetto, senza alcuna deviazione della propria volontà dalla volontà di Lui” (S.K., 1320).

    Il termine “strumento” a causa del meccanicismo che implica non è molto felice, anche se diffuso nella tradizione teologica. P. Kolbe lo usa per sottolineare in Maria la dipendenza assoluta da Dio, la docilità senza riserve, la dedizione totale al suo disegno di salvezza. 


    ALCUNE CONSIDERAZIONI


    Quanto abbiamo detto sulla maternità di Maria e sulla sua mediazione ha un diretto influsso e incidenza nella vita della Chiesa e nostra. Essendo, per divi-na volontà, Madre di Gesù, nel quale tutti noi siamo figli di Dio, Maria vuole, può e deve prendersi cura di noi e, nel suo materno amore, coopera efficacemente non solo alla nostra salvezza e santificazione, ma anche alla nostra felicità, per cui diveniamo “Madri di Cristo”, come scrive S. Francesco nella Lettera ai fede-li: cap. I° “Di quelli che fanno penitenza”: “Sono sposi, fratelli e madri del Si-gnore nostro Gesù Cristo… Gli siamo Madri quando lo portiamo nel cuore e corpo nostro per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza; lo diamo alla luce per mezzo della azioni sante, che devono splendere di esempio agli altri” (K.Esser, Epistula ad fideles c. I° n. 7-10, EMP Pd 1982).

    Ecco cosa scrive S. Massimiliano a questo proposito: “Il Verbo si è fatto carne come frutto dell’amore di Dio e dell’Immacolata. Così è divenuto il Primoge-nito, l’Uomo-Dio e le anime non rinascono in Cristo in altro modo, ma sola-mente attraverso l’amore che Dio nutre verso l’Immacolata e nell’Immacolata. Nessuna parola diviene carne, nessuna perfezione o virtù s’incarna, si realizza in nessuno, se non attraverso l’amore di Dio e dell’Immacolata” (S.K.,1296).

    In una parola, S. Massimiliano ci dice: “Vuoi farti santo? L’unica via possibile è l’Immacolata. Infatti “…nel grembo di Maria l’anima deve rinascere secondo la forma di Gesù Cristo. Ella deve nutrire l’anima con il latte della sua grazia, for-marla delicatamente ed educarla così come nutrì, formò ed educò Gesù. Sulle sue ginocchia l’anima deve imparare a conoscere ed amare Gesù. Dal suo cuore deve attingere l’amore verso di Lui, anzi amarlo con il cuore di Lei e diventare simile a Lui per mezzo dell’amore” (S.K.,1295).

    Maria, come ci ha detto S. Massimiliano, è Madre di Dio per tutta l’eter-nità, così è madre nostra per tutta l’eternità. Dice S. Massimiliano: “L’Immaco-lata ha lasciato la terra, ma la sua vita si è approfondita e si è dilatata sempre più nelle anime. Se tutte le anime che hanno già percorso il pellegrinaggio ter-reno o che vivono attualmente su questa terra potessero pronunciarsi, si dovreb-be pubblicare un numero incalcolabile di grossi volumi testimonianti l’attività dell’Immacolata, tenera madre delle anime redente dal sangue sacratissimo del suo Figlio divino” (S.K.,1313).

    La consapevolezza e la sicurezza che Maria continua a prendersi cura di noi ci è data anche dalla Chiesa. Infatti nel cap. VIII della Lumen Gentium leg-giamo: “Questa maternità perdura senza soste fino a che tutti i fratelli del Figlio suo, ancora pellegrinanti e posti in mezzo a pericoli ed affanni, non siano con-dotti alla patria beata” (62).

    I fratelli del Figlio siamo noi, ciascuno di noi. Il nostro pellegrinaggio in mezzo a pericoli ed affanni non è ancora terminato, ma c’è Lei: la guida, il sostegno, il conforto, la Madre. E’ una consapevolezza che ci riempie di gioia, di speranza e di consolazione.

    Da questa realtà consolante scaturisce per noi un impegno: abbiamo ricevuto un dono? Dobbiamo condividerlo. Come? La funzione materna di Maria nei con-fronti di Cristo continua oggi nella Chiesa e mediante la Chiesa. C’è un piccolo riferimento negli scritti del Kolbe il quale, a partire dalla maternità divina di Maria, spalanca gli orizzonti alla missione universale: “Ella è Madre di Dio; e anche in noi è Madre di Dio... e ci fa madri di Dio, che generano Gesù Cristo nelle anime degli uomini... Quale dignità!”.

    La missione, infatti, è l’Incarnazione che continua. La Chiesa con la predicazio-ne e il battesimo genera Cristo nelle anime. Per questo coloro che sono chiamati a comunicare la vita di Dio (e tutti siamo chiamati a farlo in forza del battesimo) devono imitare Maria, la Madre; anzi, come dice p. Kolbe, non è sufficiente imi-tare Maria, ma bisogna essere Lei, per generare Cristo nelle anime.

    S. Massimiliano durante tutta la sua vita non ha mai cessato di insegnare, dopo averla incarnata, questa verità. E questa verità lo sostenne e lo confortò anche nel campo di concentramento. Costretto a vivere nel regno dell’odio e del-la morte, non cessò di credere e di insegnare a credere nel significato liberatore dell’Incarnazione e nell’amore materno di Maria.

    Un prigioniero che un giorno, assieme a p. Kolbe, stava trasportando i cadaveri nel forno crematorio, lo udì sussurrare a modo di preghiera: “Et Verbum caro factum est!” Quante cose avrà voluto dire con questa preghiera! Forse voleva di-re: Sì, ci credo! Il Verbo si è fatto carne, questa carne martoriata. E’ il dono di Dio per la nostra umanità sofferente. E’ il dono che abbiamo ricevuto per mezzo di Maria!

    Questa fede gli aveva fatto scrivere alla mamma la sua unica e ultima lettera dal campo di concentramento: “Da me va tutto bene! Amata mamma, sta’ tranquilla per me e per la mia salute, perché il buon Dio c’è in ogni luogo e con grande cuore pensa a tutto” (S.K., 961).

    Questa fede lo accompagnò dentro al bunker della fame, dove egli rimase sereno conversando e consolando i compagni fino alla fine. S. Massimiliano è morto, anzi, come affermò Giovanni Paolo II nell’omelia della canonizzazione, “non morì, ma diede la vita”; noi siamo qui per raccogliere la sua eredità.

    La sera del 26 maggio 1933 p. Kolbe si trovava a Roma. Prima di partire per ritornare in Polonia lasciò ai confratelli e agli amici un messaggio che, a ra-gione, può essere definito il suo testamento spirituale: “Io sono debole, già in-vecchio e perciò presto morrò. Ma poiché ad ognuno è lecito fare testamento, co-sì io non mi credo privato di questo diritto. Perciò, fratelli, quando avrete avuto notizia della mia morte sappiate che voi siete, per testamento, miei eredi. Sinora abbiamo lavorato tutti insieme per l’Immacolata; quando sarò morto, allora ricordatevi che tocca a voi continuare. Affrontate per Lei ogni sacrificio, fino allo spargimento del sangue, se occorrerà” (26/5/1933).

    Dunque, il Verbo è il dono che ricevo da Dio, mediante Maria. 

    Maria è la Madre che ricevo in dono da Cristo nel momento supremo della sua vita. Se mi apro a questo dono, Maria formerà in me il corpo di Cristo, fino alla perfezione, perché Colei che ha generato, educato, nutrito Cristo, genera, nutre ed educa i fratelli di Cristo. E Colei che è stata la via dello “scendere”di Dio tra noi, è pure la via del nostro “andare” a Lui.

    Sul piano della missione, le conseguenze del nostro accogliere il dono di Dio sono altrettanto importanti. Infatti, solo prendendo Maria con noi, cioè evan-gelizzando con Maria, saremo certi della fecondità del nostro lavoro. 

    E’ un programma che spesso ci siamo richiamati, ma che non è mai super-fluo ripetere, perché è il nostro dover essere, la meta del nostro pellegrinaggio quotidiano.


    Abbiamo così cercato di presentare la natura della M.I., cioè il contenuto di questo Movimento di Spiritualità mariana suscitato da Dio per mezzo di p. Kolbe. Come si diceva all’inizio non è semplicemente una “devozione”, ma una visione della vita cristiana, con motivazioni teologiche, alla luce della presen-za di Maria nella vita del cristiano. Pur nell’incompletezza e nella semplifi-cazione, queste pagine ci fanno intuire quanto poco conosciamo della M.I.. Spero che suscitino in tutti il desiderio di approfondire ulteriormente l’argomento.


    LA M. I. :   ASPETTO   GIURIDICO(9)


    Prima di chiudere questo capitolo occorre completare quanto abbiamo già detto sull’origine della M.I..

    Con l’entrata in vigore del Nuovo Codice di Diritto Canonico la prima Domenica di Avvento del 1983, si sono resi necessari una revisione e un aggior-namento degli Statuti Generali adattandoli alle nuove disposizioni della Chiesa scaturite dal Vaticano II°.

    Alla luce di queste disposizioni qual è la situazione giuridica attuale della M.I.?

    Il nuovo Codice non usa più la dizione di “Pia Unione”, termine con il quale era stata approvata la M.I. Parla invece, in generale, di “Associazione di fedeli”.

    Che cosa si intende per “Associazione di fedeli”?

    Un’Associazione

    *   raccoglie laici e chierici, distintamente e insieme;

    *   i membri tendono all’incremento di una vita più perfetta o alla promozione del culto pubblico o della dottrina cristiana o ad altre opere di apostolato: evangelizzazione, esercizio di opere di pietà o di carità, animazione dell’ordine temporale mediante lo spirito cristiano.

    Un’ Associazione può essere privata o pubblica.

    E’ privata quando viene suscitata da semplici fedeli che si accordano tra loro.

    E’ privata con personalità giuridica quando c’è l’approvazione della Chiesa;

    senza personalità giuridica quando tale approvazione manca. I membri di una associazione privata agiscono in nome proprio e non della Chiesa

    E’ pubblica quando viene suscitata dalla competente autorità ecclesia-stica: 

    • dal Papa o dalla Santa Sede con valore universale; 

    • dalle Conferenze Episcopali con valore nazionale; 

    • dai singoli Vescovi con valore locale. 

    I membri di un’Associazione pubblica agiscono sempre in nome della Chiesa, quindi sotto la sua stretta vigilanza.


    Ogni Associazione deve avere i propri Statuti, nei quali è espressa la natura dell’Associazione, il fine, il governo, le condizioni.


    Il 16 ottobre 1997 il Pontificio Consiglio dei Laici ha eretto la M.I. ad Associazione Pubblica Internazionale approvando nel contempo i nuovi Statuti Generali. Quindi è

    ASSOCIAZIONE: comprende tutti i membri del popolo di Dio: laici , sacerdoti e religiosi, uomini e donne, distinti e insieme.

    PUBBLICA: è eretta con decreto dal Pontificio Consiglio per i Laici, di conseguenza 

    - è legata in modo più stabile alla Chiesa e ne condivide la missione universale di salvezza per tutti gli uomini

    - agisce in nome della Chiesa, non più in nome proprio;

    - ha personalità giuridica;

    INTERNAZIONALE, cioè per tutta la Chiesa;

    Inoltre possiamo dire che la colorazione che assume la M.I. è quella di es-sere un’ Associazione mariana, perché trova nel rapporto vitale con Maria la via della santità e dell’apostolato. Indica infatti nella consacrazione o affidamento a Maria l’elemento essenziale e la condizione fondamentale.

    In questo senso possiamo parlare anche di un Movimento di spiritualità ma-riana, cioè che porta avanti degli ideali e dei programmi di vita intonati a Maria, avendo Lei come riferimento di santità, al di là quindi anche dell’organizzazione dell’Associazione, ma che va bene per ogni credente fino ai confini della terra.

    Riportiamo i primi due articoli degli Statuti generali sulla natura della M:I. (10).

    Art. 1: La Milizia dell’Immacolata, fondata a Roma da S. Massimiliano Kolbe il 16 ottobre 1917 con la denominazione latina Militia Immaculatae (M.I.), è un’Associazione pubblica di fedeli, universale e internazionale. Essa è aperta a laici e chierici ed è retta a norma dei canoni 312-320 del C.J.C., delle direttive della Chiesa e dei presenti Statuti. Secondo il pensiero del fondatore, essa può assumere denominazioni diverse a seconda delle dif-ferenti esigenze culturali e ambientali, conservando però coerentemente la sigla internazionale M.I.

    Art. 2: E’ pertanto un’Associazione nella quale i membri, memori della vocazio-ne di tutti i cristiani alla santità personale e all’evangelizzazione e della missione di grazia di Maria nella Chiesa e nel mondo, frutto della sua u-nione perfetta con lo Spirito Santo, (cfr. SK. 634, 1224, 1229, 1310, 1318), ricono-scono nel mistero della sua Immacolata Concezione il punto focale della loro spiritualità, teologia ed apostolato.


    Fatte queste chiarificazioni, mi sembra importante ricordare quanto il Papa ha scritto nella “Christifideles Laici” al n. 30 dove indica alcuni criteri di verifi-ca per le Associazioni laicali:

    1. il primato dato alla vocazione di ogni cristiano alla santità;

    2. la responsabilità di confessare la fede cattolica; 

    3. la testimonianza di una comunione salda e convinta con Papa, Vescovi e fratelli;

    4. la conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa, cioè l’evangelizzazione e la santificazione di tutti gli uomini;

    5. l’impegno di una presenza nella società umana.

    Di questa vita, dice il Papa, si possono vedere i frutti:

    +-il gusto rinnovato della preghiera, della contemplazione e della vita liturgica;

    +-l’animazione per il fiorire di vocazioni al matrimonio, al sacerdozio, alla vita religiosa-consacrata;

    +-la disponibilità all’attività della Chiesa;

    +-l’impegno catechetico;

    +-l’impulso ad una presenza cristiana nei vari ambienti del sociale;

    +-lo spirito di distacco;

    +-la conversione alla vita cristiana o il ritorno dei battezzati lontani.

    Questo vale anche per la nostra Associazione: vi sono indicazioni molto chiare per il nostro cammino e insieme la verifica se davvero la nostra vita è così come Dio, attraverso la Chiesa, la vuole.

  • Le condizioni necessarie per appartenere alla M.I., S. Massimiliano le condensa molto semplicemente così nello statuto originale: “1) Consacrarsi totalmente alla B. V. M. Immacolata come strumenti nelle sue mani immacolate. 2) Portare la “Medaglia Miracolosa” (S.K., 1369).

    Nel nostro itinerario di approfondimento della M.I. siamo giunti perciò al momento di parlare della consacrazione.


    CONSACRAZIONE


    E’ un argomento non nuovo: ne abbiamo sentito parlare in varie circostan-ze e sotto vari aspetti. Non diremo perciò cose nuove, ma cercheremo di fare una presentazione ordinata, semplice, comprensibile, completa di questo argomento.

    Seguiremo questo schema:

    a) concetto di consacrazione e consacrazione a Maria;

    b) excursus storico;

    c) contenuto odierno della consacrazione; 

    d) pensiero di S. Massimiliano sulla consacrazione;

    e) indicazioni per noi oggi.


    a)   CONCETTO DI CONSACRAZIONE(1)


    Una premessa: in un mondo indifferente, ripiegato più sulle cose che si vedono che sull’Assoluto, che fa leva sulle capacità e possibilità umane per la realizzazione del mondo, parlare di consacrazione suona forse fuori posto e ancora di più se si parla di consacrazione a Maria. E questa mentalità è penetrata, purtroppo, anche tra i credenti.

    Ci si chiede se è corretto e possibile consacrarsi a Maria singolarmente e colletti-vamente, quando questo è un atto che compie solo Dio, è dono suo e poi risposta dell’uomo.

    E non è sufficiente la consacrazione avvenuta nel battesimo?

    Nello stesso tempo si assiste, in questi anni, ad un recupero del senso del sacro e, in particolare, da parte della pietà popolare, della consacrazione a Maria.

    In questo, certamente, ha un posto importante l’azione apostolica del Papa Giovanni Paolo II


    Detto questo, che cosa si intende per consacrazione?

    Per comprendere bene questo concetto occorre rifarsi alla Parola di Dio che illumina il cammino del credente.

    Nell’Antico Testamento tutta la vita, la storia, le vicende del popolo d’I-sraele hanno significato dentro una cornice ben precisa, cioè l’Alleanza tra Dio e il suo popolo. E’ questo rapporto vivo, questa comunione, l’aspetto caratteristi-co della storia d’Israele e in questo rapporto trova la sua origine, la sua spiega-zione tutta la trama del disegno di salvezza di Dio per il suo popolo.

    L’Alleanza rende Israele un popolo consacrato al Signore, cioè appartenente a Lui e in rapporto con la sua potenza e santità (Es. 19, 5-6; Dt. 7,6; 14, 2-11; 26,19). 

    Prescrivendo le regole cultuali, mediante le quali si rivela Santo, Dio si è riser-vato dei luoghi (tenda, tempio), delle persone (sacerdoti, re, profeti, ecc.), degli oggetti (offerte, vesti, ecc.), dei tempi che Gli sono consacrati mediante riti par-ticolari (offerte, sacrifici, dedicazioni, aspersioni di sangue, ecc.), e, per ciò stes-so, sono suoi, quindi interdetti agli usi profani: così, per es., l’arca non può nep-pure essere guardata (Num. 4, 1-20); i sabati non possono essere profanati (Es. 20, 12-24); il comportamento dei sacerdoti è disciplinato da regole ben precise (Lev. 21).

    Eletto, separato tra le nazioni, Israele diventa il dominio particolare di Dio, “popolo santo”. Per amore di questo popolo, Dio vive e agisce in mezzo ad esso, gli si manifesta. 

    Quest’ iniziativa amorosa di Dio per il suo popolo richiede una risposta, cioè un popolo che viva per il suo Dio, che esprima nella sua vita la sua comu-nione con Lui. Ecco allora l’osservanza della legge data da Dio, il richiamo costante dei profeti a questa santità di vita, a non seguire gli usi dei popoli paga-ni, a porre la propria forza non negli eserciti, nelle possibilità umane, ma unica-mente in Dio.

    Da qui la rinnovazione dell’Alleanza, come segno di questa risposta e di questa appartenenza a Dio, soprattutto dopo le numerose defezioni, infedeltà e ribellioni a Dio (Gs. 24,24; II Re, 23,3; Ne. 5,12).

    Nel Nuovo Testamento appare chiaro che, anche qui, l’iniziativa è di Dio: “Dio ha tanto amato il mondo, da dare il Figlio...”(Gv.3,16); “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma Lui ci ha amati per primo”(1Gv.4,10).

    Ciò che nell’Antico Testamento era il popolo d’Israele, ora è la Chiesa, il nuovo popolo di Dio, che appartiene a Lui attraverso la morte e risurrezione di Gesù e la venuta dello Spirito Santo (1Pt. 2,9-10; 1, 15-16).

    La nuova alleanza però non è più in base ad una legge scritta su pietre, ma è una Persona viva: è Gesù Cristo morto e risorto. In Lui, Dio ci fa suoi, ci unisce a Sé, nella Trinità mediante la consacrazione battesimale. Con essa il cristiano, il bat-tezzato diventa, se così si può dire, proprietà della Trinità, innestato nella vita stessa di Dio Uno e Trino, consegnato al Signore risorto e, per mezzo di Lui, partecipa dello Spirito e della relazione filiale col Padre (1Cor. 1,2;Rom.1,16).

    Questa è la vera, unica, fondamentale consacrazione, opera di Dio, frutto del suo amore per ciascuno, che produce in noi questa nuova natura, quella dei figli di Dio e ci abilita, se vi è la nostra risposta, a vivere in modo costante e progressivo in questa dimensione.

    Tutte le altre consacrazioni, intese come riconoscimento, accettazione e ri-sposta all’azione amorosa di Dio (prof. rel., cons. a Maria, ecc.) si fondano e tro-vano la loro spiegazione nella consacrazione battesimale e ne diventano una esplicitazione concreta e attuale.

    A questa consacrazione, che unisce il battezzato a Cristo e lo fa partecipe del suo mistero di morte e risurrezione (Rom. 6,3-5; Col. 2,12), deve corrispondere una consacrazione vitale a Dio espressa in termini di culto esistenziale, cioè fatto della vita concreta, di ogni giorno, del cristiano (cfr. lettere di Paolo; Rom. 12,1). 

    Non si tratta più di offrire cose o animali, ma la propria persona, con una vita improntata ad una risposta amorosa all’amore di Dio. In questa offerta totale di sé a Dio, rientrano tutti gli aspetti della vita cristiana: culto, morale, apostolato. In questa risposta di amore a Dio, Gesù è il modello insuperabile: è consacrato nella presentazione al tempio (Lc. 2,27; Es. 13,2-11); la ricerca di tutta la sua vita è compiere la volontà del Padre (Gv. 17, 17-18).

    Sulla scia di Gesù, i Vangeli ci presentano Maria come la “consacrata”per eccel-lenza (Lc. 1,28). Personificazione della comunità messianica, Maria mediante lo Spirito diventa nuovo tabernacolo di Dio (Es. 40,35), l’arca dell’alleanza (2Sam. 6,1-11; Lc. 1, 39-56), Colei che accoglie il suo Signore nel suo seno (Sof. 3, 14-17).

    A quest’elezione divina Maria risponde con una donazione totale (Lc. 1,38). Dona-zione che Maria rinnova nella presentazione al tempio e poi, in modo solenne, sul Calvario con quel suo “stabat”. Per questo partecipa attivamente all’azione di Gesù che realizza la nuova alleanza col suo popolo. Così la vediamo a Cana, sot-to la croce, nella Pentecoste.

    Da quanto abbiamo detto, anche se in maniera sintetica e riassuntiva, ap-pare chiaro che il concetto di consacrazione riunisce in sé due aspetti insepara-bili:

    + -l’iniziativa di Dio amorosa, gratuita, che parte sempre per primo, ci chiama a Sé, ad essere partecipi della sua vita e delle sue perfezioni;

    + -la risposta dell’uomo, altrettanto frutto di amore, che lo porta ad impostare la propria esistenza su Dio, orientandola unicamente a Lui, riconoscendo la pro-pria dipendenza da Lui.

    Perché allora la consacrazione a Maria e a Maria Immacolata? Che ruolo ha Maria nel nostro rapporto con Dio?

    Mi sembra che ci siano varie ragioni che mettono in luce il posto indispensabile di Maria nel nostro rapporto con Dio, nella nostra risposta di amore a Lui:

    1. per un motivo di carattere spirituale. Maria Immacolata, come abbiamo considerato in precedenza, è l’Ideale del perfetto cristiano, Colei che ha vissuto pienamente e perfettamente il disegno di amore di Dio su di Lei; perché è la creatura piena di Dio, tutta armonia, tutta semplicità, tutta candore, tutta trasparenza, tutta bellezza, tutta splendore; perché sta davanti a noi come richiamo e stimolo continuo a camminare anche noi verso la nostra piena realizzazione come discepoli di Gesù. 

    2. Per un motivo di carattere teologico: così concretamente ha voluto Dio, così si è realizzato il suo piano di amore sull’umanità: passando per Maria, eletta, scelta ad essere Madre di Dio fatto uomo. Il cammino del nostro ritorno a Lui non può seguire altra via più sicura: noi, Maria, Gesù, Dio-Trinità.

    Così si esprime il Vat.II: “La Beata Vergine...per disposizione della Provvidenza, fu, su questa terra, l’alma Madre del divin Redentore, compagna generosa del tutto singolare e umile ancella del Signore. Col concepire Cristo, generarlo, nutrirlo, presentarlo al Padre nel tempio, soffrire col Figlio suo morente in croce, cooperò in modo del tutto singolare all’opera del Salvatore, coll’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo fu per noi madre nell’ordine della grazia” (L.G. 61).

    E’ quindi la maternità divina la ragione prima del rapporto intimo di ogni credente con Maria.

    1. Per un motivo di carattere biblico. La scena della consegna del discepolo a Maria e viceversa (Gv. 19, 25-27) ci offre un fondamento biblico del ruolo di Maria nella vita del cristiano. Tale scena descrive i nuovi rapporti di maternità-figliolanza tra Maria e il “discepolo amato”, mediante un trasferimento di pro-prietà.

    Dice Giovanni: “...il discepolo la accolse presso di sé o a casa sua” (Gv. 19,27). Il greco però può essere benissimo tradotto: “…fra le sue cose proprie” cioè fra i suoi beni. Il discepolo riceve Maria tra le cose proprie, tra i doni che gli derivano dal fatto di appartenere a Cristo: le sue parole (Gv. 12,14); l’Eucaristia (Gv. 6,51); lo Spirito Santo (Gv. 7,39; 14,17); la grazia (Gv. 1,16); Maria (Gv. 19, 27). Maria diventa così una ricchezza, come una eredità preziosa del discepolo prediletto. Fa parte della sua vita. E’ molto più che una ospitalità quella che Giovanni dona alla Madre di Gesù: è piuttosto una ricchezza che egli riceve in deposito proprio per realizzarsi come autentico discepolo di Cristo.

    In riferimento a noi, Maria diventa un dono fatto da Cristo alla sua Chiesa (rappresentata da Giovanni) come una presenza attiva e perma-nente, proprio nella sua funzione di maternità universalizzata e messa a servizio di tutti i credenti.


    Per consacrazione a Maria possiamo allora intendere, biblicamente, “il riconoscimento filiale della sua maternità nella prospettiva aperta sul calvario”.


    b)   EXCURSUS STORICO(2)


    L’atteggiamento appena descritto sopra è stato vissuto in modo vario lun-go la storia del cristianesimo. Penso sia utile passare in rassegna rapidamente le varie concretizzazioni. Ci aiutano a capire meglio il rapporto con Maria.


    Le vicende dell'atteggiamento di donazione vitale a Maria sono legate al succedersi delle epoche culturali, che incarnano ed esprimono i valori cristiani secondo schemi specifici, nonché alla personalità e al carisma dei testimoni e dottori della medesima consacrazione mariana. 

    1. Maria consacrata a Dio e MODELLO  DELLE  VERGINI  -  II  primo dato della tradizione ecclesiale circa il nostro argomento è la collocazione di Maria all'ordine della santità e della consacrazione a Dio. È un'intuizione trasmessa in forma ingenua e popolare dall'apocrifo Protovangelo di Giacomo, che gli studiosi – dopo la pubblicazione del papiro Bodmer V (1958) - ritengono risalga alla seconda metà del II sec: esso infatti racconta che Maria venne presentata al tempio per essere consacrata al Signore, in ambiente di purità legale e di separazione dal profano. Con lo sviluppo del monachesimo e delle forme di vita verginale, considerate dopo il martirio segno d'amore totale e di consacrazione a Dio, il richiamo a Maria diviene abituale, Origene (†254 e.) ascrive a Maria « la primizia della verginità »; Epifanio (†403) ne fa la «vessillifera»; Ambrogio (†397) invita le vergini a rispecchiarsi nella vita di Maria, descritta secondo i canoni ascetici del tempo, ma sempre intenta a «cercare Dio». II legame tra consacrazione oggettiva e donazione personale è sottolineato da Gregorio Nisseno (†392), quando afferma che Maria giustamente oppone all'angelo la sua scelta verginale, in quanto «era necessario conservare intatta ed integra, come una santa oblazione, la carne consacrata a Dio». Queste prime intuizioni presentano Maria come la consacrata per eccellenza, modello per ogni cristiano soprattutto per le vergini, di dedizione al Signore.

    1. Il ricorso fiducioso a Maria - II   rapporto  diretto  con   Maria   in chiave cultuale è documentato già nel sec. III° dalla breve preghiera Sub tuum praesidium, con la quale una comunità minacciata da un grave pericolo si rifugia fiduciosa sotto l'ala misericordiosa della Madre di Dio. Non si può parlare di consacrazione, perché si tratta di atto singolo e non è esplicitato il concetto di disponibilità o di dono a Maria; ma è posto il primo gradino verso di essa con l'atteggiamento di mettersi sotto il patrocinio o la protezione di Maria. Esso fa da base alle future consacrazioni sociali di una città o nazione a Maria, prima fra tutte Costantinopoli, che professa la sua appartenenza a Lei e ne sperimenta l'aiuto nell'invasione barbarica del 626. 

      

    3.«Servo dell'ancella del mio Signore» - Questa espressione di s. Ildefonso di Toledo (†667) congloba nel servizio della madre di Dio i contenuti esplicitati poi dalla consacrazione. Nella grande preghiera finale del De virginitate san-ctae Mariae, Ildefonso si professa "servo" della Madre e Ancella del Signo-re, non come atto di devozione sporadica, ma come atteggiamento permanente di vita («Bramo di non essere mai cancellalo dal suo servizio»). Tale servizio deriva dal riconoscimento della condizione regale della Madre di Dio, "An-cella" e nello stesso tempo "Signora tra le ancelle" ed è finalizzato al servizio di Cristo: «Per essere servo devoto del Figlio,cerco fedelmente il servizio della Madre». Non esiste infatti concorrenza tra il servizio di Cristo e quello di Maria, perché «ridonda sul Figlio ciò che viene attribuito alla madre».

    II servizio a Maria implica l'annuncio, l'amore, la lode e l'obbedienza ai comandi della Signora; ma esso esclude ogni senso di costrizione o di con-dizione degradante, in quanto è invece un titolo di libertà e un patto di nobiltà”. Sebbene il titolo di "servo" della Madre di Dio si trovi prima e dopo Ildefonso, per es. in s. Efrem (†373) e in Giovanni VII (†707), tut-tavia in nessun altro si attua nella pienezza e nel fervore del vescovo di Toledo. Il suo influsso si estende alla liturgia visigota del VII sec. che riflette il tema del servizio mariano («Godiamo di sperimentare il soave giogo del tuo servizio») in una dimensione comunitaria: «Santissima Ancella e Madre del Verbo... ricevi con accogliente e materna bontà il po-polo che a te accorre... Figlia di Sion, consacrerai al Signore le moltitudini dei popoli... Gesù, tu consacri a te le moltitudini dei popoli per mezzo del mistero della tua beata genitrice...». In questo testo sono accostati in una identificazione i temi del servizio e della consacrazione.

    4. «Ci consacriamo a te» - La prima offerta totale di sé a Maria, espressa in termini di consacrazione, si trova in un'omelia di s. Giovanni Damasceno (†749), nel quale converge l'insegnamento mariologico dei padri: «Anche noi oggi ci presentiamo a te, o Sovrana, sì, lo ripeto, o Sovrana, Madre di Dio vergine: noi attacchiamo le nostre anime a te, nostra speranza, come a un'ancora del tutto salda e infrangibile, consacrando a te mente, anima, corpo, tutto il nostro essere...» . Notiamo che il verbo qui adoperato (anatithemi) designa una vera consacrazione come quella alla divinità, salve le debite proporzioni. Si ha già nel Damasceno una vera spiritualità mariana dai caratteri della totalità e perennità, sebbene essa non abbia ancora una struttura sistematica. Non mancano tuttavia preziose indicazioni circa la presenza di Maria nella vita spirituale e gli atteggiamenti da assumere dai suoi servitori.

    5. La consegna di sé ("traditio", "commendatio)"...) - Passando al cuore del periodo medioevale, nessuna meraviglia che il feudalesimo con le istituzioni del vassallaggio, della clientela e della volontaria servitù abbia influito anche nel rapporto religioso. Non riuscendo negli affari l'uomo libero si presentava ad un signore con la corda al collo e si impegnava al suo servizio. È precisamente ciò che hanno fatto s. Odilone (†1049), abate di Cluny, e Marino fratello di s. Pier Damiani, nei riguardi della Vergine offrendosi a lei in qualità di servi perpetui. Le espressioni ricorrenti nelle preghiere a Maria nei sec. X-XI sono "commen-datio" e "traditio", che indicano l'affidamento, la consegna, il dono, la dedizione di sé alla Vergine. Talvolta questa consegna è fatta dalla madre, come accade per il bambino della regina Gertrude (†1108), affidato da lei a Maria perché sia servo suo e di Gesù Cristo, o per il futuro vescovo di Angers, Eusebio Bruno (†1081). In una lunga preghiera del sec. XI, che ingloba molte espressioni di Fulberto di Chartres (†1028) e contiene un chiaro riferimento alla consacrazione battesimale, è Gesù stesso ad affidare l'orante a Maria: «Ricordati, Signora, che nel battesimo sono stato consacrato al Signore e ho professato con la mia bocca il nome cristiano. Purtroppo non ho osservato quanto ho promesso. Tuttavia sono stato consegnato e affidato a te dal mio Signore Dio vivo e vero. Tu salva colui che ti è stato consegnato e custodisci colui che ti è stato affidato». Questa dinamica, che muove dalla condizione di miseria e di infedeltà, si richiama al gesto di Cristo che affida il discepolo alla madre, e giunge infine ad un dono totale a lei, si ritrova in due preghiere composte da s. Anselmo di Lucca (†1086) per la contessa Matilde di Canossa: «Ricorro alla tua mansuetudine e singolare pietà, gloriosissima Signora, e consegno nelle tue mani santissime la mia anima e il mio corpo... Tu sai che mi sono consegnata a te con tutta la mia devo-zione; ho accettato i segni della tua servitù, pronta più a morire che a con-traddire la tua volontà». Sotto le stesse espressioni («Alla tua protezione si affida tutto il mio essere») s. Anselmo dì Aosta (†1109) intende un atteggiamento d'amore unito al servizio, coerentemente con l'affermazione di Maria «madre nostra» o «Sovrana madre ».

    6. La "deditio" dei Servi di Maria - Nel sec. XIII nasce attorno a sette mercanti di Firenze l'Ordine dei Servi di santa Maria, che si propone di attuare il servizio del Signore mediante una deditio alla Vergine. Tale dedicazione a Maria trae il linguaggio e modella le espressioni dal sistema sociale medioevale: si arriva ad una specie dì contratto tra il servo che si dona liberamente a Maria, riconosciuta come Signora, e le rende servizi, ossequi e riverenze, ricevendone in contraccambio la protezione (tuitio). «I frati - dice la Legenda de origine - dell'ordine particolarmente consacrato a nostra Signora, e con ragione perciò da lei distinto col suo nome, non hanno alcun fondatore del loro ordine, all'infuori della stessa nostra Signora, al servizio della quale sono singolar-mente dedicati...». L'idea della consacrazione come offerta totale di se stessi appare fin dall'inizio nelle formule di professione («Volendo servire a Dio e a santa Maria... offrì se stesso e i suoi beni a Dio e alla b. Maria sempre vergi-ne...»), ma essa traspare in filigrana dalle Costituzioni dell'ordine, che si aprono originalmente con il capitolo sulle "riverenze" verso la Vergine. Esse inquadrano e informano la vita comunitaria e personale: ogni azione trae ispirazione dal saluto angelico mentre è coronata dalla Salve Regina; si festeggiano le principali feste mariane della liturgia e si celebrano settimanalmente la Vigilia Dominae nostrae (il venerdì) e la messa de Beata (il sabato). Il servizio dovuto alla Vergine si concretizza soprattutto in atteggiamento interiore: mantenersi “innanzi a lei nella debita riverenza e timore, mondi di cuore e dì corpo”. Nel corso dei secoli si è verificata nell'ordine prima una scomposizione dell'unico mistero mariano in titoli particolari, poi una concentrazione unilaterale sui dolori di Maria. Con le Costituzioni del 1968 si è inteso recuperare la "vocazione di servizio" nei riguardi del Signore e dei fratelli, mediante un'ispirazione costante a Maria, «madre e serva del Signore». 

    7. L'amore cavalleresco per Maria - Nel tardo medioevo il movimento dei trova-tori, provenienti dalla Provenza, introduce un nuovo tipo di amore, detto cortese o cavalleresco: il cavaliere rende omaggio a una dama sposata, di cui è innamorato anche se di un amore platonico in quanto ella resta un ideale intangibile. In campo religioso l'amore cortese influisce sul rapporto con Maria, la dama per eccellenza o la "Madonna", irraggiungibile nella sua verginità e santità, e insieme degna di un amore intenso. Il concetto di consacrazione si co-lora di spirito cavalleresco, che impegna per Maria, nei voti dei Cavalieri teuto-nici: «Prometto d'essere puro nel corpo, senza beni propri e obbediente a Dio, a s. Maria e a te, maestro dell'ordine». In tale contesto, s. Ignazio di Loyola nel 1522 va in pellegrinaggio a Montserrat, dove compie la sua "veglia d'armi" secondo il rito che aveva letto in Amadis de Gaula, appende la sua spada all'altare della Madonna e si consacra definitivamente a colei «che non è né contessa né duchessa, ma di condizione ben più alta». L'amore cortese si riflette nella vita di F. Petrarca nel suo legame con Laura, ma anche nel dono di sé alla Vergine, cui dedica la più bella poesia del suo Canzoniere: «Se dal mio stato assai misero e vile / per le tue man resurgo, / Vergine, i' sacro e purgo / al tuo nome e pensieri e 'ngegno e stile, / la lingua e 'I cor, le lacrime e i sospiri ».

    8. La "oblatio" delle congregazioni mariane - Fondate a Roma dal gesuita belga Jean Leunis nel 1563, le congregazioni mariane riconobbero fin dal-l'inizio Maria come protettrice. Già nel 1576 p. Francesco Coster (†1619) introduce nel cerimoniale d'entrata nella congregazione un atto di offerta che sigilla il patto tra il congregazionista e Maria. La formula, che ricono-sce Maria come «signora, patrona e avvocata» e promette un servizio perpetuo, viene pubblicata nel 1613 da Spinelli nel libro Maria Deipara Thronus Dei. Essa viene accettata ufficiosamente prima del 1622 a Napoli e nel 1652 a Roma; intorno al 1671 risulta ormai parte integrante del rito di ammissione. Nel 1630 p. Poiré parla dell'offerta a Maria che fanno «in tutta la cristianità» le congregazioni erette nelle case della Compagnia di Gesù e la presenta come «donazione solenne e irrevocabile» o «una prote-sta solenne che l'anima devota fa alla sacratissima Vergine, alla presenza del cielo e della terra, di voler appartenere a lei con la scelta operata da volontà sincera e immutabile, di voler dipendere da lei in ogni cosa in uno stato o condizione di umilissima servitù, di riconoscerla in perpetuo per Signora e Sovrana, di abbandonarsi a tutti i suoi voleri e poteri, di offrire a Lei ogni momento della vita, ogni atto delle sue facoltà interne ed esterne, tutto ciò che può diventare o sperare nell'ordine della natura e della grazia». L'idea di offerta e dono totale a Maria è presente nel Manuale della Congregazione della beata Vergine di A. Girard (1650), dove si parla di congregati che hanno scelto Maria «per Signora e madre, e si sono interamente consacrati al suo servizio». L'oblatio a Maria assume il nome di "consacrazione" nelle Regole comuni del 1910 e riceve una chiara illustrazione contenutistica da Pio XII (21.1.1945). I principi generali del 1968 eliminano l'espressione «consacrazione a Maria» e vedono nel «filiale amore verso la vergine Maria» un legame d'unione fra i membri delle Comunità di vita cristiana: Maria è presentata come "modello" di collaborazione alla missione di Cristo e "l'unione" con lei come un modo per vivere «la donazione totale a Dio». 

    9. Dal patronato alla vita mariaforme - L'atteggiamento di consacrazione caratterizza la tradizione carmelitana e si ripropone in variazioni vitali nelle varie epoche. Già nel sec. XIII gli eremiti latini del Carmelo dedicano la loro chiesetta alla Madonna; è un gesto importante in quanto la scelta «del titolo della chiesa comportava un orientamento spirituale, perché nella concezione feudale, allora regnante, chi era al servizio della chiesa era al servizio del santo cui la chiesa era dedicata. E si intenda bene in tutto il suo valore la pa-rola 'servizio'...: significava la "traditio personae", cioè porsi completamente a disposizione, consacrazione personale, ratificata con giuramento: tanto più quando ciò era sanzionato colla professione religiosa». Nel 1479 Arnoldo Bo-stio scrive il De patronatu et patrocinio dove presenta Maria come patrona, ma anche madre e sorella, sganciandola così dal modulo giuridico-feudale, e dice al carmelitano: «Quanto hai preparato da offrire a Dio, non tardare a deporlo nelle mani di lei». Bostio propone, oltre all'imitazione e all'amore verso Maria, il frequente contatto con lei mediante l'invocazione assidua e il ricordo frequente. Presso gli autori carmelitani dei secoli successivi la parola e il concetto di consacrazione ritornano frequentemente. Consacrazione è affiancata da ter-mini come affidamento, offerta, espropriazione, dedicazione, appartenenza tota-le, oblazione, consegna... Un testo di Leone di S. Giovanni (†1634) ne aggiunge altri: «II più perfetto omaggio e il più completo olocausto che un'anima devota possa fare, è di consacrarsi a Dio, a Gesù, a Maria e a tutta la loro benedetta fa-miglia. E ciò a titolo di stato perpetuo, di dipendenza attuale, di filiazione cordiale, di servitù amorosa e di schiavitù eterna». Maria di S. Teresa (†1677) testimonia di essersi "espropriata" di se stessa e "totalmente consacrata" alla Vergine, mentre il suo direttore spirituale Michele di S. Agostino (†1684) consiglia: «Dopo aver fatto oblazione alla SS. Trinità di te, di tutte le tue cose e opere nell'intenzione di Cristo e in unione ai suoi meriti, abituati poi a offrire in modo speciale alla tua amabilissima madre te stesso, tutte le tue cose e i tuoi esercizi». Ambedue sono però celebri per aver vissuto e proposto la "vita maria-forme e mariana" come esperienza di continua conversazione, identificazione e adesione d'amore a Maria, in modo tale da vivere più intensamente la vita divina. È un'alta forma di spiritualità, non procedente da un atto solenne di consacrazione, ma attuante in maniera ammirevole i suoi contenuti vitali.

    10. La "santa schiavitù" verso la madre di Dio - Sul finire del XVI sec. il rap-porto di donazione a Maria si espri-me con la formula non abituale di "schiavitù", che incontrerà popolarità nel mondo europeo, ma anche contestazioni e condanne. È una storia complessa, le cui vicende sono dipanate meglio che da altri studiosi dall'infaticabile ricercatore P. Eìjckeler (†1977). La prima testimonianza di una associazione di schiavitù riguarda Alcalà, dove sr. Ines Battista di S. Paolo, francescana concezionista, ne fondò una nel 1595: per tale confra-ternita i francescani Juan de los Angeles (1608) e Melchior de Cetina (1618) scrissero le prime opere teologiche sulla santa schiavitù. Tale devozione si diffuse in Spagna per opera del trinitario De Rojas (†1624). Dalla Spagna la schiavitù mariana passa in Francia grazie a Bérulle, che nel 1614-1615 propone all'Oratorio e alle carmelitane il duplice voto di servitù perpetua alla Vergine e a Gesù Cristo. Segue un'accesa polemica che giunge alla «censura del formulario per un quarto voto» fatta dalle università di Lovanio e di Douai, nonché da Les-sius, in base a testi di Bérulle rimaneggiati. In particolare Lessius ritorna sull'ar-gomento e spiega come egli abbia inteso escludere l'obbligatorietà di un nuovo voto e non l'atto «secondo il quale noi votiamo a Gesù Cristo nel battesimo l'impegno di vivere bene». Questo orientamento battesimale viene accolto e approfondito da Bérulle nel suo Narré o memoriale circa la polemica suscitata dai voti di servitù a Gesù e a Maria. Il battesimo non è però messo in relazione con l'oblazione a Maria. In Francia il rappresentante più qualificato e popolare della schiavitù mariana è l'arcidiacono di Évreux, H. Boudon, che nel 1667 scrive il libro Dio solo, o la santa schiavitù dell'ammirabile Madre di Dio. Egli precisa che tale devozione supera i segni esteriori e consiste in «una santa transazione con la Regina del cielo e della terra, con la quale si consacra a lei la propria libertà per passare nel numero dei suoi schiavi, costituendola padro-na assoluta del proprio cuore, cedendole il diritto che si ha in tutte le buone azioni, dedicandosi interamente al servizio della sua grandezza». Boudon è tributario di Bérulle, pur allargandone gli orientamenti in un vero e proprio trattato di natura spirituale e apologetica: non recepisce tuttavia il riferimento al battesimo.

    Anche in Belgio, Germania e Polonia si diffonde la Schiavitù suscitando varie opere. 

    In Italia si diffondono all'inizio del XVII sec. dei pii sodalizi di schiavi di Maria, per opera soprattutto dei teatini. Alcuni libri che raccomandano l'uso delle catenelle vengono condannati dal S. Uffizio nel 1673 nell'intento di prevenire gli abusi e di proscrivere ogni forma di costrizione nei rapporti con Dio e con Maria . Non sono pertanto toccati dalla condanna gli autori come Bérulle, Boudon e Montfort, che propongono una schiavitù d'amore, volontaria, santa e armonizzata con la rivelazione.

    11. Consacrazione come contratto di alleanza - Sulla scia di Bérulle si pone s. Giovanni Eudes (†1680), che ripropone la donazione a Gesù e a Maria con varianti originali. Egli approfondisce e traduce in termini pastorali la teologia del battesimo nell'opera Contratto dell'uomo con Dio per mezzo del battesimo (1654), dove presenta il battesimo come un'alleanza nella quale Dio e l'uomo si impegnano a un reciproco dono. In particolare l'uomo si è offerto, dato e consacrato a Dio e si è obbligato a due grandi cose: rinuncia a Satana e adesione a Gesù Cristo. La formula «offro, dono e consacro» ritorna nelle preghiere a Cristo e a Maria con l'accentuazione dei loro sacri cuori, considerati come un’unica realtà: «Ricevimi, Signore buonissimo, nel numero dei servi e figli del tuo sacro cuore e di quello della tua degna madre, che è tutt'uno con il tuo». L'applicazione della nozione di contratto sponsale alle relazioni con Maria, con le differenze e le consonanze richieste dallo status di lei, è compiuta da s. Giovanni Eudes nel Contratto di una santa alleanza con la sacratissima Vergine Maria Madre di Dio (1668).

    Le prospettive di s. Giovanni Eudes si ripresenteranno nel sec. XIX con p. Chaminade (†1850), che insisterà tra l'altro sulla consacrazione come alleanza, e con s. Antonio Maria Claret (†1870), il quale preconizza la consacrazione al cuore immacolato di Maria. L'uno e l'altro inseriscono la consacrazione mariana in quella religiosa.

    12. Consacrazione a Gesù Cristo per mezzo di Maria - Erede della tradi-zione spirituale e missionaria della Francia post-tridentina, s. Luigi Maria di Montfort rappresenta un apice della devozione a Maria: «Si può dire che con lui l'idea di consacrazione ha raggiunto la sua perfetta espressio-ne». Maturata in un periodo di piena crisi mariana, tale consacrazione è cristocentrica, in quanto rispetta l'unica mediazione di Cristo e costituisce una via per giungere alla maturità spirituale. Sebbene il Montfort ricorra a vari termini per spiegarne il contenuto (schiavitù d'amore, contratto di alleanza...), quando deve definirla fa perno sul concetto di consacrazione, collegandola direttamente con il battesimo. Nel Trattato della vera devozione a Maria (pubblicato postumo nel 1843 e divenuto ben presto un best-seller mariano) il Montfort intitola questa parte: «La perfetta consacrazio-ne a Gesù Cristo» e la presenta con le celebri parole: «La perfetta consacra-zione a Gesù Cristo, quindi, non è altro che una consacrazione perfetta e totale di se stessi a Maria; o, in altre parole, una perfetta rinnovazione dei voti e delle promesse del santo battesimo. È questa la devozione che io insegno». Pur avendo attinto da tanti predecessori, come Boudon, BérulIe, Eudes, il Montfort raggiunge in questa identificazione tra consacrazione a Maria e voti battesimali un traguardo prima ignoto, che preserva il rapporto con Maria da ogni devo-zionalismo e lo mette al servizio della vita in Cristo. Sia per vari scritti, tra cui spiccano Il segreto di Maria e L'amore all'eterna Sapienza, sia soprattutto per il Trattalo della vera devozione a Maria, il Montfort resta "l'autore classico" della consacrazione. Non solo precisa le persone cui è rivolta, cioè Cristo come fine ultimo e Maria come fine prossimo e mezzo, ma presenta organicamente la consacrazione nei suoi fondamenti (nn. 60-89), nella sua natura (nn. 120-134), nei suoi motivi (nn. 135-182), nei suoi effetti (nn. 213-225), nelle sue espressioni (nn. 226-256) e negli impegni vitali che comporta (nn. 257-273). Per questa sintesi di ordine teologico, spirituale ed esperienziale, il Montfort eserciterà un influsso determinante sulla pietà cristiana e molti vi attingeranno con frutto.

    13. Consacrazione all'Immacolata - È difficile seguire il cammino della consa-crazione negli ultimi secoli, quando essa guadagna terreno a livello di spiritualità e di pastorale. Essa entra nelle congregazioni maschili e femminili, nelle associa-zioni, nei seminari, nella vita del popolo. Fermiamo la nostra attenzione su s.  Massimiliano Kolbe (†1941) per la serietà del suo impegno nell’attualizzare e approfondire la consacrazione a Maria. P. Kolbe, nell'intento di specificare una consacrazione totale e illimitata a Maria, utilizza varie denominazioni (servo, schiavo d'amore, figlio...), ma ne scopre anche i loro limiti. Si pronuncia quindi per l'espressione "cosa e proprietà", che sottolinea l'appartenenza e strumentalità dei consacrati, pur lasciando aperta la porta a nuovo linguaggio: «E se poi gli altri troveranno delle espressioni che significheranno più ancora una sacrifica-zione, un'oblazione di se stesso, questi si avvicineranno ancora più allo spirito della Milizia dell' Immacolata». Pur essendo sostanzialmente tributario del Montfort (cfr. S.K. 1329 diverse formule e 508), la cui devozione è dichiarata "tutta nostra", p. Kolbe presenta la consacrazione a Maria in forma originale. Prima di tutto la vive personalmente in modo intenso, poi, anche se non in modo di trattato organico, sottolinea tre aspetti.

    a) consacrazione come “cosa e proprietà” intesa come massima disponibilità a Maria fino a “diventare Lei”;

    b) riferimento all’Immacolata nel solco della tradizione dell’Ordine francescano (cfr. cap. II° Natura M.I.);

    c) finalità apostolico-missionaria: guadagnare il mondo a Cristo per Maria.

     Queste accentuazioni sono per così dire codificate nell'atto di consacrazione all'Immacolata composto da P. Kolbe per la Milizia dell'Immacolata.

    14. Consacrazioni nazionali e del mondo - Già nel medioevo non solo le diocesi erano dedicate a Maria (mediante la cattedrale), ma anche nazioni come l'Ungheria riconoscevano Maria regina e protettrice; nel XVII sec., però, si registrano vere consacrazioni di nazioni alla Vergine in concomitanza con l'affermarsi del sentimento di patria: Francia (1638), Portogallo (1644), Austria (1647), Polonia (1656)... Dopo il movimento ottocentesco culminato nel 1899 con la consacrazione del genere umano al sacro Cuore, si promosse a più riprese la consacrazione del mondo al cuore immacolato di Maria. Aderendo alla supplica dell'episcopato portoghese nel 25° delle apparizioni della Madonna a Fatima, Pio XII ha consacrato il mondo al cuore immacolato di Maria: «...A voi, al vostro cuore immacolato, noi, in quest'ora tragica della storia umana, affidiamo, rimettiamo, consacriamo non solo la santa chiesa... ma anche tutto il mondo straziato da feroci discordie...» (31.10.1942). Lo stesso papa consacrò poi alla Madonna la Russia (1952) e la Spagna (1954). Nel 1959 si consacrarono a lei l'Italia e gli Stati Uniti d'America. Anche Paolo VI (21.11.1964) e Giovanni Paolo II (7.6 e 8.12.1981; 13.5.1982; 25.3.1984) hanno rinnovato la consacra-zione del mondo a Maria. Tali gesti richiamano la consacrazione personale a misurarsi con quella ecclesiale e sociale, aggiungendo una prospettiva assente nei grandi spirituali del XVII sec.

     

    15. Giovanni Paolo II: "Totus tuus" - Se gli ultimi papi hanno parlato in termini positivi della consacrazione mariana, Giovanni Paolo II ne ha fatto uno dei punti programmatici qualificanti il suo pontificato. Sia con gesti che con discorsi egli ha realizzato il motto del suo stemma episcopale Totus tuus. Nei suoi pellegrinaggi ai santuari mariani e in particolari circostanze, come nell'elezione a papa o nell'attentato del maggio 1981, Giovanni Paolo II ha rinnovato, personalmente o con formule collettive, la consacrazione a Maria. In papa Wojtyla convergono molti apporti dei secoli precedenti, soprattutto del Montfort e di p. Kolbe, che egli utilizza liberamente secondo l'opportunità pastorale, senza legarsi ad una presentazione stereotipa. Ciò spiega la varietà di linguaggio cui ricorre per spiegare o esprimere i contenuti del rapporto di totale appartenenza e disponibilità a Maria: affidare, consacrare, offrire, dedicare, raccomandare, mettere nelle mani, impegnarsi, servire, affidare-affidamento (oltre il 30%), seguita dopo largo margine da consacrare-consacrazione (circa il 20%) e ancora a distanza dagli altri termini.

    Papa Wojtyla, oltre a fondare l'affidamento a Maria sulla presenza di lei nel piano della salvezza, soprattutto come madre cui Gesù ha affidato l'uma-nità, precisa che esso «non è rinuncia, ma mobilitazione» e postula un totale rinnovamento della vita cristiana. Specifica il contenuto dell'offerta a Maria allargandolo alla problematica odierna: evangelizzazione, ecumenismo, pace nel mondo, coloro per i quali la vita è più dura, il futuro... Infine nel radiomessaggio del 7.6.1981 l'affidamento è rivolto allo Spirito Santo, in continuazione con quello avvenuto in Maria: «Spirito Santo Dio... accetta queste parole di umile affidamento indirizzate a te nel cuore di Maria di Nazareth, tua sposa e madre del Redentore...». La consacrazione a Maria ha raggiunto un culmine di ufficialità con Giovanni Paolo II.

    In una lettera del 15 agosto 1984, nel XXV° della consacrazione dell’Italia al Cuore Immacolato di Maria, il Papa Giovanni Paolo II° spiega che cosa inten-de per consacrazione: “Il significato antico della consacrazione a Maria consiste non già in un effimero gesto devozionale, ma nella accoglienza filiale di Colei che Cristo ci ha dato per Madre, nell’ordine della grazia, nella persona del discepolo amato (Gv. 19,27).

    Tale rapporto diretto e permanente con Maria nella preghiera, nella disponi-bilità al suo influsso materno e nell’assimilazione dei suoi atteggiamenti evan-gelici è, a sua volta, ordinato a risolversi in un cammino di fedeltà a Cristo, di docilità allo Spirito, di comunione d’amore col Padre e di vita ecclesiale.

    Auspico che il rinnovato impegno di consacrazione a Maria sia visto e vissuto in riferimento alla storia della salvezza, come modo di realizzare l’alleanza con Dio, stipulata da Gesù Cristo nel mistero pasquale e attuata per i cristiani nei sacramenti del battesimo, cresima ed eucaristia. Consacrati da Dio per ini-ziativa gratuita di amore, dobbiamo vivere per Lui, offrendo le nostre persone come sacrificio vivente, santo, gradito a Dio (Rom. 12,1) sull’esempio di Maria, la Vergine consacrata a Dio”.


    c)   CONTENUTO ODIERNO DELLA CONSACRAZIONE(3)


    Nelle parole del Papa appena citate è espresso molto bene il contenuto della consacrazione a Maria. Vediamo di analizzarlo meglio.

    Il valore che si vuole sottolineare è l’incontro personale, intimo, perseve-rante con Maria, che implica fiducia, appartenenza, dono di sé, disponibilità, collaborazione alla sua missione.

    Come presentare al nostro mondo questo valore?

    Il rapporto con Maria, consacrazione o affidamento, dev’essere visto e considerato nella risposta globale dell’uomo a Dio. 

    La vocazione fondamentale dell’uomo è alla divinizzazione: “Siate santi perché Io sono Santo”, per cui tutta la vita del credente, in ogni suo aspetto e in ogni suo momento, deve essere orientata a Dio: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore...”(Dt. 6,5; Mc. 12,30; Lc. 10,27); “...offrite i vostri corpi come sacrificio...” (Rom. 12,1). Questo culto vitale, esistenziale, diretto a Dio per Gesù Cristo nello Spirito Santo è il compendio di tutta la religione e la vita spirituale.

    In questo senso è chiaro che la consacrazione, in senso pieno e vero, è riservata a Dio, alla Trinità, come atto di elezione amorosa, gratuita e risposta amorosa del-l’uomo. Può essere riferita a Maria solo in senso analogico, cioè con un signifi-cato non certo uguale a quello che si dà a questo atto nei confronti di Dio. Scrive Stefano de Fiores: ”La consacrazione a Maria non può essere intesa come consacrazione parallela o competitiva con la consacrazione a Dio, perché è derivante da essa e finalizzata ad essa; né può essere considerata identica a quella dovuta a Dio, in quanto riconosce il livello creaturale di Maria, ma nep-pure può essere classificata come solo funzionale, perché ridurrebbe Maria ad un semplice mezzo o strumento nel piano della salvezza. L’unico modo per poter applicare un termine a Dio e alla creatura è di ricorrere all’ analogia, che si basa appunto sulla somiglianza nella differenza” (4).

    Per il passato si partiva dalla consacrazione a Maria che doveva portare ad una più intensa vita spirituale. Oggi, dopo il Vat.II, la prospettiva si rovescia: Maria è vista e compresa nel mistero di Cristo; così il rapporto vitale con Lei va visto nell’orizzonte della risposta dell’uomo alla Trinità, della sua divinizzazione.

    Perciò:

    * la consacrazione a Maria non può essere presentata e non ha valore co-me atteggiamento autonomo, per sé, staccato dalla consacrazione a Dio del cristiano; 

    * poiché la consacrazione unica, vera, fondamentale del cristiano avviene nel battesimo, che comunica la vita stessa di Dio, unisce a Cristo nello Spirito, essa diventa punto di riferimento anche per la consacrazione a Maria. Il Montfort parla appunto di consacrazione a Maria come rinno-vazione della consacrazione e dell’impegno battesimale. 

    La sensibilità teologica e pastorale della Chiesa oggi è proprio di partire dal battesimo, dalla cresima e dall’eucaristia: con questi sacramenti si realizza la consacrazione del cristiano. Tale consacrazione dedica completamente il cristia-no al servizio filiale di Dio, lo rende partecipe dell’ufficio sacerdotale, regale, profetico di Cristo, mediante l’azione dello Spirito, innesta pienamente il battez-zato nella vita della Trinità, perché possa realizzare la propria divinizzazione, essere Santo come Dio è Santo. Questo è il cammino tracciato da Dio per una vera vita spirituale. 

    Qui andrebbe aperto un lungo discorso sulla vita cristiana vissuta, realizzata gior-no per giorno, in tutti i suoi aspetti, con la ricerca e l’impegno che essa comporta di riscoperta continua, di novità continua, di approfondimento continuo. 

    In una sintesi estrema si può dire che base, fondamento e punto di partenza di una vera vita cristiana è credere all’amore di Dio, cioè la certezza, per esperien-za, del suo amore personale per ciascuno; credere che tutto nella nostra vita è se-gno e frutto del suo amore. Questo fa vedere la vita, i fatti, le persone, il mondo, tutto in una luce nuova, con un volto nuovo: quello dell’amore di Dio.

    Il sentirci amati spinge a rispondere a questo amore con l’amore. 

    Quale il modo più concreto per amare Dio? 

    E’ fare la sua volontà, non la nostra. 

    E dove si esprime certamente la sua volontà? 

    Nella sua Parola. Lì Dio ci ha detto tutto ciò che vuole da noi, con l’Incarnazione del suo Figlio Gesù. 

    Accogliere e vivere la Parola di Dio, una parola di Dio giorno per giorno, vuol dire fare la sua volontà, vuol dire amarLo. E qui si potrebbe ricordare un metodo semplice e concreto che Paolo VI suggeriva nella visita ad una parrocchia di Roma e che alcuni Movimenti vivono:

    • * scegliere insieme ad altri una frase di senso compiuto del Vangelo o del N.T.;

    • * farne una breve spiegazione per comprenderne il senso ;

    • * metterla in pratica per una settimana (per es.) nei vari momenti della giornata, in ogni situazione: che sia quella parola la ragione che ci fa vive-re in un modo invece che in un altro;

    • * mettere in comunione con altri le esperienze fatte, cioè ciò che il vivere quella parola ha cambiato nella nostra vita, nel nostro modo di pensare e agire. Così ci si esercita a fare la volontà di Dio.

    Certamente una sua volontà esplicita è l’amore al prossimo e l’amore reciproco tra i cristiani, fino a meritare la sua presenza fra noi (Mt., 18,20), fino a diventare una cosa sola, come Gesù e il Padre sono una cosa sola (Gv. 17,21).

    Tutto questo non é un insieme di bei concetti o di idee ma è un’esperienza di vita. E’ una vita da vivere, è un’esperienza da fare, in base alla quale si penetra nella realtà vera della vita cristiana, come dice S. Paolo, fino a comprenderne “l’altez-za, la profondità...”.

    Basterebbe il confronto costante e vissuto con la Parola di Dio per notare quanto Essa ci richiama e sospinge ad una conversione concreta e attuale a Dio, sempre.

    E poi abbiamo presente quanto la Chiesa, per attuare la Parola, ci indica nel suo insegnamento. Qui davvero non si finirebbe più di richiamare il nostro dover essere. In fondo la santità è il compito che ci aspetta per tutta la vita e che in modo primario siamo chiamati a realizzare, pena il fallimento della nostra esistenza (cfr. Novo Millennio Ineunte nn. 30-31) 

    In questo nostro andare verso Dio, o, meglio ancora, in questo lasciarsi prendere e pervadere pienamente dalla vita della Trinità, la consacrazione a Maria stabilisce un rapporto con Colei che, per prima e in modo insuperabile, ha vissuto pienamente la sua risposta a Dio, si è lasciata invadere da Dio, che ha operato in Lei “grandi cose”. Consacrarsi a Maria significa allora lasciarsi aiutare dal suo esempio e dalla sua intercessione a trovare il vero senso della vita cristia-na determinato dal battesimo, o, meglio ancora, rivivere in noi Maria per attuare pienamente il battesimo.

    Come diceva il Papa nella lettera citata sopra, la consacrazione a Maria non può dunque essere fine a se stessa, ma deve sfociare nella:

    * fedeltà a Cristo: la Vergine fedele ci insegna ad essere fedeli a Cristo, che ci ha fatti suoi nel battesimo, con tutto quello che ciò comporta e richiede: la sequela di Cristo;

    * docilità allo Spirito: la vita di Maria è segnata dall’intervento dello Spi-rito dall’Incarnazione alla Pentecoste; diviene Madre per opera dello Spirito. Ascoltare la voce dello Spirito, essere aperti alla sua azione vuol dire cooperare all’opera dello Spirito, che è la santificazione dei cristia-ni, di noi;

    * comunione col Padre: lo esprime bene Maria nel Magnificat dove loda Dio per le cose che ha fatto in Lei. Come Maria, significa sentirsi amati da Dio, resi figli suoi da Gesù, desiderosi di vivere da figli suoi rispon-dendo al suo amore;

    * vita ecclesiale: Maria è presente mentre nasce la Chiesa e la accom-pagna nei suoi primi passi. E’ una presenza discreta, silenziosa ma viva e importante. Chi accoglie nella propria vita Maria come Madre deve accogliere anche la Chiesa aprendosi al suo insegnamento, ai suoi pro-getti, alla sua vita, dando il proprio contributo secondo lo stato di vita, perché si estenda la maternità della Chiesa fino all’unità di tutti gli uomini chiesta da Gesù al Padre.


    Un ultimo accenno sull’argomento della consacrazione a Maria viene dal-l’uso dei termini. Certo, oggi dalla nostra cultura non sono più recepiti termini come schiavitù, servizio, amore cavalleresco, contratto di dipendenza o sudditan-za, ecc.

    C’è chi riserva esclusivamente al rapporto con Dio il termine di consacrazione; nei confronti di Maria usano di più il termine affidamento, che indica questa accoglienza di Maria nella propria vita secondo il disegno di Dio, come via a Dio, come Colei che ci porta a Dio, che ci genera a Dio.

    Giovanni Paolo II usa indistintamente l’uno e l’altro termine: ciò che vale è il contenuto, la sostanza e non le formulazioni.

    Altri, sulla base biblica di Gv. 19,22, propongono il termine ”accoglienza di Maria. Accogliere Maria, con tutta la ricchezza di atteggiamenti spirituali che comporta il termine in Giovanni, come abbiamo visto, significa aprirsi a Lei e alla sua missione materna, introdurla nella propria intimità spirituale, dove già si è accolto Cristo e gli altri suoi doni nella fede. E’ un’espressione che richiama tutta la spiritualità cristiana e mariana del N.T. Dal punto di vista culturale odierno, l’accoglienza dell’altro è un imperativo categorico se si vuole costruire una società che sia veramente comunione.

    Per tutto quanto si è detto, perciò, la consacrazione o affidamento o acco-glienza è un atto denso di impegno vitale, che non si può improvvisare, ma ri-chiede maturazione, preparazione e vita cristiana vissuta con intensità.

    Con questo non vorrei spaventare chi vuole consacrarsi a Maria, quasi richiedes-se la perfezione in atto, ma neppure approvare quella facilità alla consacrazione che non dice niente e lascia la vita quotidiana mediocre come prima.

    Ogni consacrazione poi è un atto personale, certo, ma che si fa in comu-nione con i fratelli, cioè come membra di un corpo che è la Chiesa e, di solito, di fronte alla comunità: quindi diventa anche un atto pubblico, perciò segno, espres-sione di una realtà che, cioè, si vuole essere nella Chiesa. All’atto di consacra-zione, che deve essere fatto durante una liturgia (per es. di sabato o nelle feste mariane...) deve perciò corrispondere la vita quotidiana, espressione concreta di essa, nell’esercizio ascetico di far riferimento a Maria in ogni azione.

    Esso implica 

    + costante ispirazione al suo esempio, 

    + ricorso fiducioso e orante alla sua intercessione, 

    + rinnovo frequente della consacrazione a Lei e a Cristo, 

    + identificazione con Lei per essere docili allo Spirito, 

    + impegno promozionale del suo culto e del Regno di Cristo nel mondo.

    I consacrati si eserciteranno soprattutto a sintonizzarsi con Maria nell’arco della giornata nei momenti di gioia e di dolore, di impegno e di distensione, di incon-tro o di solitudine.

    In particolare cercheranno di attuare questo programma in linea col battesimo:


    +

    come Maria offriranno a Dio la propria vita dicendo di “sì” alla volontà di Dio in ogni avvenimento;

    con Maria andranno verso i fratelli per annunciare la salvezza, aiutan-doli nel bisogno;


    aiutati da Maria respingeranno il male e il peccato impregnando dello spirito del Vangelo le varie espressioni della società;

    come Maria saranno rivestiti della Parola di Dio vissuta giorno per giorno.

    L’ideale del consacrato è pervenire ad un’identificazione con Maria così da essere abilitati ad un’intima comunione col Padre, il Figlio e lo Spirito Santo e ad un amore “cristiano” verso il prossimo.


    d)   CONSACRAZIONE IN S. MASSIMILIANO(5)


    La consacrazione all’Immacolata costituisce, senza dubbio, una nozione centrale, un principio, una realtà dinamica, attorno alla quale ruotano la dottrina, l’opera e la vita di S. Massimiliano. Per comprenderla bene va vista nel comples-so dottrinale e vitale di p. Kolbe.

    Parlando dell’origine della M.I. abbiamo considerato vari elementi e fatti che hanno contribuito a questa decisione: l’apparizione delle due corone, l’impe-gno, da seminarista, a lottare per Maria, la meditazione del 20/01/1917, la cono-scenza del trattato del Montfort, la formazione francescana e la dottrina su Maria, le dimostrazioni dei nemici della Chiesa,...

    Che cosa intende S. Massimiliano per consacrazione?

    “Un atto di volontà emesso una volta e non più revocato” (S.K., 1300), col quale ci si dona all’Immacolata totalmente con ciò che si è e si ha per essere pie-namente di Dio. Questo si può ricavare dai suoi scritti nei quali ritorna spesso sulla consacrazione.

    Per fare questo non sono richiesti atti esterni o formalità particolari; basta anche un atto puramente interiore. Sappiamo tuttavia quanto giova e aiuta anche l’este-riore, visto che siamo spiriti incarnati. Non ci si deve fermare neppure alla com-ponente sentimentale: se c’è, meglio ancora: vuol dire che il nostro dono a Maria sarà più facile. 

    Ciò che è importante e fondamentale è il voler conformare la propria volontà con quella dell’Immacolata, offrirsi a Lei totalmente per esser suoi, anzi diventare Lei.

    Come poi sottolinea S. Massimiliano, questa consacrazione è senza riserve: richiama la parola di Gesù: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore...”, niente escluso, tutto per Lei.

    E’ illimitata nel tempo e nelle circostanze, abbraccia cioè tutta la vita, la morte stessa e l’eternità come pure la salute, la malattia, la serenità, la persecuzione, la gioia, il dolore... S. Massimiliano torna spesso su questa realtà nei suoi scritti. Ne riportiamo uno ad es.: “Ci siamo consacrati a Lei illimitatamente, perciò non ab-biamo diritto né  a pensieri, né ad azioni, né a parole nostre. Ella ci governi dispoticamente. Si degni benevolmente di non rispettare la nostra libertà e, qua-lora noi volessimo svincolarci dalla sua mano immacolata, ci costringa, anche se a noi dispiacesse molto, moltissimo, anche se noi protestassimo o negassimo o pregassimo; non guardi nulla, ma ci costringa con la forza e proprio allora ci stringa ancor più fortemente al suo Cuore” (S.K., 373).

    Ciò che dobbiamo sottolineare nella visione della consacrazione di p. Kolbe è il suo riferimento all’Immacolata, cioè a Maria contemplata e sperimen-tata come Immacolata. Questo, abbiamo visto, si ricollega a tutta la tradizione mariologica francescana, non solo, ma per S. Massimiliano è questo il titolo, la dimensione, la realtà più efficace per esprimere chi è Maria. Parla sempre quindi di consacrazione all’Immacolata. E’ questo il suo carisma. 

    Nella vita di consacrazione di p. Kolbe, come nella sua riflessione, anche se non organica, su di essa, vi è una crescita, uno sviluppo, una penetrazione sempre più profonda e vitale.

    Basandoci su studi già fatti da altri, si possono rilevare tre tappe o livelli o stadi di questa evoluzione:


    1. Consacrazione come appartenenza all’Immacolata in vista della mis-sione (1917-1932).In questo stadio la riflessione del santo sulla consacrazione parte con tre caratteristiche (cfr. Pagell. 1917):

    * è detta “offerta”, non consacrazione, con le note della totalità e strumen-talità, che poi nel 1919 diventa vera e propria consacrazione, come “cosa e proprietà”, “strumento” nelle mani di Maria: questo indica la massima appartenenza, dipendenza e disponibilità, cioè un dono totale, senza riserve, che include vita, morte, eternità;

    * l’”offerta” è la prima condizione per appartenere alla M.I. Nel 1921 la consacrazione viene definita “l’essenza” della M.I., cioè ciò che costi-tuisce, fa esistere l’associazione, il movimento M.I., e su questo tornerà spesso (S.K., 1007, 1046, 1090,…);

    * il fondamento dell’offerta di sé è il ruolo di Maria nel piano della sal-vezza: “Ella ti schiaccerà la testa” (Gn. 3,15); “Tu sola dissipasti le eresie del mondo intero” (Uff. Mad.). In seguito si precisa questa missione come mediazione universale di Maria voluta da Dio stesso per il fatto di eleggerla a Madre di Cristo suo Figlio. 

    Accanto a questo fondamento vi è l’esempio di Gesù che si affida a Maria per trent’anni.

    E’ il periodo in cui più spesso ricorrono i termini “cosa” e “proprietà” dell’Immacolata: “cosa” in quanto il consacrato all’Immacolata deve essere e consumarsi per Lei, come le cose materiali si consumano con l’uso; “proprietà”, “strumento” che indica da una parte la totalità del dono e dall’altra la dinamicità, la partecipazione. 

    Questo si ricava dall’evoluzione di alcune espressioni: “Tutto posso in Colui che mi dà forza” (Fil. 4,13), diventa: “Tutto posso in Colui che mi dà forza attraverso l’Immacolata(S.K., 975, 987c); “Lasciati guidare da Dio...” (S.K., 966), diventa: “Lasciati condurre dallo Spirito...per mezzo dell’Immacolata” (S.K., 987c), motivo che guida tutta la vita spirituale del Santo (cfr.S.K., 598, 646, 746, 812,…).

    Avendo fatto della M.I. l’ideale di vita, la consacrazione all’Immacolata ne è l’essenza. Per questo S. Massimiliano cerca di concretizzare tale consacra-zione:


    -

    diventando proprietà e cosa dell’Immacolata in modo da appartenere a Lei;

    donandosi a Lei totalmente, senza limiti, per sempre;

    essendo disponibile a Lei come strumento;

    impegnandosi alla conquista del mondo a Gesù per Maria.

    In questo lo spinge e lo guida la sua esperienza spirituale dell’azione dell’Im-macolata nella propria vita. Maria sola fa tutto; non bisogna ostacolarla ma lasciarla fare. Questo non vuol dire abdicare alla propria libertà e volontà, ma, come Maria, scegliere liberamente di essere suoi, per essere di Dio.


    2.  Consacrazione come via per identificarsi con l’Immacolata (1932-1935). Dagli scritti di questo tempo appare come una nuova tappa della sua esperienza mistica. Si mescolano in questo tempo “croci pesanti” e gioie profonde, ma co-stante è la tensione ad appartenere a Maria. Non solo, ma “...ognuno di noi deve preoccuparsi unicamente di armonizzare, di conformare, di fondere, per così dire, completamente la propria volontà con la volontà dell’Immacolata”; “...ci dobbiamo fondere, divenire una cosa sola con Dio attraverso l’Immacolata” (S.K., 1160). 

    “Scompariamo in Lei: che rimanga Lei sola, ma noi in Lei, una parte di Lei”. Diventare Lei...” (S.K., 579); “...essere Lei stessa. Ella deve condurci, trasformar-ci in se stessa di modo che non siamo più noi a vivere, ma Ella in noi” (S.K., 556). “Avvicinarci a Lei, renderci simili a lei, permettere che Ella prenda possesso del nostro cuore e di tutto il nostro essere, che Ella viva e operi in noi e per mezzo nostro, che Ella stessa ami Dio col nostro cuore, che noi apparteniamo a Lei senza alcuna restrizione: ecco il nostro ideale” (S.K., 1210).

    Contemporaneamente egli lavora creativamente alla conquista del mondo: India, Cina, Giappone...

    Anche a livello di riflessione S. Massimiliano passa dalla consacrazione come proprietà e strumento, alla consacrazione come disponibilità alla immedesima-zione con l’Immacolata. Questo “...divenire suoi sempre più, in modo più perfet-to, farsi simili a Lei, unirsi a Lei, diventare in certo modo Lei” (S.K., 1211) è presentato mettendo in primo piano il riferimento a Maria.

    Ma dopo alcune intuizioni circa il rapporto di Maria con la Trinità, specie con lo Spirito Santo, S. Massimiliano allarga la prospettiva e introduce l’Immacolata nel piano di Dio, come abbiamo potuto vedere presentando la sua visione di Maria. Nel contesto di flusso e riflusso d’amore, la consacrazione a Maria realizza lo scopo dell’uomo e la sua risposta più perfetta di amore a Dio. Infatti “...imitare Lei,...avvicinarsi a Lei, offrirsi in proprietà a Lei, diventare Lei: ecco il vertice della perfezione dell’uomo” (S.K., 1325).

    C’è da sottolineare anche la consapevolezza dell’originalità della consa-crazione all’Immacolata da lui proposta alla M.I., rispetto alla altre forme di consacrazione.

    S. Massimiliano ne conosce almeno quattro: 

    * la preghiera di S. Francesco da lui considerata un vero atto di consacrazione (S.K.537 allegato);

    *  “l’oblatio” delle congregazioni mariane;

    *   la perfetta consacrazione del Montfort;

    *   la donazione filiale spiegata da P. Neubert.

    P. Kolbe accoglie quanto esse esprimono, ma sottolinea anche la distinzione della sua proposta, specie riguardo alla perfetta consacrazione del Montfort, sia per il riferimento a Maria Immacolata secondo la tradizione francescana, sia per la finalità apostolica: conquistare tutto il mondo a Dio per Maria. Appare così che le varie forme di consacrazione non si escludono a vicenda, ma si completano.


    3. Consacrazione all’Immacolata come apertura all’esperienza trinitaria e al dono supremo per i fratelli (1935-1941).

    In questo periodo cedono tutte le resistenze della natura: carattere, personalità, di fronte all’amore all’Immacolata aperto alla Trinità e all’amore fraterno fino al sacrificio supremo.

    1934: “Quanto più apparterremo all’Immacolata, tanto più ameremo Gesù, Dio Padre, tutta la Santissima Trinità” (S.K., 605).

    1935: Inizia la sua riflessione sul rapporto  tra l’Immacolata e lo Spirito Santo nel disegno di Dio: “L’anima offre all’Immacolata i propri atti di amore...in piena ed esclusiva proprietà poiché comprende che l’Immacolata offrirà a Gesù tali atti come fossero propri, vale a dire li offrirà a Gesù senza macchia, immacolati; Gesù poi li offrirà al Padre. In tal modo, l’anima diviene sempre più dell’Immacolata, come l’Immacolata è di Gesù e Gesù del Padre. E come la vita in seno alla SS. Trinità è costituita dal flusso e riflusso dell’Amore, così avviene pure tra Creatore e creatura, che ritorna al Creatore dal quale era uscita” (S.K., 1310).

    “...la sorgente di ogni bene è Dio Padre, che opera sempre attraverso il Figlio e lo Spirito Santo, cioè la Trinità.

    E’ vero che l’unico mediatore  presso il Padre è Gesù...

    E’ vero che noi amiamo il Padre nel Figlio... 

    E’ vero che i nostri atti anche più santi non sono senza difetti e se voglia-mo offrirli a Gesù puri, senza macchia, dobbiamo rivolgerli direttamente all’Immacolata affinché Ella li offra come suoi al Figlio... avendo ricevu-to un valore infinito adoreranno degnamente il Padre...Quindi noi siamo interamente, completamente ed esclusivamente consacrati all’Immacola-ta con tutte le nostre azioni e in Lei e attraverso Lei, siamo consacrati sempre, interamente, completamente ed esclusivamente a Gesù; in Lui, per e attraverso Lui siamo consacrati al nostro Padre celeste...” (S.K., 643).

    Tutto questo non è finalizzato alla perfezione spirituale individuale e basta, ma è per l’azione apostolica: conquistare il mondo a Dio attraverso Lei.

    La piena disponibilità all’Immacolata inclusa nella consacrazione non viene me-no neppure di fronte al sacrificio della propria vita: “...ripetiamole che siamo disposti a tutto...alla morte per fame o per qualche altra causa”

    Nel 1932 aveva fatto il quarto voto con i fratelli: “...essere disposti a tutto per l’Immacolata anche se si dovesse trattare di mettere a repentaglio la propria vita”.

    In seguito dirà: “Chi è pronto a tutto per l’Immacolata, deve essere disposto anche a deporre davanti a Lei la propria vita in sacrificio” (S.K., 895). Ciò che farà realmente nel 1941.

    Come sappiamo p. Kolbe non ha lasciato una trattazione organica sulla vita di consacrazione all’Immacolata, su come vivere cioè concretamente la con-sacrazione. Nei suoi scritti troviamo però tanti suggerimenti:






    *

    non conta tanto la formulazione della consacrazione quanto il vi-verla concretamente: “L’amore all’Immacolata consiste...nel sof-frire molte privazioni, lavorare per Essa senza posa” (S.K., 706);

    per appartenere a Lei suggerisce: familiarizzarsi con Lei, pensare a Lei, aver fiducia e confidare in Lei, lasciarsi condurre da Lei, conversare a tu per tu con Lei, divenire simili a Lei, in particolare conformare e unire la nostra volontà con quella dell’Immacolata;

    nell’Immacolata e attraverso Lei giungere a Dio.

    Cercando di raccogliere in sintesi il pensiero di S. Massimiliano, si può dire che la consacrazione all’Immacolata, per lui, ha una triplice dimensione:

    1. E’ una scuola di vita mistica con riflesso apostolico. La consacrazione all’Im-macolata è vissuta da p. Kolbe nella piena donazione, consegna di sé a Maria per sempre fino alla identificazione con Lei, che non vuol dire impoverimento dell’io, ma sublimazione in un rapporto di vita mistica. E questo orientato all’azione apostolica.


    2. La consacrazione è una realtà costante, dinamica, che abbraccia tutta la vita del santo fino alla morte. Per p. Kolbe essa non è semplicemente una devozione o un’idea fissa; è, come abbiamo visto, una spiritualità, cioè un modo di inter-pretare e vivere tutta l’esperienza cristiana-religiosa, quindi coinvolge tutta la persona e tutta la vita in ogni suo aspetto e momento: “...questa è la nostra vita, il nostro respiro, ogni pulsazione del nostro cuore: consacrarci all’Im-macolata sempre più illimitatamente, incondizionatamente, irrevocabilmente e inculcare questa donazione di sé nei cuori di tutti, su tutta la terra (SK. 326). S. Massimiliano è vissuto in continua tensione verso l’attuazione sempre più perfetta della consacrazione.


    3. La consacrazione è esperienza aperta e in relazione con tutta la vita cristiana. La consacrazione si inserisce nella vita cristiana e religiosa di S. Massimilia-no e punta alla sua perfezione: essere divinizzato, altro Cristo attraverso Maria.


    e)   INDICAZIONI PER NOI OGGI(6)


    La sintesi vitale e razionale sulla consacrazione all’Immacolata presentata da S. Massimiliano possiede un’interiore coerenza, equilibrio, completezza, che certamente resta un punto di riferimento ineludibile nella storia del culto a Maria.

    Essa infatti non solo rispetta i riferimenti fondamentali del cristianesimo (visione trinitaria, mistero di Cristo, mediazione di Maria), ma è anche scuola di eroismo e di santità, è una spiritualità trinitaria-mariana valida per ogni tempo, al di là di alcuni rilievi che oggi possiamo muovere: il linguaggio militaresco, le espressio-ni cosificanti, la concentrazione su Maria, un certo monofisismo, il trasferimento dei titoli di Dio a Maria.

    A queste obiezioni ha già risposto S. Massimiliano tante volte: “L’Ideale di ogni componente della M.I. è di appartenere all’Immacolata, di essere suo servo, figlio, schiavo, cosa, proprietà, insomma di appartenere a Lei sotto qualsiasi denominazione che l’amore verso di Lei ha escogitato o sarà in grado di esco-gitare in qualunque tempo...; appartenere a Lei sotto ogni aspetto per tutta la vita, per la morte e per l’eternità. Essere suoi senza alcuna restrizione, irrevoca-bilmente, per sempre. E divenire suoi sempre di più, in modo sempre più perfetto, farsi simili a Lei, unirsi a Lei, divenire in certo qual modo Lei stessa...” (S.K., 1211)

    Tenendo presente questo che è l’essenziale, la sostanza, certamente S. Massimiliano desidera che sia vissuta la consacrazione nella cultura di oggi, espressa col linguaggio teologico di oggi.

    Per questo occorre tenere presenti alcune considerazioni che già ricordavamo:


    a) La consacrazione all’Immacolata non va presentata in modo autonomo, ma inserita nella storia della salvezza per realizzare cioè l’alleanza con Dio, san-cita da Gesù nel mistero pasquale e attualizzata per ciascuno di noi nel batte-simo, cresima ed eucaristia. E’ quindi l’intera vita cristiana che viene riletta alla luce di Maria: rispondere all’amore di Dio come Maria e con Maria.


    b) Armonizzare la consacrazione con la liturgia, secondo i tempi liturgici e le feste e sostanziarla di Parola di Dio. Inoltre anche nelle formulazioni tenere presente l’impostazione biblico-liturgica di ogni preghiera: al Padre, per Gesù, nello Spirito Santo.


    c) Ogni consacrazione non è solo un atto individuale, ma di un membro del corpo della Chiesa, del Corpo Mistico: da fare perciò pubblicamente, nel contesto della comunità cristiana.


    d) La vita di consacrazione sempre di più deve avere la sua incidenza anche nel contesto sociale dove il consacrato si trova a vivere e ad operare.

    La consacrazione così concepita e vissuta ha delle conseguenze nella vita.

    S. Massimiliano ne sottolinea alcune:

    *-Tutto quello che è nostro diventa di Maria e, per Lei, di Gesù, di Dio.

    *-Attraverso la consacrazione si tende sempre più a diventare Lei, in quella trasformazione mistica che Dio vuole realizzare in tutti con l’adozione a figli nel battesimo. Questa trasformazione non è fine a se stessa, ma è per il regno di Dio, per essere adoperati da Lui a portare il suo regno in ogni cuore fino agli ultimi confini della terra.

    *-Appartenendo a Lei, anche le difficoltà, i problemi, le tentazioni, i peccati, ecc., non saranno più un peso, una difficoltà. Con Lei e grazie a Lei, supere-remo ogni dubbio e scoraggiamento. Ella riparerà i nostri errori, raggiungeremo una pace profonda e la perfezione della santità.

    La proposta di S. Massimiliano, come l’ideale evangelico, può dare a qualcuno un senso di smarrimento, di inadeguatezza, di incapacità ad attuarlo e, quindi, ci si può ripiegare su noi stessi e restare in quella vita cristiana un po’ appiattita che non ci soddisfa e non dice nulla agli altri.

    E’ invece una proposta controcorrente, diretta a farci maturare e crescere nella fede, nella vita cristiana, gustando sempre di più l’ebbrezza di lasciarci condurre da Dio, attraverso l’Immacolata, nello sperimentare la verità di quanto Gesù ci ha rivelato nel Vangelo.

    Come sempre, questo processo richiede quel: “...rinneghi se stesso...”, non più da solo, con le sole proprie forze, ma con l’Immacolata, preso per mano da Lei, da Lei guidato e sostenuto.

    “Chi si è consacrato a Lei in modo veramente perfetto, ha già raggiunto la santità e quanto più perfettamente si lascia condurre da Lei nella vita interiore (spirituale) e nella vita esteriore (attività apostolica), tanto più partecipa della santità di Lei”(SK. 339).

    Questo stile di vita avrà come conseguenza una forte irradiazione. La vita parla da sé.

    A conclusione di quanto siamo andati dicendo sulla consacrazione a Maria, vorrei proporre, come esperienza concreta di vita, quella che viene definita la “Via Mariae” (7). Si tratta delle varie tappe della vita di Maria, così come ci sono presentate dal Vangelo e che possono essere rivissute da ogni cristiano nella propria esperienza spirituale.

    Giovanni Paolo II nella ‘Redemptoris Mater’ descrive l'esperienza di Maria secondo la categoria del "pellegrinaggio della fede" che Lei per prima ha compiuto e che propone anche a noi per essere imitatori suoi e fedeli seguaci del Figlio. Scrive il Papa: "La Chiesa cammina nel tempo (...) e muove incontro al Signore che viene; ma in questo cammino (...) procede ricalcando l'itinerario compiuto dalla Vergine Maria, la quale "avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio fino alla croce" (n. 2). E poco dopo: "…non si tratta soltanto della storia della Vergine Madre, del suo personale itinerario di fede (...), ma anche della storia di tutto il popolo di Dio, di coloro che prendono parte alla sua peregrinazione della fede" (n. 5).

    Proviamo a ripercorrere le tappe di questo itinerario confrontandole con la nostra personale esperienza spirituale: alcune di queste le abbiamo certamente già vissute, altre sappiamo che non potranno mancare nella storia della nostra sequela a Cristo.

    Maria, con la sua vita, diventa così il modello, l’esempio sul quale progettare anche noi la nostra risposta di amore e di fede a Dio. Allora la devozione a Maria non può consistere solo in qualche pratica di pietà in suo onore, ma nel riviverLa nella nostra vita, come ha mirabilmente sottolineato il Papa nell’ultima Lettera “Rosarium Virginis Mariae”: vivere la nostra esperienza di credenti con lo stesso spirito, con lo stesso sguardo, con lo stesso animo, con le medesime disposizioni di Maria.


    Analizziamo allora brevemente le tappe della vita di Maria, facendone un’applicazione alla nostra per vivere come Lei ed essere Lei.

    1. Annunciazione. (cfr. Lc. 1, 26-38)  Maria nasce e vive in mezzo ad un popolo, il popolo di Israele, nel quale, fin dall'infanzia, si impara ad amare Dio con tutto il cuore (cf. Dt 6, 4-7), a sperimentarne la bontà nella gioia del culto e delle feste a lui dedicate, ad ascoltare la sua voce. Si può dunque pensare che da sempre Maria sia vissuta di fede in Dio, che il tutto della sua vita sia stato Dio solo.  Maria, con il suo esempio, esorta tutti i cristiani ad operare questa sua stessa scelta fondamentale: mettere Dio al primo posto nel proprio cuore, anteporre Dio ad ogni altra cosa.

    È una scelta, questa, che interpella l'umanità intera, chiamata a recuperare la dimensione del trascendente, troppo spesso ignorata. Riscegliendo così Dio come unico ideale della propria vita, ciascuno e tutti potranno ritrovare pieno senso al loro esistere.    È la scelta di un Dio che si rivela Amore.  Ed è questo Dio Amore che Maria spiega a noi con la sua vita.

    In un particolare momento della sua esistenza, Dio interviene, invitando Maria a collaborare ad una missione unica: diventare madre del Figlio suo.

    È l'annunciazione, evento che segna l'inizio della sua personale esperienza con Dio Amore.

    Le parole dell'angelo: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te" (Lc. 1, 28), esprimono tutto l'amore e la fiducia di Dio per lei.

    In quel momento Maria crede e sperimenta un incondizionato amore di Dio nei suoi confronti e vi risponde con immediata adesione, accoglien-dolo, pronunciando quel “Sì” con il quale ha inizio in lei una vita nuova.

    Da quell'annuncio, Maria entra sino in fondo nel progetto di Dio, progetto d'amore che, attraverso lei, vuole raggiungere tutte le creature.

    L'angelo Gabriele annuncia a Maria il piano di Dio su di Lei e Lei col suo “fiat” dà un nuovo orientamento alla sua esistenza. Quest’ incontro, quest’ avvenimento dà senso al passato e nuovo senso al suo futuro (Maria voleva forse restare vergine consacrata a Dio, secondo un’interpretazione che i Padri della Chiesa danno della prima risposta che Lei dà all'angelo e, comunque, se anche avesse pensato di sposarsi, certo l'aveva pensato in maniera molto diversa da quanto poi avverrà).

    E’ il momento in cui Maria riceve l’illuminazione di quello che Dio vuole da Lei. Dio, attraverso l’angelo, le manifesta chiaramente la sua elezione a Madre di Gesù. Ella, consapevolmente, fa il dono di sé con la sua adesione al volere di Dio, totale, incondizionata, fiduciosa. E’ la risposta di fede all’amore di Dio.

    Nel cristiano, che sceglie Dio come tutto della sua vita, accade qualcosa di simile. Egli scopre che Dio, perché è Amore, è vicino ed è pronto ad intervenire per ogni necessità, più di un padre terreno. Comprende che il cammino intrapreso spalanca una via, la via dell'amore, e si impegna ad essere solo amore per i fratelli, ad amare Dio attraverso i fratelli.

    Di questo impegno di vita - tutta permeata di amore - Maria diventa modello perfetto.  Il cristiano ha la propria annunciazione nel momento del battesi-mo, prima di tutto, ma poi in altre occasioni nelle quali Dio si manifesta, in modo particolare, con una Sua luce superiore. Possono essere la lettura di un libro, l’incontro con una persona, un fatto che accade, un’ispirazio-ne, un discorso ascoltato, ecc…, attraverso cui si risveglia in noi il rapporto con Dio, la percezione della sua presenza in noi, la coscienza del suo amore personale, una volontà nuova di essere suoi, la spinta a seguirLo più da vicino. E ci aprono una nuova strada, prospettando un modo diverso di realizzare la nostra vita, magari diverso dai progetti che avevamo fino allora. In quell'annunciazione della nostra storia personale è avvenuta una sorta di nuova "incarnazione", come per Maria: Dio si è reso più presente nella nostra vita

    Dopo l'annuncio, anche noi come Maria abbiamo detto o posiamo dire il primo “Sì” ed è iniziata o può iniziare la storia del nostro nuovo rapporto con Dio e con i fratelli. Spesso abbiamo anche compreso o possiamo comprendere in modo nuovo il nostro passato: tutto ci appariva o appare come una preparazione a quel momento, anche gli errori, i peccati, gli avvenimenti particolari... Così è stato ad esempio per tanti fondatori e fondatrici.

    Maria ci insegna ad essere pronti, radicali, totalitari, come Lei, a dare la nostra risposta piena all’amore di Dio. Come? Credendo al suo amore, non temendo (“Non temere, Maria”), non dubitando, non tergiversando e tramandando, ma seguendo questi impulsi della grazia, vivendo la sua Parola, amandoLo sopra ogni cosa e prima di ogni cosa e di ogni persona.


    2. La visita. (cfr. Lc. 1, 39-56) Maria è profondamente unita a Dio, che ama immensamente, ed è riamata da lui con un amore tutto particolare.

    Questo suo profondo rapporto con Dio è fonte del suo amore verso il pros-simo. L'intera sua vita è una testimonianza preziosissima di ciò.

    Lo attestano significativi episodi menzionati nelle Scritture.

    Un esempio è la sua visita alla cugina Elisabetta in attesa del figlio Giovanni (cf. Lc 1, 39-56).

    Dall’agire di Maria in questa occasione traspaiono le caratteristiche dell'amore cristiano: per amore ella mette a disposizione il suo tempo e le sue forze, con umiltà e con gioia, in una donazione senza limiti.

    Nella descrizione dell'episodio, infatti, l'evangelista Luca sottolinea il recarsi di Maria "in fretta", correndo sui monti per una strada lunga e sconosciuta, noncurante dei pericoli e dei disagi.

    Ella va per servire la cugina che ha bisogno di lei. E trovando in lei un'anima aperta, non esita a comunicarle la sua straordinaria esperienza con il canto del Magnificat.

    In questo meraviglioso canto, Maria volge il suo sguardo a tutte le genera-zioni. E di fronte alle miserie del mondo, esprime, esultando, la sua fede in Dio che opera nella storia, che si prende cura dei poveri e degli oppressi. E crede e spera nel suo piano d'amore che conduce gli uomini a vivere come fratelli, nella solidarietà e nella condivisione. L'incontro con Elisabetta è occasione per lei di testimoniare, anche con la parola, la sua profonda confidenza in Dio. In questo episodio Maria si fa icona dell'amore fraterno per coloro che, per tradurre in pratica la scelta di Dio, si impegnano ad amare ogni prossimo condividendo con lui gioie e dolori.

    Nell'incontro con il fratello amato essi scoprono quel filo d'oro che intesse tutta la loro esistenza. Scoprono che l'amore è luce che fa cogliere il senso di ogni avvenimento passato ed è luce che illumina il futuro.

    Spinta dal suo incontro con Dio, Maria va a compiere un atto d'amore libero verso la cugina Elisabetta che aveva bisogno di aiuto. E canta il "Magnificat", cioè racconta la sua straordinaria esperienza alla cugina che le avrà chiesto il perché di quel viaggio in tutta fretta e della gioia che certamente traspariva da Maria, consapevole di portare in grembo il Figlio annunciato dall'angelo. Possiamo presumere, oltre alle scarne parole riportate da Luca, che abbia raccontato alla cugina anche del suo incontro con Dio e della sua vocazione a diventare madre in modo così inusuale. Notiamo bene che Maria non va da Elisabetta per raccontare, per cantare il "Magnificat", ma  per aiutare, per amare concretamente. E, siccome trova un'anima sensibile all’esperienza di Dio e alle cose  soprannaturali, può comunicare il tesoro che ha nel cuore.

    Possiamo rintracciare in questo diversi elementi di paragone con la nostra storia spirituale. Di solito l’aver scoperto o riscoperto Dio, che vive con più intensità nell’intimo, illumina, fa vedere il Suo disegno sull’anima, collegando la vita passata con quella presente e proiettando questa luce verso il futuro; il tutto in un “unico”, che è il disegno di amore di Dio su ciascuno. E questo spinge a compiere atti d'amore concreti verso il prossimo. È tipica dell'inizio della vita spirituale una forte spinta a tradurre il “si” a Dio in amore ai fratelli. Poi nasce la gioia, che è un frutto caratteristico della scoperta e della scelta di Dio, il sentirsi pieni di vitalità e di entusiasmo. È frutto della grazia che comincia ad operare in noi, a trascinarci verso Dio e le cose sue. Gli autori spirituali lo chiamano l'innamoramento dell'anima con Dio, che, per farci iniziare con slancio la nuova strada, ci sostiene e ci regala gioia, pace, entusiasmo, generosità, senso di libertà e di pienezza di vita: i frutti dello Spirito in noi.

    Anche il desiderio di comunicare ad altri la nostra scoperta è caratteristico di questo periodo. La persona così presa e rinnovata narra la propria esperienza nella quale rivela l’intervento di Dio nella sua anima, così come, nel canto del Magnificat, lo Spirito ha rivelato l’intervento di Dio nell’anima di Maria. Se la persona riesce a comunicare con umiltà, con obiettività e convinzione qualcosa della presenza di Cristo nella propria anima, può ripetersi, in qualche modo, ciò che è successo quando la presenza di Cristo in Maria ha santificato Giovanni. Chi ascolta può essere toccato da Dio, incontrarLo a sua volta e cominciare anche lui una vita nuova.

    Ma occorre trovare chi, come Elisabetta, sa ascoltare e sa capire. Non cor-riamo dagli altri per raccontare il nostro incontro con Dio (o comunque un’ esperienza spirituale, o per proporre belle meditazioni...), ma per amare e basta. E chi si sente amato, vedendo magari il nostro cambia-mento di vita rispetto a prima, può chiederci il perché. Allora è il momento di parlare, con prudenza, e rivelare il nostro ideale. E questo donare la nostra esperienza di Dio può produrre effetti. Giovanni Battista esulta nel grembo di Elisabetta e viene santificato; così capita che le persone che ci ascoltano restino colpite dalla nostra testimonianza e magari...che cambino anch'esse.


    3. La nascita di Gesù. ( cfr. Lc. 2. 1-20)  La misura dell'amore al fratello, indicataci da Maria, è quella vissuta dal Figlio suo Gesù che ci ha amati fino a dare la vita per noi (cf. Rm 5, 7-8; Gal 2, 20). E il suo comandamento: aAmatevi gli uni gli altri come io ho amato voi" (Gv 15, 12).

    In un certo modo si ripete, fra noi uniti, il mistero di Maria: come lei ha dato al mondo Gesù fisicamente, così noi, rispecchiandoci in lei, possiamo ridonare ancora oggi agli uomini la presenza di Gesù.

    È, questa, una tappa molto importante del nostro itinerario spirituale. Una tappa che produce effetti straordinari: gioia, pace, amore, bontà, mitezza, cioè quei frutti dello Spirito (cf. Gal. 5, 2) che solo la presenza di Gesù fra persone unite nel suo nome può donare.

    Il frutto del grembo di Maria, concepito all’annunciazione per intervento dello Spirito Santo, è maturo e Maria genera Gesù al mondo. E’ la tappa in cui si evidenzia anche la natura collettiva ed ecclesiale della vita cristiana.

    Con il progredire della vita spirituale iniziata nell'incontro con Dio e nella carità ai fratelli, Cristo nasce in noi e si sviluppa, secondo le caratteristiche e la fisionomia propria di ognuno, finché la persona nel suo agire e nel suo parlare trasmette, comunica Cristo agli altri. Attraverso di lei è come se Cristo agisse e parlasse anche oggi. In questa fase della nostra esperienza prende valore tutto ciò che chiamiamo "incarnazione": la nostra scelta ideale si incarna in tutti gli aspetti concreti della vita della giornata: nel lavoro, nell'incontro con i prossimi, nella preghiera, nella comunione con chi condivide la nostra vita, nello studio, nello svago, nel riposo, nelle faccende di casa, nella professione, ecc

    Ancora, non solo Cristo nasce e cresce in ciascuno singolarmente, ma anche fra di noi uniti nel suo nome.  Quando due o più, rianimati nella loro vita spirituale, si mettono insieme per non perdere questa grazia e cercano di amarsi con la misura dell’amore di Gesù, cioè pronti a dare anche la vita l’uno per l’altro, questo amore si fa reciproco e si realizza ciò che Gesù ha detto: “Dove sono due o più riuniti nel mio nome, (cioè nel mio amore, in Me) Io sono in mezzo a loro” (Mt. 18, 20). Allora chi ci vede insieme, chi entra nelle nostre comunità, può sperimentare qualcosa di questa sua presenza spirituale e sentirsi attratto verso Dio, o magari a condividere la nostra spiritualità di donazione agli altri. Anche questo è un modo importantissimo che abbiamo di donare Cristo al mondo, generan-doLo fra noi uniti nel vincolo dell'amore scambievole. Maria ha dato al mondo Gesù fisicamente; vivendo l’amore reciproco, i cristiani generano spiritualmente la presenza di Gesù nel mondo. 

    Quale gioia per Maria! Qualcosa di simile si sperimenta vivendo l’amore reciproco e la presenza di Dio.


    4. Gesù presentato nel tempio. ( cfr. Lc. 2, 21-40) Se alcune tappe della vita di Maria sono caratterizzate da eventi gioiosi e sorprendenti, altri momenti sono invece segnati da annunci ed episodi dolorosi. Ci riferiamo, ad esempio, alla presentazione di Gesù al Tempio (Lc 2, 22-38), alla perdita di Gesù fra i dottori (Lc.  2, 41-50). Anche in queste occasioni, Maria si rivela modello perfetto di tutti coloro che si pongono alla sequela del Figlio. Ella insegna che amare vuol dire rinnegarsi, sacrificarsi, vivere non per se stessi, ma per i fratelli. Insegna inoltre a saper soffrire, ad accogliere le prove piccole o grandi che si incontrano nel proprio cammino.

    Momento di gioia per la conferma del messianismo di Gesù e di dolore per l’annuncio della sofferenza a Maria. Presentando Gesù al tempio, Maria incontra il vecchio Simeone che le annuncia come dovrà vivere la sua maternità accanto al Figlio passando attraverso la sofferenza: "Anche a Te una spada trapasserà l'anima" (Lc. 2,35). 

    Di solito capita che gli inizi di un cammino di vita spirituale siano carat-terizzati dai doni di Dio, che suscitano nell'anima gioia per l'incontro con Lui, luce che ci fa capire il senso della nostra vita, entusiasmo che ci spinge ad aderire alla Sua volontà... E pensiamo che vivere, da cristiani, consista in questo. Ma, ad un certo punto, veniamo a scoprire che, in realtà, la radice e l'essenza della vita cristiana stanno nell'abbracciare la croce; che l'essenziale della vita cristiana è prendere su la croce e mettersi alla sequela di Gesù, che, per amore, va verso la passione e la morte. 

    È indispensabile che ci sia anche per ciascuno di noi questo "incontro con Simeone". Questa consapevolezza ci aiuterà a prepararci per quando effettivamente arriveranno le prove, le croci, le sofferenze di ogni tipo, come è stato per Maria. Perché allora non abbiamo a trovarci impreparati e dire: Ma io non pensavo, non credevo fosse così… Per poter camminare per questa strada e dare al mondo Gesù, è necessario un “sì” alla croce, come quello di Maria all’annuncio di Simeone.


    1. Fuga in Egitto. (cfr. Mt. 2, 13-15) Ed ecco subito la prova. Maria con Giuseppe deve fuggire perché è in pericolo la vita di Gesù; affronta un viaggio lungo, pericoloso e soffre l’amarezza dell’esilio. Per mettere in salvo Gesù ancora bambino, Maria è costretta a fuggire dal paese e cercare rifugio in Egitto, per difenderlo da Erode. 

    La vita nuova, nata in noi, può essere in vari modi minacciata, messa in pericolo, e non solo nei primi tempi della vita spirituale, perché viviamo in mezzo al mondo. E il mondo nel quale viviamo costituisce certamente un rischio continuo per la vita soprannaturale che vogliamo coltivare in noi. Dobbiamo dircelo francamente e con realismo: la mentalità del mondo è contro la mentalità evangelica e - come dicono i maestri spirituali - la pianticella della vita divina in noi può essere soffocata dai rovi... Siamo nel mondo, ma non del mondo. Spesso saremo chiamati ad andare contro-corrente, a contestare - con l'azione e se necessario anche con la parola - il modo di vivere e di pensare antievangelico del mondo. 

    Occorre proteggere e mettere in salvo Gesù, evitando i rischi di certe situazioni; ricorrendo alla comunione con i fratelli che condividono il no-stro ideale di consacrazione, in particolare al consiglio e all'apertura con i responsabili (si racconta che nei primi tempi della Chiesa i cristiani più fragili ritrovavano la forza della fedeltà agli impegni della nuova vita proprio rifugiandosi nella comunione coi fratelli di fede). Dobbiamo essere decisi: proteggere e salvare Gesù in pericolo, il nostro rapporto con Lui nella preghiera, la radicalità di seguirLo secondo gli impegni che la vita cristiana comporta. Anche l’approfittare del sacramento della riconci-liazione fa parte di questa "prudenza umana" nel custodire la vita di Gesù in noi.


    1. La perdita di Gesù. (cfr. Lc. 2, 41-49) Maria e Giuseppe perdono Gesù e lo ricercano con angoscia finché lo ritrovano nel tempio di Gerusalem-me. Se nella tappa dell'incontro con Simeone c'è stato l'annuncio della cro-ce, adesso arriva davvero il momento della prova. Pensiamo a quale ango-scia deve aver provato Maria nel non trovarsi più accanto il figlio. E tre giorni sono lunghi, col terrore di aver perduto quel figlio, che era il motivo della sua vita, o temendo che gli fosse successo qualcosa di grave!

    Questa tappa della vita di Maria ha una analogia con un periodo tipico che attraversano quanti prendono sul serio la vita cristiana.

    Dopo aver corrisposto per diversi anni alle molte grazie ricevute, si avverte, con acuta insistenza, un riaffiorare di tentazioni da tempo sparite e che, per una grazia speciale, sembravano definitivamente superate.

    Sono tentazioni contro la pazienza, contro la carità, contro la castità, a volte così forti da offuscare lo splendore della luce da cui si era prima affascinati. L'entusiasmo svanisce e lo slancio è frenato.

    Allora il Signore sembra dire: "Non sapevi che tutto quello che ti ho dato era mio e che per sola e pura grazia l'avevi ricevuto? Ora ti ho sottratto tali doni e ti sono sopravvenute tali aridità e tentazioni perché tu possa comprendere bene questo".

    Vengono così messe nelle persone basi di umiltà necessarie, perché Cristo possa vivere e crescere nel loro cuore. Infatti si ha l'impressione di perdere Dio, che Egli non sia più accanto a noi. Non si sperimenta più la Sua presenza; il rapporto con Lui nella preghiera è arido. Dio sembra assente. E così spariscono i frutti sperimentati fino allora, i doni che Dio aveva portato in eredità all'anima che Lo aveva scelto come ideale e aveva risposto alla Sua chiamata d'amore. Tutto diventa faticoso. Non si avverte più il senso della propria consacrazione..., si provano sconforto e scorag-giamento di non riuscire a vivere con fedeltà nella strada scelta...; il rapporto col prossimo è difficile, non si ha più lo slancio dell’amore... Anche la comunione con chi condivide la nostra vita è faticosa, diventa un peso... E siamo portati a vedere il negativo, i difetti altrui, a lamentarci. Ritornano mancanze e peccati che pensavamo superati. Ci lamentiamo anche con Dio: perché sei sparito, perché mi hai lasciato solo dopo avermi chiamato Tu a questa vita? Che senso ha la mia consacrazione a Te, che senso e che frutto voler amare il prossimo? E c’è chi, in questi momenti, si scoraggia. Pensa: allora io non ho la vocazione, mi ero illuso, è meglio che me ne vada. E decide davvero di lasciare la comunità e di tentare una nuova vita.

    I maestri spirituali chiamano questa prova "notte dei sensi". È una fase importantissima, una tappa necessaria della vita spirituale. Dio ha ritirato i Suoi doni, la Sua luce e le grazie con le quali ci ha sostenuto fino allora. Vuole vedere se abbiamo scelto Lui o i Suoi doni; vuole insegnarci a camminare con le nostre gambe, pur sapendo che tutto dipende sempre da Lui; ci fa capire che la prospettiva della croce, che abbiamo consapevol-mente abbracciato, è qualcosa di reale, che arriva davvero! Tutto questo serve anche per farci capire che tutto è dono di Dio in noi; che gli effetti della Sua presenza sono Suoi, non merito nostro; che il bene compiuto è frutto più della Sua grazia che della nostra bravura; che da soli non combiniamo niente di buono. Comprendiamo meglio chi è Lui e chi siamo noi; scopriamo con più realismo i nostri limiti e la gratuità della Sua grazia in noi. Avviene qui quella che alcuni santi (come Caterina da Sie-na) chiamano la “seconda conversione”; una nuova scelta di Dio, una nuo-va decisione, più consapevole, di seguire Lui e di accogliere la sua volon-tà anche quando ci costa fatica e sofferenza; un nuovo atto d'amore più radicale a Lui. Scriveva anni fa il card. Colombo: “Ci sono due conver-sioni. La prima, detta anche conversione morale, è il trapasso da una vita di peccato, di dissipazione, di incredulità, di errore, alla vita cristiana. Nella prima conversione nasce il cristiano. La seconda conversione, detta anche conversione ascetica, è il trapasso da una vita semplicemente cri-stiana a una vita perfettamente cristiana. È il balzo dalla mediocrità alla eroicità, dal sufficiente alla totalità dell'amore. Nella seconda conversio-ne nasce il santo. Ogni volta che nasce un santo, è Gesù che misticamente ma realmente nasce”.


    1. La vita nascosta. (cfr. Lc. 2,51-52; Mt. 2,19-23) Dopo la prova di Gerusalemme ci fu un lungo periodo, 30 anni, di “convivenza con Gesù”, di cui non sappiamo nulla, ma certo fu un rapporto sublime, divino, quello tra Gesù, Maria e Giuseppe, che si può solo intuire o immaginare: certamente un po’ di paradiso in terra. In questo rapporto Maria è sempre più coinvolta nella vita e nella missione di Gesù. 

    Gesù ritorna a casa con Maria e Giuseppe e continua a vivere con loro in quella straordinaria convivenza nella casetta di Nazareth. L’evangelista Luca condensa il clima di quel periodo nell’espressione “Maria conser-vava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc. 2,51). Una realtà che deve essere stata quanto di più divino e umano ci possa essere in una fami-glia di questa terra. La prima comunità di consacrati: Maria consacrata nella verginità; Giuseppe consacrato all'attuazione del piano di Dio, nel-l'amore rispettoso a Maria, nella rinuncia ad una paternità umana per una paternità sul piano della volontà di Dio; Gesù consacrato al Padre e al compimento del suo disegno di salvezza. È la prima trasposizione in terra del modello di vita trinitaria: "come in cielo, così in terra". Chi può imma-ginare il rapporto tra Gesù e Maria in quei lunghi anni, l'intimità, la sem-plicità umano-divina del loro amore, del loro donarsi reciprocamente? 

    Allo stesso tempo c'è stato anche l'aspetto di quotidianità e di nascondi-mento, di cui parla Giovanni Paolo II in “Redemptoris Mater”17. Anche per Maria si sarà trattato di rinnovare spesso la fede che quel suo figlio era il Figlio di Dio. Non sarà stata del tutto esente da dubbi, dalla “fatica del cuore... quasi un velo”: sarà vero quanto predetto dall'angelo? E le parole profetiche di Simeone che quel bambino sarebbe stato "luce delle genti e gloria di Israele"? 

    Così accade a noi. Quanti accettano umilmente e superano le precedenti tappe, si trovano spesso a percorrere il loro itinerario spirituale in una unione con Gesù, nuova e più profonda, in cui lo Spirito effonde in maniera anche costante molti suoi doni di confidenza, di pace, di luce, di amore.

    E un periodo, inoltre, in cui per l'abitudine acquisita di ascoltare la voce di Gesù che parla nel proprio cuore e che vive in mezzo ai fratelli uniti, si sente come propria quella voce e la si segue. Essa cresce così fortemente da diventare l'imperativo assoluto di ogni azione.

    Se siamo fedeli nel continuare a dire “sì” a Dio anche quando abbiamo l'impressione di averlo perduto, Dio ritorna a farsi sentire all'anima e il rapporto di amore e di colloquio con Lui si fa più personale e profondo, e anche diverso per ciascuno di noi. È la convivenza stabile di noi con Gesù in noi e fra di noi. Lo incontriamo ugualmente nella preghiera, ma anche nell'incontro con i fratelli amati per Lui, specialmente in quelli che più gli assomigliano, i crocifissi. Lui unifica la nostra vita, i sentimenti, le azioni. 

    Naturalmente questo rapporto di intimità non esclude la fatica e altri dubbi. Soprattutto per noi che, a differenza di Maria, siamo fragili e pec-catori: ci può capitare di cacciare qualche volta Gesù dalla nostra casa, di non avere la generosità nel ripetere il "sì" in qualche dolore, o non amarlo subito in un prossimo da aiutare, da perdonare…


    1. Maria nella vita pubblica. (cfr. Gv. 2,1-11; Lc., 8,19-21; Mt. 12,46-50; Mc. 3, 31-35) Maria segue Gesù col cuore e, a volte, di fatto. Può contemplare ciò che Gesù compie. Sono gli anni in cui Gesù pronuncia parole di vita eterna, opera miracoli, fonda la Chiesa. Maria accompagna in maniera discreta Gesù durante quei tre straordinari anni, con l'iniziale accoglienza trionfale del Suo messaggio e la successiva crescente opposizione. E’ presente con i discepoli (prima espressione della Chiesa nella sua duplice fisionomia: gerarchica-istituzionale-discepoli, carismatica-mariana-Ma-ria), invitata, alla nozze di Cana dove appare la sua autorevolezza di Ma-dre: “Fate quello che vi dirà” (Gv. 2,5), la sua attenzione premurosa verso gli sposi: “Non hanno più vino” (Gv. 2,3), il suo continuare a non capire fi-no in fondo il modo di fare e le parole del Figlio suo: “Che vuoi, o donna? La mia ora non è ancora giunta” (Gv. 2,4). Come avrà gioito per le cose meravigliose che sentiva raccontare del Figlio (cf. Lc 11,27: "Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!"), così Maria avrà sofferto l'amarezza per il rifiuto e l'ostilità che ben presto Egli ha suscitato (non escluso tra i suoi stessi parenti, che arrivano a ritenerlo pazzo, e tra i compaesani di Nazareth cf. Lc 4,28: dopo il discorso inaugurale nella sinagoga, lo cacciano dal paese e tentano di gettarlo da un precipizio). 

    Anche per noi viene il tempo di "uscire a vita pubblica", di esercitare una maternità spirituale nei confronti delle persone, di compiere opere a servizio dei più diversi bisogni dell'umanità, senza capire pienamente dove Dio ci vuole portare. In qualche modo possiamo dire che è Gesù stesso che opera attraverso di noi, in noi: che cura anche oggi i malati, che pre-dica il Vangelo, che perdona i peccatori, che accoglie i bambini, che prega il Padre, che consola ogni dolore... Chi ci vede può restare conquistato dalla nostra testimonianza e sentirsi spinto a glorificare Dio e ad impe-gnarsi a sua volta a servizio dei fratelli (cf. san Paolo: "siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo"). Ma dobbiamo mettere in conto anche di non essere capiti, a volte dai nostri più vicini; possono arrivare rifiuto e per-secuzione, d'altra parte già previsti da Gesù per i suoi seguaci, insieme al "centuplo", che certamente non mancherà. Occorrerà però essere onesti e saper distinguere se l'ostilità e i contrasti ci vengono a motivo dell'auten-ticità della nostra testimonianza, o, al contrario, perché ci stiamo allonta-nando dalla fedeltà a Cristo e al Vangelo.

    Come Maria, le anime che arrivano a questo grado, nella loro vita spirituale, assomigliano a Maria che segue Gesù. In loro vive ormai un “Altro”, che esse seguono. Di conseguenza in ciò che fanno e dicono si manifesta sempre di più la presenza di quest’“Altro”.


    9 Maria ai piedi della croce. (Gv. 19, 25-27) Arriva per Maria il momento dell’immolazione. Sotto la croce, in un abisso di dolori, passa la prova di perdere Gesù, Colui che poteva dirsi la sua opera, dalla cui esistenza dipendeva tutto il senso della sua vita.

    C’era per Lui. 

    Gesù sembra quasi dispensare Maria dalla maternità verso di Lui per farla Madre di Giovanni: “Donna, ecco tuo figlio”, Maria diventa così madre nostra, della Chiesa, ma paga tutto con la più nera desolazione. E’ sola, senza Gesù. Vive la notte dello spirito, ma acquisisce la maternità universale. In Maria sotto la croce vi è il paradigma perfetto dell’esistenza cristiana.

    Maria è presente al dramma finale dell'arresto, della passione e dell'agonia in croce del Figlio Gesù: partecipa impotente alla sua tragica morte, senza però soccombere all'infinito dolore. Lì non solo vede morire in quel modo atroce il frutto del suo grembo, crocifissa e abbandonata con Lui; ma addirittura il Figlio sembra staccarla da sé, chiederle di rinunciare alla sua maternità verso di Lui per aprirsi ad una maternità più grande, quella universale di Madre di tutti noi rappresentati dal discepolo fedele, Giovanni. E Lei accetta quest’ estremo distacco. L'insondabile rapporto che unisce Maria a Gesù può essere penetrato profondamente solo nella dimensione del dolore.

    Nel culmine di dolore-amore, vissuto dal Figlio nell'ora della sua morte in croce, la Madre gli è più che mai unita. Quale sofferenza ella abbia provato in quel momento non lo si può pensare.

    Quel suo misterioso, abissale dolore, si può paragonare al culmine del dolore del Figlio suo. Infatti, come Gesù in quel momento si sente abbandonato da Dio, anche Maria vive il suo abbandono, anche lei è sospesa nel vuoto, appare separata dal Figlio, "è la desolata, la sola".

    Ma proprio lì Maria apre alla veduta di tutti il disegno che Dio aveva su di lei. Il suo disegno sboccia a pienezza, si rivela nel suo splendore: essere madre dell'intera umanità.

    Nel suo perdere tutto, perfino la sua maternità divina, ella rinasce ad una nuova maternità, anch'essa divina, quella di una moltitudine infinita di uomini.

    Maria, inoltre, nella sua desolazione assurge a paradigma dell'esistenza cristiana, a modello di perfezione del cristiano, proprio perché in lei si compendiano tutte le virtù.

    Ella, infatti, è "l'espressione più alta, in una creatura umana, dell'eroicità di ogni virtù. È la mansueta per eccellenza, la mite, la povera, la giusta che non si lamenta di essere privata di ciò che le appartiene".

    Alla sua scuola, che è scuola di spoliazione assoluta, ella insegna "a coprirci di umiltà e di pazienza, di prudenza e di perseveranza, di semplicità e di silenzio perché nella notte di noi, dell'umano che è in noi, brilli per il mondo la luce di Dio che abita in noi".

    Qui per trovare un paragone adeguato dovremmo pensare più alla vita dei santi e dei fondatori che alla nostra ancor piccola esperienza spirituale; ad esempio quando ad alcuni di essi Dio ha chiesto di perdere un'opera, o una famiglia religiosa da loro fondata, o ad altre esperienze particolari chiamate "notte della fede". Ma per ciascuno di noi comunque Maria rimane modello imitabile nel vivere ognuna delle virtù di cui è rivestita.

    Sofferenze analoghe a quelle di Maria, nella sua desolazione, si possono costatare in alcune persone alle quali Dio permette di passare la dolorosa prova dell’abbandono da parte sua o quando vengono intaccate fede, speranza e carità. Sono persone, queste, che hanno teso tutta la loro vita alla santità e sembrano salire gli ultimi gradini. Da Maria imparano a stare ritti, pur nelle agonie dell’anima, nella completa adesione alla volontà di Dio.

    Superata questa prova, i santi cominciano a irradiare il loro influsso sulla Chiesa, partecipando al mistero della maternità o fecondità spirituale.

    Queste varie tappe o momenti della vita di Maria non sono così precisi nella vita di ognuno. Spesso, in una sola tappa, sono presenti tutte le altre. Per questo l’atteggiamento di Maria Desolata, sotto la croce, è quello che le riassume e fa vivere tutte.

    Maria lì vive il distacco da Gesù suo Figlio, lo perde; lì vive tutte le virtù: fede, speranza, carità, umiltà, mortificazione, purezza, pazienza, benevo-lenza, povertà, ecc…

    Come Lei siamo invitati a distaccarci anche dal bene fatto, a rinunciare a noi stessi, a “saper perdere” tutto, anche Dio, a vivere tutte le virtù. Così saremo altre Lei, Maria viva. Ecco la vera devozione, ciò che sempre ci deve richiamare la nostra consacrazione.


    10 Maria nel cenacolo.  (cfr. Atti, 1,14) Dopo gli avvenimenti della Pasqua, Maria, in certo modo, prende il posto di Gesù nel gruppo degli apostoli che, timorosi di fare la stessa fine del loro Maestro, si raccolgono a Gerusalemme, nel Cenacolo, in preghiera per invocare il dono dello Spirito (At 1,14). Maria inizia ad esercitare la funzione di maternità spirituale affidataLe dal Figlio: è al cuore della Chiesa nascente, ad attendere che lo stesso Spirito, che un giorno l'aveva riempita, scenda ora su questi suoi nuovi figli e li trasformi in testimoni coraggiosi del Risorto. È la Madre della Chiesa e la regina degli apostoli, pur non avendo come essi un ministero apostolico da svolgere. Non segue più Gesù, ma è, in certo modo, trasformata in Lui e, “come altro Cristo”, concorre alla nascita e all’espansione della Chiesa.

    Qui il confronto è solo con i Santi che, ormai forgiati, vivono e operano solo per la Chiesa, per la Sposa di Cristo. E’ l’ultima tappa della Via Mariae che si può vivere su questa terra.

    Forse l'invito che ci viene da questo episodio della vita di Maria è di essere anche noi, come Lei, nel cuore della Chiesa, in comunione con i pastori che Cristo ha posto alla sua guida, a servizio della diffusione del Regno di Dio.


    1. Assunta e Regina. (cfr. LG. N. 59, 66-69) Sono tappe che vivremo dopo la morte. Ma saranno vere anche per noi se avremo vissuto come Lei.


    Queste tappe della Via Mariae, come ho appena detto sopra, che per Lei si sono verificate una volta per tutte in successione cronologica, noi possiamo sperimentarle in diversi modi e momenti del nostro itinerario di fede e di sequela di Cristo. Anche perché la vita spirituale è dinamica, assomiglia più a una spirale che a una linea retta. Non sempre siamo slanciati in avanti, a volte ritorniamo sui nostri passi, magari con l'impressione di andare indietro nella vita spirituale, nella corrispondenza alla vocazione. Allora occorre rinnovare ogni volta da capo la scelta di Dio e della sua volontà, e il rapporto con Lui cresce, diventa più stabile e porta frutti evangelici sempre più maturi e credibili. 

    Maria, straordinariamente vicina a noi e allo stesso tempo vicina come nessun'altra creatura al cuore di Dio, è per noi come un celeste "piano inclinato" che congiunge la terra al cielo: ha reso possibile la discesa di Dio in terra, la sua entrata nella nostra storia personale e collettiva; rende capaci noi di raggiungere le altezze vertiginose di Dio, di coronare il nostro cammino di crescita spirituale "in sapienza, età e grazia", come ha accompagnato la crescita del suo Figlio Gesù. Guardiamo a Lei come nostro modello, specialmente nella disponibilità a fare la volontà di Dio e nel servizio al Regno e ai fratelli. 

    A ciascuno di noi dunque accogliere questa proposta di vita cristiana autentica, che ci fa vivere la vera devozione a Maria, perché ci porta a riviverLa in noi, ad essere altri Lei.


    LA   MEDAGLIA   MIRACOLOSA(8)


    Portare la medaglia miracolosa è la seconda condizione che S. Massimi-liano pone, fin dall’inizio, e che poi richiama in articoli, lettere, appunti e nel progetto per un libro per appartenere alla M.I. Come spiega S. Massimiliano, non è essenziale come la consacrazione, ma ha il suo significato.

    Sentiamo prima di tutto quanto p. Kolbe scrive in un articolo del 1932, nel quale riporta il racconto di S. Caterina dell’apparizione della Madonna: “La cosiddetta meda-glia miracolosa è universalmente conosciuta. La sua origine risale all’anno 1830, mentre l’anima fortunata alla quale la SS. Vergine Maria Immacolata la manifestò è Caterina Labouré, a quell’epoca novizia delle Suore della Miseri-cordia, in via du Bac a Parigi. Ascoltiamo il suo racconto: Il 27 novembre, sabato precedente la prima domenica di avvento, mentre di sera stavo facendo la meditazione in profondo silenzio, mi parve di sentire quasi il fruscio di un abito di seta, che mi giungeva dalla parte destra del santuario, e vidi la SS. Vergine accanto al quadro di S. Giuseppe; era di statura media, ma di una bellezza talmente straordinaria che mi è impossibile descriverla. Stava in posizione eretta ed era vestita di un abito bianco con riflessi rossastri, simile a quello che, di solito, portano le vergini, vale a dire abbottonato al collo e con maniche strette. Un velo bianco le copriva il capo e le scendeva da ambo i fianchi sino ai piedi. La sua fronte era ornata di una piccola fascia di pizzo sottile che aderiva strettamente ai capelli. Aveva la faccia abbastanza scoperta e sotto i suoi piedi vi era il globo terrestre, o piuttosto un emisfero, perché vedevo solo la metà del globo. Le sue mani, sollevate fino alla cintura, reggevano delicatamente un altro globo terrestre (simbolo di tutto l’universo); teneva gli occhi rivolti verso il cielo, come se volesse offrire a Dio l’universo intero; il suo volto irradiava un fulgore sempre più intenso.

    Improvvisamente apparvero sulle dita degli anelli preziosi ornati di gemme di grande valore, dalle quali uscivano dei raggi luminosi che si spandevano in tutte le direzioni; quei raggi La circondavano di tale splendore che la sua faccia e il suo abito divennero invisibili. Le gemme preziose erano di varia grandezza, mentre i raggi che uscivano da esse spargevano una luce relativamente più o meno intensa.

    Non sono capace di esprimere tutto quello che sentii e provai in quel breve periodo di tempo.

    Mentre, affascinata dalla vista della SS. Vergine Maria, stavo mirando at-tentamente la maestà di Lei, la SS. Vergine volse il suo benevolo sguardo su di me, mentre una voce interiore mi diceva: “Il globo terrestre che tu vedi rappre-senta il mondo intero e ogni singola persona”. 

    A questo punto non sono più in grado di descrivere l’impressione che provai alla vista dei raggi che splendevano in modo meraviglioso. Allora la SS. Vergine mi disse: “I raggi che tu vedi emanare dalle palme delle mie mani sono il simbolo delle grazie che spando su coloro che me le domandano, e con questo mi fece capire quanto è grande la sua generosità verso coloro che ricorrono a Lei...Quante grazie Ella concede a tutti coloro che La invocano”...A questo punto perdetti i sensi, tutta assorta nella felicità...Poi la SS. Vergine, che aveva le mani rivolte verso terra, fu circondata come da una cornice ovale, sulla quale apparve la seguente scritta a caratteri d’oro: O Maria concepita senza peccato, prega per noi, che ricorriamo a Te.

    Poi sentii una voce che mi diceva: “Fa’ coniare una medaglia secondo questo modello; tutti coloro che la porteranno riceveranno grandi grazie, partico-larmente se la porteranno al collo. Elargirò numerose grazie a coloro che confidano in me”.

    A questo punto, continua a raccontare la religiosa, mi sembrò che il quadro si voltasse. E sull’altro lato vidi la lettera “M”, dal centro della quale si ergeva una croce, mentre al di sotto del monogramma della SS. Vergine vi erano: il Cuore di Gesù circondato da una corona di spine e il Cuore di Maria trafitto da una spada”.

      La visione si ripeté tre volte e ogni volta suor Caterina si confidò con il suo direttore spirituale D. Aladel. Questi però, temendo si trattasse di una illu-sione, tardava a far coniare la medaglia, anzi proibì alla religiosa perfino di pensarci. Alla fine si decise a presentare tutta la cosa all’arcivescovo Mons. De Quèlen e quando questi si mostrò favorevole, la medaglia fu coniata: era l’anno 1832.

    Subito cominciarono a verificarsi degli strepitosi miracoli di conversio-ne, mentre la medaglietta era richiesta con tanto entusiasmo che nei primi dieci anni ne furono coniate ben 80 milioni di esemplari.

    Non è giusto, quindi, che anche noi, consacrandoci all’Immacolata senza riserve, orniamo il nostro petto con la medaglia miracolosa? Questa medaglia, dunque, questo segno esterno della consacrazione all’Immacolata, è la seconda condizione (S.K., 1011).

    Mi sembra perciò opportuno farne una breve presentazione e spiegazione.

    È stato detto che la Medaglia Miracolosa è "un piccolo libro di fede" e un “piccolo trattato di mariologia". Perché basta esaminarla con attenzione per leggervi le grandi verità che esprime nel suo disegno la grandezza e l'unicità di Maria come Madre di Dio e Madre nostra, Immacolata, Mediatrice, Corredentrice e Regina. Abbiamo già illustrato queste verità parlando della natura della M.I. E’ bene però richiamarle facendo riferimento concreto alla Medaglia Miracolosa.

    Fissiamo il nostro sguardo sulla Medaglia Miracolosa; essa ha un diritto e un rovescio così intimamente correlati, da illuminarsi a vicenda.

    La Medaglia luminosa

    Parole e immagini impresse sul diritto della Medaglia esprimono un messag-gio con tre aspetti intimamente legati.

    O Maria concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a te.

      L'identità di Maria ci è rivelata qui esplicitamente: la Vergine Maria è Immacolata fin dal concepimento. Da questo privilegio, che le deriva dai meriti della Passione di suo Figlio Gesù Cristo, ne scaturisce tutta la sua potenza d'intercessione, che ella esercita per coloro che la pregano. Ed è per questo che la Vergine invita tutti gli uomini a ricorrere a lei nelle difficoltà della vita.

    I suoi piedi sono posali sulla metà del globo e schiacciano la testa al serpente.

    La semisfera è il globo terrestre, il mondo; il serpente, come presso gli Ebrei e i Cristiani, simboleggia satana e le forze del male.

    La Vergine Maria stessa, è impegnata nella battaglia spirituale, nella lotta contro il male, di cui il nostro mondo è il campo di battaglia. Maria ci chiama ad entrare nella logica di Dio, che non è mai logica di questo mondo. È questa la grazia autentica, quella della conversione, che il cristiano deve chiedere a Maria per trasmetterla al mondo.

    Le sue mani sono aperte e le sue dita sono ornate di anelli ricoperti di pietre preziose, dalle quali escono raggi, che cadono sulla terra, allargandosi verso il basso.

    Lo splendore di questi raggi, come la bellezza e la luce dell'apparizione, descritte da Caterina, richiamano, giustificano e nutrono la nostra fiducia nella fedeltà di Maria (gli anelli) nei confronti del suo Creatore e verso i suoi figli, nell'efficacia del suo intervento (i raggi di grazia, che cadono sulla terra) e nella vittoria finale (la luce), poiché lei stessa, prima discepola, è la primizia dei salvati.

    Sempre nel diritto della Medaglia sono simboleggiate la sua Immacolata Concezione e il suo essere Madre e Mediatrice di grazie per noi, nonché gli ultimi due misteri gloriosi, cioè l'Assunzione e il suo essere Regina dell'uni-verso.

    L'Immacolata Concezione

    Essa è espressa dalla Vergine che calpesta il serpente, simbolo di satana, perciò del male e del  peccato, circondata dalla preghiera: "O Maria, conce-pita senza peccato..." suggerita dalla stessa Vergine e che perciò conferma il suo ineffabile privilegio in vista della sua divina maternità.

    "Fin dal primo istante del suo Concepimento, insegna la Chiesa, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, e in vista dei meriti di Gesù Cristo, salva-tore del genere umano, la Vergine Maria fu preservata da ogni macchia di colpa originale" (Pio IX).

    Sebbene appartenente alla stirpe umana, condannata a portare il peso del-la colpa dei progenitori, la Vergine venne preservata fin dal primo istante della sua esistenza terrena, da qualsiasi macchia di peccato, in previsione dei meriti di Gesù: anche lei, quindi, è stata redenta come ogni figlio di Adamo, dal Sacrificio di Cristo Salvatore. Insieme a tutti noi, dunque, ella deve esprimere la sua ricono-scenza al Dio che l'ha salvata. Anzi ancor prima e ancor più di noi deve ripetergli la sua lode perché, per un atto più grande di benignità, venne persino preservata da quella colpa da cui noi, già macchiati, fummo redenti.

    Il suo Immacolato candore, atto gratuito di Dio che la riempì di santità, la colmò di ogni possibile bene, la coprì del suo potere, prima ancora che l'ombra della colpa potesse oscurare la sua anima.

    È questo uno stupendo mistero che parla dell'amore di Dio riversatosi senza confini sull'umile creatura che adesso, rapita nella gloria, ripete in eterno: “in me, tutto è grazia” La Vergine, tuttavia, non fu concepita Immacolata per una gloria personale: questo dono stupendo, unico, che non si ripeterà più nella storia umana, era un dono di servizio.

    La Vergine, cioè, venne creata Immacolata perché doveva servire, in maniera singolare, al piano della Salvezza: in lei si bloccò e si capovolse per un attimo tutta la storia di perversione, di tenebre, di dominio di Satana, di odio, di ribellione a Dio, perchè da lei doveva nascere il Redentore, Colui che avrebbe domato la perversione, rischiarato le tenebre, vinto satana, portato l'amore, obbedito a Dio. Ella doveva essere la prima testimone di quei nuovo regno fatto di rettitudine e giustizia, fecondo non dei frutti della colpa, ma della fecondità di grazia dello Spirito Santificatore.

    Nostra Madre e Mediatrice di grazie

    Nella Medaglia questa sua caratteristica e simboleggiata dai raggi degli anelli che, secondo le stesse parole della Vergine, sono il segno delle grazie che lei concede a chi gliele chiede; la preghiera che circonda la Vergine: "O Maria.., prega per noi che a te ricorriamo".

    Perché Maria è "mediatrice"? L'uso di questo termine che vuole espri-mere la verità del reale intervento di Maria nella distribuzione dei beni della redenzione ai suoi figli, divide i teologi.

    Volendo evitare, soprattutto per motivi ecumenici, una confusione con l’u-nica necessaria mediazione di Cristo, essi preferiscono oggi parlare di "maternità nell'ordine della grazia", "funzione materna", "presenza" e questa nuova terminologia fa comprendere anche meglio la reale funzione della Vergine nell'econo-mia della salvezza e, quindi, anche la sua opera e il suo influsso sugli uomini nella trasmissione delle grazie, qualsiasi sia la loro natura.

    In realtà, si vuole far comprendere che la Vergine, la quale partecipò vital-mente all'opera del Figlio nella realizzazione della redenzione oggettiva, partecipa ancora, accanto a Lui, all'opera della nostra salvezza soggettiva invocando, soprat-tutto, il beneplacito e la misericordia del Signore che soffrì e morì per noi.

    La Vergine è veramente accanto a noi.

    Il tempo e lo spazio che ci separano da lei non sono per la Vergine un impe-dimento ma, al contrario, lei è sempre vicina della stessa vicinanza di Dio, per il quale ognuno di noi è come fosse l'unico esistente sulla faccia della terra. Al punto che, mentre dalla nostra angolatura temporale noi non la vediamo, ella è, in realtà, spiritualmente e fisicamente accanto ad ognuno di noi e ci vede nel l'angolatura extratemporale, extraspaziale ed esclusiva della Divinità.

    Da che cosa deriva alla Vergine questo dover essere presente, come madre che trasmette la vita e quindi la Grazia e le grazie, accanto ad ognuno di noi?

    Questa funzione materna per cui la Vergine genera incessantemente i suoi figli al Regno di Dio, è un'opera che sempre si realizza, che non ha sosta e durerà fino all'ultimo giorno.

    Maternamente preoccupata del nostro destino, intercede presso il suo di-vin Figlio perché tutte le anime abbiano la Salvezza, siano rigenerate alla Gra-zia e godano dei beni di Dio. Della Chiesa pellegrinante, angosciata dall'espe-rienza del peccato ma protesa al raggiungimento della pienezza in Cristo, la santa Vergine è l'avvocata, l'ausiliatrice, la soccorritrice e le assicura protezione, aiuto e soccorso.

    "Stando alla destra del suo Figlio unigenito, Gesù Cristo, nostro Signore, con le sue materne suppliche impetra efficacemente, ottiene quando chiede, né può rimanere inascoltata". (Pio XII)

    San Germano di Costantinopoli esprime questa stupenda verità con le meravigliose parole: "Tu visiti tutti e vegli su tutti, o Tuttasanta, tu abiti in mezzo a noi e ti manifesti in vari modi a quanti sono degni dite. Il corpo, infatti, non è di impedimento alla potenza ed energia del tuo spinto. Hai lasciato questo mondo, ma non ti sei allontanata dal tuo popolo!" (Discorso sulla Dormizione).

    Il mistero dell'Assunta

    Nella Medaglia questo mistero è raffigurato dall'immagine della Vergine con i piedi sul serpente e sul globo, simbolo della sua uscita dal mondo, vittoriosa sulle conseguenze del peccato tra cui la corruzione del sepolcro; ma anche dalla "M" e dalla croce poggiata sulla "I", circondate dalle stelle, simbolo dello stesso destino ultraterreno che unifica la Madre al Figlio, cioè la glorificazione anche corporale.

    "Pronunciamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che l'Im-macolata Madre di Dio, sempre Vergine Maria, terminato il corso della vita ter-rena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo" (Pio XII).

    Per il dogma, quindi, la Vergine, al termine della sua vita, venne assunta in anima e corpo al cielo. Questo significa che il suo corpo venne glorificato e trasformato allo stesso modo di come avvenne per Gesù, dopo la risurrezione.

    La verità di questo mistero mariano non è esplicitamente rivelata nelle fonti della Rivelazione, ma viene adombrata in esse. È quindi contenuta in modo formale implicito in altre verità appartenenti al deposito della fede. Quali sono queste verità che parlano, anche se soltanto implicitamente, dell'Assunzione di Maria al cielo?

    • La divina maternità:  essa esige il sommo amore di Gesù Dio per sua ma-dre. Potendo cioè preservare con la sua onnipotenza divina il corpo di sua Madre dalla corruzione del sepolcro, lo ha fatto. In caso contrario, non l'avreb-be amata con la sua completezza divina, cioè in modo assolutamente perfetto.

    • La perfetta verginità: essa aveva permesso il mantenimento della totale in-tegrità fisica del corpo della Vergine al passaggio di Cristo che, nascendo, lo santificava. Era, perciò, necessario che non si corrompesse al passaggio della morte, conseguenza del peccato, lo stesso corpo che era rimasto integro al pas-saggio della Vita, cioè di Cristo, che veniva a combattere e vincere sia il
      peccato che la morte stessa.

    La pienezza di grazia: essendo la Vergine la "piena di grazia” (Lc. 1,28), e cioè carica di ogni dono di Dio da divenire la "benedetta fra tutte le donne" (Lc. 1,42), non poteva essere assoggettata, mentre riceveva ogni benedizione, alla maledizione che lo stesso Iddio rivolgeva ad Adamo: "Sei polvere e ritornerai polvere" (Gn. 3,19), e doveva quindi essere da questa preservata.

    L'Immacolata Concezione: essa indica la totale vittoria della Vergine sul peccato che presuppone anche la sua totale vittoria sulle conseguenze del peccato, tra cui anche la corruzione di sepolcro che secondo la rivelazione (Gn 3.19) è la pena
    del peccato stesso.

    Nella Bolla "Munificentissimus Deus", questi concetti sono lapidaria-mente espressi con queste parole: “In tal modo l'augusta Madre di Dio, arcana-mente unita a Gesù Cristo fin da tutta l'eternità con uno stesso decreto di prede-stinazione, Immacolata nella sua concezione, Vergine illibata nella sua divina maternità, generosa socia del divino Redentore, che ha riportato un pieno trion-fo sul peccato e sulle sue conseguenze, alla fine, come supremo coronamento, dei suoi privilegi, fu preservata dalla corruzione dei sepolcro, e, vinta la morte, come già suo Figlio, fu innalzata in anima e corpo alla gloria del Cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli “ (Pio XII).

    L'Assunzione della Vergine che è il destino della sua pienezza e beatitudine, della glorificazione della sua anima Immacolata e del suo corpo verginale e della sua perfetta configurazione al Signore risorto, è anche "l'inizio già compiuto e l’immagine di ciò che, per la Chiesa tutta quanta, deve compiersi ancora" (Paolo VI).

    In Maria, la Vergine risorta con Cristo, si realizza già la piena unione con Cristo glorioso che tutta la Chiesa raggiungerà alla fine dei tempi.

    La Regina dell'universo

    Nella Medaglia questo mistero è raffigurato dalla Vergine che calpesta con i piedi un grande globo, simbolo del suo potere regale sull'universo e riversa anche i raggi della luce delle mani su di esso, simbolo del dominio spirituale sugli uomini, per i quali ottiene dal Figlio, il re che ha conquistato un regno di gloria e potenza, la concessione dei beni della redenzione.

    "Dio la ricolmò molto al di sopra di tutti gli spiriti angelici e di tutti i santi, con tale meravigliosa abbondanza di tutti i celesti carismi attinti dal tesoro della divinità che non se ne può concepire altra maggiore fuori di Dio e nessuno può con il pensiero raggiungerla". (Pio IX)

    "Ella fu preservata dalla corruzione del sepolcro e, vinta la morte, come già il suo Figlio, fu innalzata in anima e corpo alla gloria del cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli" (Pio XII).

    Di che natura è la regalità di Maria? La si può definire in due modi:

    • La Vergine è regina in senso metaforico: per la sua quasi infinita dignità di Madre di Dio. Ella eccelle su tutte le Creature che mai potranno raggiungerla. Per la sua santità, la sua pienezza di grazia e la sua ricchezza di ogni dono soprannaturale, è superiore a tutti gli angeli ed i santi ed è inferiore soltanto al Verbo Incarnato.

    • La Vergine è, però, anche regina in senso proprio, in quanto realmente parte-cipe della regalità di Cristo, suo Figlio. Ella è la madre fisica di un re, quale è il Verbo incarnato. A causa dell'unione della natura divina e della natura umana, Gesù uomo forma una sola persona, con il Verbo e, quindi, è Dio. Egli è, perciò, anche  come uomo, re e padrone assoluto dell'universo.  Maria, Madre di Cristo uomo è anche Madre di Dio e partecipa quindi al diritto di regalità di suo Figlio, re. La Vergine è anche regina per il fatto che partecipò alla conquista dell'umanità attuata dal Figlio nella redenzione; egli, infatti, liberò gli uomini dal dominio di satana e li assoggettò al suo regno di grazia e di amore.

    La Vergine cooperò all'opera di Gesù, soffrendo per noi insieme a lui e divenendo Madre nell'ordine della grazia di coloro che Cristo andava conquistando.

     La Medaglia dolorosa

    La Medaglia porta sul suo rovescio una lettera e delle immagini, che ci introducono nel segreto di Maria.

    La lettera "M" è sormontata da una croce.

    La "M" è l'iniziale di Maria, la croce è quella di Cristo che ha come base la lettera "I" (iniziale di Iesus, Gesù).

    I tre segni intrecciati mostrano il rapporto indissolubile che lega Cristo alla sua santissima Madre. Maria è associata alla missione di Salvezza dell'umanità da parte del figlio suo Gesù e partecipa, attraverso la sua compassione (patire insieme), all'atto stesso del sacrificio redentivo di Cristo.

    Sotto, due cuori: uno circondato da una corona di spine, l'altro trapassato da una spada.

      Il cuore coronato di spine è il cuore di Gesù. Ricorda l'episodio crudele della Passione di Cristo, prima della morte, raccontata nei Vangeli. Il cuore simboleggia la sua passione d'amore per gli uomini.

    Il cuore trafitto da una spada è il cuore di Maria, sua Madre. Si riferisce alla profezia di Simeone, raccontata nei Vangeli, il giorno della presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme da Maria e Giuseppe. Simboleggia l'amore di Cristo, che è in Maria e richiama il suo amore per noi, per la nostra salvezza e l’accettazione del sacrificio del suo Figlio. L'accostamento dei due Cuori esprime che la vita di Maria è vita d'intima unione con Gesù.

    Attorno sono raffigurate dodici stelle.

    Corrispondono ai dodici apostoli e rappresentano la Chiesa. Essere Chiesa, significa amare Cristo, partecipare alla sua passione, per la Salvezza del mondo. Ogni battezzato è invitato ad associarsi alla missione del Cristo, unendo il suo cuore ai Cuori di Gesù e di Maria. La Medaglia è un richiamo alla coscienze dì ciascuno, perché scelga, come Cristo e Maria, la via dell'amore, fino al dono totale di sé.

    Caterina aveva chiesto alla Vergine se avesse dovuto far scrivere qualcosa anche sul retro della Medaglia, la risposta fu la seguente: "La M e i due cuori dicono abbastanza". Nella parte posteriore della Medaglia, infatti, innanzitutto sono raffigurati i due cuori di Gesù e Maria, vere fornaci di amore, come appare dalle fiamme che da essi fuoriescono e amore martirizzante dal momento che il Cuore di Gesù è coronato di spine e insanguinato per via della lanciata ricevuta dal soldato romano e quello di sua Madre è trafitto dalla spada.

    Passando poi all'intreccio M-I-Croce, non si possono non sottolineare altre due grandi verità mariologiche: il suo essere Madre di Dio e Corredentrice del genere umano. 

    La Madre di Dio

    Nella Medaglia questa verità è raffigurata dalla "M" sormontata dalla Croce, simbolo di Maria che porta Gesù; i due cuori di Gesù e di Maria: simbolo dell'unione fisica della Madre con il Figlio; la preghiera: "O Maria concepita senza peccato...", perché l'Immacolato Concepimento fu un'esigenza ed una conseguenza della divina maternità.

    "La Vergine che ha generato Gesù nella sua umanità è anche Madre di Dio poiché egli è vero uomo e vero Dio. Per questo motivo la dignità di Maria è quasi infinita". (San Tommaso)

    "Essere Madre di Dio è una grazia così straordinaria che Dio stesso, il quale potrebbe creare un universo più grande e magnifico, non potrebbe fare un'altra Madre di Dio superiore a Maria”  (Corrado di Sassonia).

    La divina maternità consacrò la Vergine al servizio di Cristo e della sua opera redentrice. Maria quindi, fa parte del piano eterno della nostra Salvezza perché collabora, con libero consenso all'agire delle Persone della santissima Trinità nella realizzazione di questo piano. Perciò la divina maternità è un elemento fondamentale del l'evento salvifico, in quanto rese possibile al Verbo di farsi carne ed abitare tra noi, cioè di assumere la natura umana.

    La Maternità divina inaugurò anche quella dolorosa sequela di Cristo che fu tutta la vita di Maria. Divenendo l'alma Madre del Redentore divino, Maria ne divenne anche la Compagna generosa e del tutto eccezionale, pur restandone sempre l'umile Ancella (LG 61).

    Questa prospettiva essenzialmente cristologica e salvifica della maternità divina fa meglio comprendere la vera grandezza di Maria che è quella non solo di aver generato fisicamente il Cristo, ma di aver collaborato con fede, amore e sacrificio con lui, quale membro primo ed esemplare della Chiesa.

    La Correndentrice

    Nella Medaglia è raffigurata dalla "M" sotto la Croce, simbolo di Maria accanto a Gesù morente sul Calvario; il Cuore di Maria trafitto dalla spada, vicino a quello di Gesù coronato di spine, simbolo della partecipazione di Maria alle sofferenze del Figlio Crocifisso.

    Il "sì" pronunciato nel giorno dell'annunciazione, con il quale accettò di diventare la Madre del Salvatore degli uomini, inserì la Vergine di Nazareth nel piano salvifico e ne fece la prima collaboratrice del Salvatore.

    Questa collaborazione con Cristo fu perciò espressa ed iniziata dal suo libero e totale assenso, mantenuto poi intatto fino al sacrificio più grande e all'offerta più generosa.

    A nome degli uomini, ella si poneva accanto al Redentore che veniva a salvarli; a nome di tutti coloro che venivano redenti, restava vicina al Salvatore e ne sosteneva l'opera, quasi integrando in lui, che ogni cosa a sé traeva, la nostra umanità bisognosa e desiderosa di salvezza.

    Maria sostenne il Redentore divino anche con le sue sofferenze materne. Ella si accostò al Figlio morente con il diritto di ogni madre, quello di assorbire la sofferenza del proprio nato, farla sua e di morire nell'anima con lui, per lo stesso motivo per cui egli si sacrificava. Pur non avendone bisogno, il Redentore accolse le sofferenze della Madre e le associò al suo sacrificio permettendo, per il nostro bene, che una spada di dolore ferisse la sua anima Immacolata, mentre i chiodi ferivano il corpo innocente di lui.

    Insieme al dolore materno per la morte del Figlio, ella accettò anche la sofferenza mistica della nostra nascita spirituale. Il Salvatore, infatti, nel momento supremo della loro comune sofferenza, la proclamò Madre spirituale dei suoi discepoli, di tutta la Chiesa.

    Da quel giorno, sollecitata continuamente dallo Spirito Santo all'esercizio della sua spirituale maternità, ella interviene sui figli sparsi per il mondo e li invita con la sua opera di intercessione materna ad accogliere la Grazia della Salvezza operata dal Redentore divino, a seguirlo sulla via del Calvario, a morire al mondo e a vivere in lui.

    Questa spiegazione ci fa capire meglio il significato attribuitole da s. Massimiliano soprattutto in riferimento all’apostolato. Ricordiamo, a proposito, il fatto della conversione del Ratisbonne, avvenuta proprio mediante la medaglia miracolosa, e quanto ha inciso nella sensibilità e nell’anima di p. Kolbe. Lui stesso riporta questo fatto e narra più volte l’origine della medaglia miracolosa e la sua efficacia.

    Proprio perché è l’Immacolata stessa che vuole la riproduzione e la diffu-sione della medaglia, p. Kolbe attribuisce ad essa un valore profondo e si impe-gna a diffonderla il più possibile e in ogni modo a tutti: frati suoi confratelli, superiori, laici, credenti e no, sani e malati. P. Kolbe la definisce “una pallot-tola”, che colpisce sempre e racconta vari episodi circa la sua efficacia spirituale.

    Può meravigliare il fatto che S. Massimiliano abbia dato un’importanza così grande ad un oggetto come la medaglia miracolosa. 

    Ma per lui essa era prima di tutto un trattato su Maria, come abbiamo potuto vedere dalla spiegazione: dalla sua concezione Immacolata, alla sua regalità sul mondo, alla sua mediazione universale; dalla sua stretta collaborazione nell’azione redentrice del Figlio alla devozione e alla consacrazione al suo Cuore Immacolato-addolorato per andar con Lei al Cuore di Gesù; dal fulgido esempio di tutte le virtù, simboleggiate nelle dodici stelle, alla preghiera indicata dalla Vergine: vi è tutto il mistero di Maria.

    Nella medaglia miracolosa S. Massimiliano intravvedeva un segno della bontà di Maria, della sua supplice potenza, del suo amore materno. Diventava quindi uno strumento di apostolato. Nel gesto di consegnare una medaglietta, che quasi nessuno rifiuta, vi è l’occasione di presentare tutta la realtà della salvezza e dell’opera di Maria. 

    Tra le righe si coglie anche un altro motivo, per me personalmente molto più importante e profondo: la medaglia miracolosa, portata, richiamava S. Mas-similiano e richiama il consacrato proprio alla realtà della consacrazione, così come l’abbiamo esposta. E’ un avere presente, in modo costante, perché visibile e concreta è la medaglia che si porta, il “dover essere” di ogni momento e cioè quell’identificazione a Maria, quell’essere Lei, quel lasciarla vivere in sé a cui deve portare la consacrazione vissuta. 

    Come non ravvivare questa realtà ogni volta che toccava la medaglia por-tandosi la mano al petto o sgranando il rosario al quale l’aveva applicata o avendola sempre a portata di mano per distribuirla? 

    Questo certamente voleva dire la medaglia per S. Massimiliano, visto che questa era la realtà che egli viveva in modo costante!

    Possiamo dire, usando una parola grossa, che la medaglia è stata, per p. Kolbe, un “sacramento”, cioè un segno efficace, che lo rimandava costante-mente a quell’”essere tutto di Maria Immacolata”. Solo così, mi sembra, si capisce perché p. Kolbe la mette come seconda condizione per vivere la M.I. Vista così, la medaglia non è una specie di talismano, di amuleto cui spesso si attribuiscono poteri magici, ma un segno concreto, visibile che mi dice, momento per momento: “Sii quello che devi essere”.

    In quest’ottica va compresa la medaglia miracolosa, il portarla e il distri-buirla. Sono certo che inciderà profondamente nella nostra vita e diventerà, di conseguenza, un’arma invincibile di apostolato, come lo è stata per S. Massi-miliano.

    Alla luce di quanto abbiamo detto, rileggiamo quanto gli Statuti della M.I. dicono sulle condizioni(9):


    Art.: 5 La spiritualità della M.I. consiste nel vivere la consacrazione batte-simale alla luce dell’Immacolata, dono del Redentore. Egli sul Calvario compie il primo atto di affidamento donando Maria al discepolo e il discepolo a Maria. La vita del discepolo è caratterizzata dalla presenza della Madre. 

    P. Kolbe ha vissuto il rapporto vitale con Maria in modo singolare, inteso come una “trasformazione in Lei”, un “diventare Lei” per rag-giungere una più perfetta unione con Cristo.

    Art.: 6 La M.I. afferma nei cristiani il primato della vita interiore, secondo il principio caro a S. Massimiliano: “Innanzitutto dédicati completamente a te stesso e così potrai donarti completamente agli altri... per la sovrab-bondanza della tua pienezza”.

    Nella preghiera personale, i militi cureranno in particolare la recita quotidiana della giaculatoria: “O Maria, concepita senza peccato...” unita alle “intenzioni” suggerite mensilmente dal Centro Internazio-nale.

    Da non trascurare l’uso lodevole di portare con devozione la Medaglia miracolosa, segno esteriore della propria appartenenza alla M.I.

    Art.: 7 Sull’esempio di Maria, Vergine in ascolto, Vergine in preghiera, Vergi-ne Madre, Vergine offerente, i membri della Milizia dell’Immacolata riconoscono il valore fondamentale dell’ascolto della Parola di Dio, della celebrazione liturgica, della preghiera, della carità verso tutti, dell’offerta del proprio essere, per collaborare con Cristo alla salvezza del mondo.

    Art.: 8 Poiché la donazione di sé all’Immacolata non è un atto transitorio, ma una responsabile e dinamica accettazione dello stato di conformazione a Lei, per crescere nello spirito di fede e di servizio, è necessario che i militi vengano adeguatamente formati secondo gli ideali dell’Associa-zione e nello stile apostolico che la caratterizza.

    Pertanto i membri si impegnano ad approfondire la propria formazione spirituale, teologica, mariologica e pastorale, attingendo alla ricchezza del magistero della Chiesa e alle varie iniziative proposte dall’Asso-ciazione.

    Art:. 9 I membri della M.I. amano la Chiesa, Madre e Maestra e si propongono come presenza viva e operante per contribuire alla crescita della comu-nità ecclesiale.




































    4    FINALITÀ  DELLA  M.I.








    Alla base di ogni azione umana c’è, o ci deve essere, sempre uno scopo, una finalità ben precisa e chiara. Così anche nella vita di un’associazione.

    Dando inizio alla M.I., p. Kolbe ha fissato lo scopo, la finalità da perse-guire. Lo troviamo ben espresso nello Statuto originale da lui stesso redatto.

    Dopo la premessa: “Essa ti schiaccerà il capo” (Gen. 3,15); “Tu sola hai vinto le eresie del mondo intero” (Lit.), dice: “Fine: procurare la conversione dei peccatori, degli eretici, degli scismatici, ecc., in particolare dei massoni; la san-tificazione di tutti sotto il patrocinio e con la mediazione della Beata Vergine Maria Immacolata” (1).

    La premessa, costituita da due citazioni, una biblica e l’altra liturgica, col-loca ciò che segue nell’ambito della storia della salvezza, della missione della Chiesa, collegandolo alla mediazione di Maria e alla sua funzione essenziale nella Chiesa.

    Questo non è di poco conto o secondario poiché inquadra quanto segue, lo mette a fuoco. In detta premessa non solo viene espresso un desiderio, pur grande e bello, di un’anima infuocata o di un gruppo di religiosi, ma si afferma che ciò a cui si dà inizio con la M.I. è parte del disegno di salvezza e di amore di Dio sull’umanità. Già questo dice la visione ampia, universale che S. Massimiliano ha davanti. Certamente lo Spirito Santo ha suggerito a p. Kolbe questa premessa dalla quale appare evidente che l’iniziativa di S. Massimiliano e dei suoi com-pagni, in quel 16 ottobre 1917, non è una costruzione fatta a tavolino, ma è azione di Dio e dell’Immacolata.

    Dopo la premessa così densa di contenuto, p. Kolbe espone il fine gene-rale e speciale della M.I. visto in rapporto alla Chiesa, al Corpo mistico di Cristo. Il fine viene presentato con due facce:

    a)




    da una parte riguarda il mondo degli uomini secondo la loro situazione rispetto alla Chiesa:

    * membra malate: peccatori;

    * membra staccate per eresie o scismi;

       * membra non appartenenti ma orientate alla Chiesa.

    b)

    dall’altra riguarda la perfezione, la santificazione personale e altrui.


    LA  CONVERSIONE  DEI  PECCATORI


    Abbiamo visto all’inizio quale era la situazione culturale dell’Europa, dell’Italia e di Roma all’inizio della M.I.

    P. Kolbe è profondamente addolorato e colpito che la Chiesa sia schernita nel Papa e nei vescovi, perseguitata dai suoi nemici e anche avvilita dalla vita mediocre dei suoi figli (anche nell’Ordine rilevava questa mediocrità). Scrive: “L’Immacolata è la Mediatrice di tutte le grazie. Ora, ogni conversione e santi-ficazione è opera della grazia; avvengono perciò per mezzo dell’Immacolata. Quindi, quanto più un’anima si avvicina all’Immacolata, tanto più abbondante-mente attinge alle grazie, sia di conversione che di santificazione.

    E ancora: il rinnovamento di un Ordine religioso equivale alla conversione e alla santificazione dei suoi membri. Perciò, quanto più un Ordine religioso si avvicina all’Immacolata, tanto più si rinnova, si sviluppa, rifiorisce e si riveste di frutti, di santi, anche canonizzati.

    E ancora: il maggior avvicinamento possibile è la consacrazione illimitata. Quindi, se l’Ordine si consacra illimitatamente all’Immacolata, allora l’Imma-colata diverrà “Regina dell’Ordine Serafico” non solo nelle litanie, ma anche nella realtà, e non una Regina costituzionale, ma assoluta e ogni francescano diviene, secondo l’espressione del Padre S. Francesco, suo vassallo. Suo cava-liere, dunque.

    E allora in tutto l’Ordine avverrà ciò che si sta verificando attualmente a Niepokalanów e ancor di più, senza confronti.

    E...avremo un tale progresso spirituale e numerico che supereremo cifre mai sognate, assai più elevate del numero dei membri di tutti gli altri rami francescani presi insieme.

    E...torneranno allora coloro che nel corso dei secoli si staccarono da noi, poichè verranno meno le ragioni della separazione, mentre la potenza del vessillo dell’Immacolata cancellerà ogni precedente disaccordo.

    Si aprirà allora una pagina nuova nella storia della lotta tra l’Immacolata e il drago.

    Che siano solo pure utopie queste?... E’ da quando ero chierico che soffro per l’indebolimento del nostro Ordine e non vedo altra via più efficace per la sua risurrezione”.(S.K., 668). E’ chiaro, dunque, che vuole fare qualcosa, non restare inerte di fronte a questa situazione. Di qui il dono totale a Maria, insieme ai suoi compagni, per essere nelle sue mani strumento di conversione, di santificazione, di rinnovamento e di lotta al male. 

    Due piccoli episodi ricordati dall’amico p. Pal ci dicono questa volontà e questo ardore.

    Di fronte a questa realtà ostile non voleva rimanere sulla difensiva, limitandosi alla condanna senza risposte adeguate. Nel suo ardore giovanile aveva deciso di affrontare direttamente l’avversario più importante recandosi nella sua stessa sede.

    “Un giorno mi propose di accompagnarlo al Palazzo Verde, sede della masso-neria in Roma, per convertire il gran maestro della massoneria italiana e gli altri massoni. E avendo io rassicurato che se il padre Rettore avesse concesso il dovuto permesso l’avrei accompagnato, subito dopo la ricreazione pomeridiana si recò dal P. Ignudi e gli palesò il suo intento. Tornato da me nel cortile del collegio dove l’aspettavo, un po’ confuso ma rassegnato, mi comunicò che il padre Rettore gli aveva detto che non lo riteneva opportuno e che era meglio limitarsi a pregare per la conversione dei massoni” (2).

    Evidente ingenuità di un giovane inesperto, che può far sorridere, ma che rivela pure il suo spirito non rassegnato e battagliero anche di fronte a difficoltà umanamente insuperabili. 

    “Tornando, non mi rammento bene se da Cave o da Genazzano o da Tivoli, mi raccontò che nel treno un signore s’era messo a parlare contro la fede e contro il Papa. P. Massimiliano si dette a contraddirlo e cercò di convincerlo che era in errore. Quel signore si adirò e vantandosi di essere dottore e professore di filosofia voleva partita vinta per il suo titolo. P. Kolbe gli rispose di essere anche lui dottore in filosofia. La disputa prese allora un tono più tranquillo e finì lasciando il professore molto scosso e pensieroso” (3).

    Episodio di cronaca anche questo ma rivelatore del temperamento e dell’atteggiamento di fondo di S. Massimiliano.

    Data la situazione a Roma, come pure, quando vi ritornerà, in Polonia, la sua attenzione è attirata particolarmente dalla massoneria. Si può dire che non c’è lettera o scritto del Santo che non richiami esplicitamente o implicitamente questo scopo specifico della M.I. 

    Qual è il suo pensiero sulla massoneria?

    La massoneria persegue con ogni mezzo e in modo non sempre palese e dichiarato il suo scopo che è quello di eliminare il cristianesimo. “Purtroppo, al nostro tempo proprio i massoni stanno a capo dell’azione contro la Chiesa, anche dove meno si vedono” (S.K., 803). Essi vogliono sopraffare la religione spe-cialmente mediante la corruzione dei costumi, impiegando la stampa, il cinema, il teatro. “I punti fondamentali del programma massonico sono la liquidazione totale del mondo soprannaturale. La tendenza verso questo scopo è evidente ad ogni passo. L’arte, la letteratura, la stampa periodica, i teatri, i cinema, l’educa-zione della gioventù e la legislazione si muovono con passo veloce verso l’eliminazione del mondo soprannaturale” (S.K., 1254). La cultura anti-cristiana è promossa, secondo p. Kolbe, particolarmente dalla massoneria. Egli attribuisce alla ragnatela massonica un’attività pianificata, tenace e a raggio mondiale; è un’opera che ha un carattere demoniaco, precorritrice, in certo modo, dell’av-vento dell’anticristo. Per questo la preghiera speciale per il ravvedimento dei massoni compare specificamente nel programma della M.I. e la lotta contro l’ideologia massonica sta al vertice delle sue preoccupazioni.

    Che la massoneria sia radicalmente ostile alla Chiesa, osserva p. Kolbe, risulta evidente da numerose condanne pronunciate dal magistero di molti Papi. Esaminando i documenti pontifici, S. Massimiliano enuclea le ragioni per cui la massoneria è nemica della Chiesa:

    + essa è una setta segreta, è anticristiana perché nega assolutamente il soprannaturale;

    + è in particolare anti-cattolica con i suoi progetti eversivi e perché pro-pone un ideale di vita opposto a quello del Vangelo. Possiede il dominio sui principali organi di governo degli Stati perché i suoi membri sono reclutati specialmente fra i politici, gli alti gradi dell’esercito e dell’am-ministrazione, fra i magnati della finanza. Si è appropriata, con astuzia e con la potenza dei mezzi economici, della stampa e della direzione dei principali quotidiani. Esteriormente la massoneria professa un ideale umanitario, ma in realtà persegue, come condizione preliminare del suo programma, l’eliminazione della religione cristiana.

    Questo giudizio non fu mai modificato da p. Kolbe negli anni successivi, anzi lo richiama molte volte. Ripete nel 1939: “…Distruggere qualsiasi religione cristiana, soprattutto quella  cattolica. Disseminata nei modi più diversi e in maniera più o meno evidente in tutto il mondo, le cellule di questa mafia mirano proprio a questo scopo. Si servono, inoltre, di tutta una categoria di associazioni dai nomi e dagli scopi più svariati che, però, sotto il loro influsso, diffondono l’indifferenza religiosa e indeboliscono la moralità” (S.K., 1328).

    Come sempre, si iscrivono alla massoneria affaristi, ambiziosi e arrivisti di ogni estrazione politica.

    La massoneria, però, non è - come pensano i suoi numerosi adepti – auto-noma nella sua azione; essa è invece dominata e manovrata astutamente da una “cricca ebraica”, dai signori della finanza internazionale che vogliono attuare il loro sogno millenaristico di potenza e di orgoglioso dominio sul mondo intero. “I massoni, scrive nel 1926, non sono altro che una cricca di ebrei  i quali mirano, in modo irragionevole, a distruggere la Chiesa cattolica” (S.K., 1113) (4)

    Questa tesi da collocare nella situazione e nella cultura del centro-Europa e dei Paesi slavi che, alla caduta dell’impero austro-ungarico, vedevano nel consistente gruppo ebraico un ostacolo all’unità nazionale dei giovani Stati, può dare l’impressione di antisemitismo da parte di p. Kolbe.

    Quale è la sua posizione su quella che fu detta la “questione ebraica”? Che cosa pensa e come si esprime nei confronti di massoni e di ebrei? Non sono domande oziose, perché ci fanno capire il modo, lo stile con cui vuole agire nei confronti degli avversari della Chiesa perché si convertano.

    Ciò che colpiva dolorosamente p. Kolbe era, in particolare, l’avversione al soprannaturale e, di conseguenza, al cattolicesimo, data la diffusione delle idee illuministe o positiviste, come si diceva all’inizio, che generavano l’indifferen-tismo religioso, l’anticlericalismo, i pregiudizi radicati contro la Chiesa. E questo soprattutto nella classe intellettuale, che aveva un’ influenza in tutti i settori e i campi della vita. Questo clima era comune in tutti i Paesi europei, quindi anche in Italia e Polonia.

    Naturalmente tutti i mezzi erano buoni per diffondere e difendere questa ostilità contro la religione, specie quella cattolica e la Chiesa che la sosteneva. Questa, da parte sua, non faceva più di tanto per far valere la sua voce.

    S. Massimiliano con il suo carattere fiero e con la convinzione che lo ani-mava, volle opporre la visione cristiana con rigore, con apertura, con decisione, instancabilmente, senza soggezioni e senza arroganza, mantenendosi sul piano del confronto e del dialogo.

    La sua non fu mai un’ opposizione cieca, nel senso che egli non volle erigere muro contro muro, ma cercare di capire le ragioni degli altri e curare il contatto personale con loro. Era convinto che bisognava studiare i movimenti anti-religiosi, le loro fonti, i loro metodi, gli effetti, distinguendo in essi quanto c’è di bene e quanto c’è di male.

       Ricerca la conversione degli avversari non per spirito trionfalistico, ma per autentico amore, per renderli partecipi dell’amore di Dio e dell’Immacolata, perché convinto che lontani da Dio non si può essere veramente e pienamente uomini.

       Occorre avere fiducia nelle persone. Si può fare molto di più con la cono-scenza personale che con le critiche violente. L’accostarsi personalmente all’altro toglie tanti preconcetti reciproci.

    Nei confronti della massoneria, come l’abbiamo presentata, il suo giudizio fu sempre molto severo e deciso (S.K., 1254).

    S. Massimiliano non portò mai la discussione con gli avversari nell’ambito politico, sociale o razzista, ma solo sul piano religioso.

       Non propose mai discriminazioni, violenze, ghettizzazioni verso gli ebrei. Distingueva molto bene la massa delle comunità ebraiche rispettabili perché fedeli alle proprie tradizioni, dal gruppo o “cricca” dei pochi potenti orgogliosi.

       Non accettò la collaborazione di alcuni giornalisti perché anti-semiti.

       Dimostrò comprensione per la mentalità delle masse ebraiche contrarie al cristianesimo per ignoranza. In discussioni e colloqui con tanti ebrei apprezzò in molti la lealtà d’animo. Durane la guerra diede rifugio a 1.500 di essi nella città dell’Immacolata.

       Combatté senza tregua l’errore, ma non la persona o le persone che sba-gliavano (S.K., 631). Tuttavia il rispetto della persona non gli faceva chiudere gli occhi di fronte al pericolo incombente, guidato da princìpi anti-cristiani e da gruppi potenti come la massoneria, contro la Chiesa. 

    Ma con la certezza della vittoria di Maria non temette e non si fermò. L’amore, la preghiera, lo spirito di servizio alla verità guidarono la sua azione. Lo vedremo meglio parlando dei mezzi dell’azione M.I.

    In questo modo, possiamo dire “mariano”, che, cioè, prende dentro l’altro con l’amore, p. Kolbe vuole portare lontani e nemici a Dio per l’Immacolata. 

    Nel tempo, venuto meno o non essendo più così appariscente l’opposizione drastica della massoneria alla Chiesa cattolica, anche nella giaculatoria si parla di “nemici” della santa Chiesa. Questi sono i potenziali oppositori che sempre la Chiesa incontra e incontrerà sul suo cammino. Per un cinquantennio lo è stato il comunismo, ridimensionato, almeno in occidente, dopo i fatti del 1989; oggi un nemico sempre più pericoloso è l’indifferentismo religioso, che sta minando tutta la nostra società. E’ il nuovo pericolo ed errore contro il quale occorre mobilitarsi tutti decisamente. Ma con lo stile, con l’anima che ci ha appena insegnato S. Massimiliano. Una sua espressione condensa molto bene quest’anima: “Solo l’amore crea”.


    LA   SANTIFICAZIONE


    Il secondo fine della M.I., espresso sempre da p. Kolbe nello statuto ori-ginale, è la santificazione di tutti. Questo è lo sbocco naturale della vita cristiana vissuta. A questo deve condurci l’aiuto che ci viene dal partecipare ad un’asso-ciazione che ha una sua spiritualità. E’ una opportunità in più che ci viene offerta per camminare più speditamente nella via della santità (cfr. appendice III°: alcuni testi di approfondimento di questo tema così importante per la nostra vita cristiana).

    Anche questo fine viene sottolineato e ribadito con insistenza da S. Massi-miliano nei suoi scritti e ci aiuta a comprenderla sempre di più.

    E in che cosa consiste la santità per p. Kolbe? Riporto alcune espressioni dai suoi scritti:

      “La volontà di Dio è l’essenza della santità, dell’amore, della diviniz-zazione” (S.K., 569).

      “La devozione all’Immacolata è un segreto che molti ancora non conoscono o, piuttosto, lo conoscono e lo praticano solo superficialmente, mentre, per volontà di Dio, è la sostanza di tutta la santità” (S.K., 687).

      “E’ proprio vero che il compimento della volontà dell’Immacolata nei minimi particolari nel modo più esatto costituisce il più alto grado di santità. Poiché, in effetti, la volontà di Lei è la stessa volontà di Gesù, la volontà di Dio” (S.K., 748).

      “Gesù, venendo nel mondo, ha indicato all’umanità, con l’esempio e con la parola, la strada verso la vera santità. La sostanza di essa è amare Dio fino all’eroismo. Il segno distintivo è il compimento della volontà divina, contenuta soprattutto nei comandamenti di Dio e della Chiesa e nei doveri del proprio stato. Il mezzo è la continua vigilanza su se stessi al fine di conoscere i propri difetti e sradicarli, innestare le virtù, coltivarle, svilupparle fino ai gradi più elevati; poi la preghiera con la quale l’anima si procura le grazie divine soprannaturali indispensabili al progresso spirituale” (S.K., 1001).

      “Il grado di perfezione dipende dall’unione della nostra volontà con la vo-lontà di Dio. Quanto maggiore è la perfezione, tanto più stretta è l’unione. Poiché la Madonna SS. ha superato con la sua perfezione tutti gli angeli e i santi, perciò anche la sua volontà è unita e immedesimata nel modo più stretto con la volontà di Dio. Pertanto compiendo la volontà dell’Immacolata, noi adempiamo, perciò stesso, la volontà di Dio. E questo è la via più breve e più sicura verso la santità” (S.K., 1232).

    Vi è in questi scritti l’indicazione di un itinerario di vita cristiana per la santità. Penso che dovremmo avere sempre davanti queste indicazioni, perché sono di vitale importanza. E’ la conferma, che ci viene da un santo che ha vissuto quest’ itinerario, che quanto spesso ci diciamo è vero e non è un inganno o semplicemente un modo di dire.

    Così siamo anche in piena consonanza con la Chiesa del nostro tempo che, nel Vat.II, richiama con tanto vigore la vocazione di ogni cristiano alla santità. La sottolinea anche il Papa Giovanni Paolo II° presentandola come “la priorità” pastorale per la vita della Chiesa per il terzo millennio(5).


    LA  GLORIA   DELL’IMMACOLATA


    Dopo il programma originale del 1917, S. Massimiliano allarga lo scopo della M.I.. Mantenendo sempre la conversione dei peccatori e nemici e la santi-ficazione di ogni cristiano, aggiunge, come fine ancora, la gloria di Dio, dell’Im-macolata, il regno di Dio, la felicità degli uomini, la pace, l’unità di tutti.

    Anche di questo troviamo conferma nei suoi scritti, anzi queste finalità vi appaiono collegate e soprattutto fondate, basate sulla mediazione dell’Immaco-lata. E’ questo lo specifico, come abbiamo sottolineato, di S. Massimiliano: la vita cristiana e religiosa vissute nella visione, nell’angolatura di Maria, attraverso l’Immacolata.

    P. Kolbe usa spesso questa espressione: “Attraverso l’Immacolata al Cuo-re divino di Gesù: è la nostra parola d’ordine. Attraverso l’Immacolata: è la nostra caratteristica essenziale. Quali strumenti nella sua mano…. desideriamo irradiare l’Immacolata fino al punto da essere capaci di attrarre a lei anche le anime degli altri...” (S.K., 1231).

    Su questo motivo conduttore p. Kolbe coniuga i vari scopi della M.I. Dice: “Lavorate, soffrite, vivete e morite per la più grande gloria di Dio, per l’Im-macolata. Salvare e santificare quanto di più tutte e singole le anime che sono e che saranno” (S.K., 1023).

    “Sappiamo degli ossessi, indemoniati per i quali il diavolo pensava, parlava agiva. Noi vogliamo essere così e più ancora illimitatamente ossessi da Ella, che Ella stessa pensi, parli, agisca, per mezzo di noi. Vogliamo essere fino a quel punto dell’Immacolata che non soltanto non rimanga niente in noi che non sia di Lei, ma che diventiamo quasi annientati in Lei, cambiati in Lei, transustanziati in Lei, che rimanga Lei stessa. Che siamo così di Essa, come Essa è di Dio. Essa è di Dio fino a divenire sua Madre e noi vogliamo diventar la madre che par-torisca in tutti i cuori che sono e che saranno l’Immacolata. Ecco la M.I., farla entrare in tutti i cuori, farla nascere in tutti i cuori, che Essa possa, entrando in questi cuori, presa la possessione quanto più perfetta di essi, partorire ivi il dolce Gesù, Dio e farlo grandire fino a perfetta età” Che bella missione!… E’ vero?” (S.K., 508).

    “Divenire sempre più proprietà dell’Immacolata, cercare di appartenere a Lei in modo sempre più perfetto e sotto ogni aspetto senza alcuna eccezione, cercare di approfondire sempre più la propria appartenenza a Lei fino al punto di poter illuminare, riscaldare e infiammare le anime che vivono nell’ambiente circo-stante, fino a renderle simili a se, a conquistare il mondo intero, ma a conqui-starlo nel più breve spazio di tempo possibile, quanto prima; fino ad appro-fondire sempre più questo ideale nelle anime che vivono e che vivranno in avve-nire e non permettere a nessuno, neppure per breve tempo, di strappare da nes-suna anima il vessillo dell’Immacolata: ecco il compito del milite dell’Immaco-lata” (S.K., 1329)

    Risulta così che le diverse finalità della M.I. sono strettamente legate: più apparteniamo all’Immacolata, più la facciamo conoscere agli altri e più in tal modo conquistiamo a Lei e a Dio numerose anime. Dice: “Divenendo in tal mo-do sempre più dell’Immacolata, fino a conquistare, in qualità di cavaliere, schie-re sempre più numerose di anime e divenendo, attraverso l’Immacolata, proprie-tà di Gesù, e, attraverso Lui, in modo sempre più perfetto, proprietà del Padre celeste, l’anima diviene sempre più milite dell’Immacolata, penetra sempre più profondamente nell’essenza della M.I.” (S.K., 1329).

    “Realizzare lo scopo della M.I. e al più presto possibile, ossia conquistare all’Immacolata il mondo intero e ogni singola anima che vive ora o che vivrà si-no alla fine del mondo e, attraverso Lei, al S. Cuore di Gesù. Inoltre fare buona guardia affinché nessuno rimuova da nessuna anima lo stendardo dell’Immaco-lata, ma piuttosto approfondire incessantemente nelle anime l’amore verso l’Im-macolata, stringere il vincolo d’amore tra le anime e Lei affinché esse divengano una sola cosa con Lei, Lei stessa; affinché ella stessa viva e ami in esse e, attra-verso esse, come Ella è di Gesù, di Dio, così ogni anima, attraverso Lei e in Lei, diverrà di Gesù, di Dio...Allora le anime ameranno il Cuore di Gesù come mai fino a quel momento lo avevano amato, poiché come Lei si immergeranno, come non avevano fatto mai, nei misteri dell’amore: la Croce, l’Eucaristia. L’amore di Dio infiammerà, attraverso Lei, il mondo, lo brucerà e avverrà l’assunzione delle anime mediante l’amore” (S.K,991Q).

    L’impegno di realizzare in se stessi una completa identificazione con l’Im-macolata, in p. Kolbe ha sempre anche una finalità e una dimensione apostolica, perché si tratta di comunicare, di donare agli altri ciò che si vive: l’amore all’Immacolata.

    Scrive: “Ognuno di noi, poi, dice: io desidero innanzi tutto tradurre in atto, rea-lizzare sempre di più e sempre più rapidamente questo ideale in me stesso. Deb-bo io stesso far di tutto per appartenere sempre di più all’Immacolata, son pro-prio io che mi debbo consacrare sempre più a Lei, rendermi simile a Lei, vivere di Lei, irradiare Lei, affinché il mio ambiente sia illuminato sempre più chiara-mente dalla conoscenza di Lei, sia riscaldato e infiammato sempre più ardente-mente d’amore verso di lei, così che un numero sempre maggiore di altre perso-ne divenga simile a me, come me, influiscano sempre di più tra i vicini e illumini-no e infiammino un numero sempre maggiore di altre persone ancora. Affinché il mondo intero ed ogni singola anima divenga sempre più simile a Lei, quasi Lei stessa: ecco la “M.I.-io” (S.K., 1231).


    Concludendo, si vede che per S. Massimiliano le diverse finalità della M.I. finiscono per condensarsi in una: essere dell’Immacolata perché Lei è la via a Dio; Ella conduce a Gesù, come Gesù conduce al Padre: “Approfondiamo ogni giorno più la nostra appartenenza all’Immacolata e, in Lei e attraverso Lei, a Gesù e a Dio, ma non accanto a Lei. Noi non serviamo Dio Padre, Gesù e l’Im-macolata in modo distinto, ma Dio in Gesù e attraverso Gesù; Gesù nell’Im-macolata e attraverso l’Immacolata. Ossia (serviamo) l’Immacolata in modo diretto, illimitato, esclusivo. Ma con Lei, in Lei e attraverso Lei, Gesù e, con Lui e attraverso Lui, Dio Padre” (S.K., 634).

    Questa vita, quest’ impegno vissuto dai singoli e insieme ha certamente un influsso benefico anche sulla società, sul mondo, sulla Chiesa: porta pace, feli-cità, unità e li mostra realizzati in chi vive così. Queste infatti sono le aspirazioni profonde di ogni uomo.

    “Lo scopo del calendario è quello della M.I., vale a dire rendere felice l’uma-nità, diffondendo nelle anime, assetate di felicità, che rincorrono in ogni istante della vita, l’amore verso Colei che può e vuole introdurre la pace e la gioia nel cuore, fin da questo esilio terreno, in mezzo alla confusione che avvolge ogni cosa, alle preoccupazioni e ai grattacapi che assalgono dovunque, al dolore che penetra fin nel profondo del cuore.

    Chi ama sinceramente l’Immacolata e ricorre a Lei con filiale attaccamento e con amore in ogni tentazione e difficoltà della vita, sicuramente abbatterà tutti gli ostacoli sulla strada verso la felicità, verso un assaggio anticipato della gioia del paradiso” (S.K., 1080).


    Dopo queste considerazioni penso sia utile rileggere insieme quanto dice lo Statuto M.I. riguardo alla finalità(6).


    Art. 4  Il fine della M.I., universale come la sua missione, consiste:

    nel collaborare alla conversione di tutti, perché, mediante l’interces-sione della Vergine Maria, Regina degli Apostoli, le genti siano quanto prima condotte alla conoscenza della verità, all’osservanza della legge di Dio e all’unione con la Chiesa, affinché con l’aiuto della Madre di Dio diventino una cosa sola;

    nel collaborare alla santificazione di tutti e di ciascuno in particolare, sull’esempio dell’Immacolata, nella quale la Chiesa contempla con gioia, come in un’immagine purissima, ciò che essa, tutta, desidera e spera di essere;         e in tal modo

    procurare la massima gloria alla Santissima e indivisibile Trinità. 


    Essendo approvati dalla Chiesa, quanto ci dicono gli Statuti diventa espressione per noi della volontà di Dio e quindi, osservandoli, via alla nostra santificazione. Non è quindi cosa da poco, anche se, come è specificato alla fine, nessuna delle norme che appaiono nello Statuto obbliga in coscienza, per cui, se non si osservano, non si commette nessuna mancanza grave. 

    Sono comunque delle indicazioni utili e portatrici di una grazia particolare per vivere più intensamente la vita cristiana, perché suggerite dallo Spirito e appro-vate dalla Chiesa.

    Sono sempre da accogliere nella visione di fede, cioè del piano di amore di Dio su di noi, che si serve anche di questo per la nostra santificazione.











































    5.     MEZZI  DELLA  M.I.








    Abbiamo visto che le finalità che la M.I. si propone sono essenzialmente due: conversione e santificazione. A queste si possono aggiungere: la gloria di Dio, la diffusione del suo Regno, la pace, l’unità, ecc. Concretamente, poi, S. Massimiliano le riassume e condensa in una sola: essere Maria, diventare Lei e così conquistare tutti, il mondo intero, a Dio per l’Immacolata.

    Abbiamo visto che, per realizzare la nostra santificazione, è indispen-sabile la consacrazione a Maria e come questa comporti quell’esercizio di vita cristiana vissuta che Gesù ci propone nel Vangelo e che la Chiesa interpreta secondo i tempi; esercizio che riguarda e abbraccia tutta la nostra vita nei suoi vari aspetti e momenti, nessuno escluso.

    Questo è fondamentale e da tenere sempre presente, anzi da ravvivare ogni giorno, perché è questo che dà l’anima, il motivo, che sostanzia quanto poi pos-siamo fare. Se manca questa vita intensa spiritualmente, rischiamo di fare tanto, ma è solo una fuga, un alibi, un attivismo sterile che non produce nulla o poco.

    Qualcuno dirà che questo è ovvio, altrimenti perché faremmo le cose? Sì, è vero, ma nella vita spirituale non si può mai dare niente per scontato, per presupposto. Infatti, se l’esercizio di vita vissuta non è del momento presente, non serve, perché il passato, anche di un solo attimo, non conta più.

    E’ facile ed è una tentazione da superare quella di non preoccuparci prima di tutto di come è la nostra vita spirituale, per es. la consacrazione vissuta e, possibilmente, vissuta insieme! Si dedica tanto tempo ad organizzare, a proporre iniziative (tutte cose belle e lodevoli) e poco o niente a rimettere a fuoco il punto di partenza, da cui poi dipende tutto!

    Messo in chiaro ancora una volta questo, vogliamo ora parlare di quei mezzi che ci aiutano a trasmettere questa vita vissuta a tanti, a tutti, a più anime possibili per conquistare tutti a Dio per l’Immacolata. Questo era l’ideale di S. Massimiliano.

    Nella pagellina originale, P. Kolbe presenta così i mezzi:

    1.


    2.



    Rivolgersi a Maria possibilmente una volta al giorno con la giaculato-ria: “O Maria concepita...”.

    Ogni mezzo (purché lecito) che lo stato, le condizioni e le circo-stanze permettono e che viene raccomandato allo zelo e alla prudenza di ciascuno: soprattutto, però, la Medaglia Miracolosa.

    Un’osservazione che è stata fatta e che si applica bene anche a quanto stiamo dicendo rileva la totalitarietà di S. Massimiliano:

     parla di dono totale di sé all’Immacolata;

     vuole conquistare tutto il mondo a Maria, convertire tutti i peccatori, persegue la santificazione di tutti;

     chiede l’impegno di tutti e suggerisce l’uso di tutti i mezzi leciti.

    Per lui, dunque, sembra non esistere che questo: l’Immacolata e la conquista di tutti i cuori a Lei con ogni mezzo.

    P. Kolbe ribadisce infinite volte questi concetti nei suoi scritti, con parole sempre più chiare, quasi presentisse la brevità della sua vita e l’impossibilità di svolgere in tempo la sua missione.

    *“Tutte le invenzioni debbono essere innanzi tutto al suo servizio e poi per altri scopi: l’arte, la letteratura, il teatro, il cinema, la produzione libraria, il gior-nalismo, la radio, ecc., ecc. Ma prima di ogni altra cosa, noi stessi fino al com-pleto annientamento del nostro io, all’olocausto totale senza alcuna riserva... Tutto, dunque: l’anima, il corpo..., la scienza, l’arte..., tutto tutto...” (S.K., 991Q).

    *“I mezzi consigliati sono: la giaculatoria data dalla SS. Vergine Immacolata stessa e la sua medaglia data anch’essa da Lei. Oltre a ciò tutti i mezzi, purché legittimi: dunque anche la stampa periodica e non, la radio, la letteratura, l’ar-te...le legislazioni, le camere dei deputati, le organizzazioni...” (S.K., 200).

    *“Di quali mezzi si serve la M.I.? Il buon esempio, la preghiera, le sofferenze, il lavoro...” (S.K., 1226).

    Come si vede da questi scritti, S. Massimiliano parla di mezzi sopranna-turali e naturali(1): l’importante è che tutti siano orientati al fine di essere di Dio attraverso l’Immacolata.

    P. Kolbe lascia poi a ciascuno, secondo la sua condizione e il suo zelo, scegliere i mezzi più idonei secondo le varie vocazioni: così i sacerdoti, i religiosi, i laici sceglieranno quei mezzi che più corrispondono al loro stato, purché tutti diano il meglio di sé per la causa dell’Immacolata.

    Qui non si può non fare una sottolineatura. Si vede come S. Massimiliano, pur ricorrendo a tutti i mezzi possibili, non ne fissa qualcuno come determinante e indispensabile. Tutto va bene e serve: infatti ciò che sempre lo spingerà sarà uni-camente la pienezza della carica del suo amore per l’Immacolata. Se c’è questo, come dice il proverbio, “ad un buon operaio ogni strumento è valido”.

    Solo se saremo ardenti di amore per Dio e per Maria, sapremo usare ed esco-gitare tutti i mezzi pur di condurre più anime possibili a Dio per Maria.

    Come si diceva, la M.I. non è una costruzione a tavolino, ma è opera di Dio, è una vita con Maria e per Maria, da comunicare a quanti è possibile con tutti i mezzi possibili. Prendiamo in considerazione alcuni mezzi proposti.


    MEZZI  SOPRANNATURALI


    L’elenco che possiamo ricavare dagli scritti di S. Massimiliano in questo campo è lungo: preghiera, lavoro, sacrificio, sofferenza, buon esempio, umilia-zione, mortificazione, obbedienza, nascondimento, annientamento di sé, peniten-za, che si possono esprimere anche così:

    +  amore senza limiti all’Immacolata e alle anime;

    +  preghiera instancabile;

    la perfetta obbedienza ai superiori;

    +  la santa e indiscutibile povertà;

    +  l’ incrollabile fiducia nella Provvidenza;

    +  la collaborazione serena e aperta con e dei suoi frati.

    Su ciascuno di questi punti si potrebbe fare un piccolo trattato scorrendo gli scritti e le biografie del Santo. Noi consideriamo solo:

    a) la preghiera. S. Massimiliano non fa un trattato sulla preghiera, ma ne richiama continuamente l’indispensabilità per la vita spirituale e per l’apostolato. Tutto nasce da qui: dal contatto con la Fonte. Più questo contatto è costante e intenso e più la linfa vitale scorre abbondante e fresca.

    Preghiera che non è da limitare o circoscrivere agli “atti di preghiera” o alle “pratiche di pietà”: lodi, preghiere del mattino e della sera, Messa, ecc. Questo è un aspetto importante della preghiera, ma la preghiera non è solo questo e non è essenzialmente questo. Ce lo ha insegnato chiaramente Gesù nella sua vita. Preghiera è il rapporto amoroso del figlio col papà, un rapporto continuo, ininter-rotto, vissuto in ogni momento e che, come per Gesù, si concretizza nel fare sempre e solo la volontà del Padre, ciò che a Lui piace. In questo dialogo assumono il loro valore anche i momenti particolari degli atti di preghiera.

    Preghiera che esprime la nostra condizione di creature di fronte a Dio e che è fonte di rigenerazione e di vita, strumento di pace e di serenità perché è comu-nione e dialogo con Dio.

    Preghiera che è l’anima di ogni apostolato, di ogni attività perché vuol dire fare ogni cosa alla presenza di Dio, come espressione della sua volontà e nostra rispo-sta di amore al suo amore. Per questo nelle cittadelle unisce l’adorazione perpe-tua dell’Eucaristia al lavoro più indefesso: tutto infatti è preghiera.

    Alcuni testi ci chiariscono la sua importanza.

    * “E’ un mezzo sconosciuto e tuttavia il più efficace per stabilire la pace nelle anime, per dare ad esse la felicità, poiché serve per avvicinarle all’amore di Dio. La preghiera fa rinascere il mondo. La preghiera è una condizione indispen-sabile per la rigenerazione e la vita di ogni anima” (S.K., 903).

    *“Ecco il vasto campo della preghiera. Dio vuole che le anime umili, che lo amano e perciò lo pregano, governino il mondo con la bontà e con la potenza divina, salvino e santifichino le anime e instaurino in esse il regno dell’amore divino... Potente è la preghiera, anzi, illimitatamente potente, allorché si rivolge all’Immacolata, la quale, appunto perché Immacolata, è una Regina che esercita ogni potere perfino sul cuore di Dio” (S.K., 1302).

    In particolare S. Massimiliano suggerisce la giaculatoria: “O Maria conce-pita...” Ne raccomanda la recita quotidiana e il motivo è perché è stata insegnata dalla stessa Immacolata apparendo a S. Caterina, perciò è certamente gradita a Maria.


    b) la penitenza, il sacrificio, la sofferenza: devono accompagnarsi alla preghiera, affinché questa metta radici profonde nei nostri deboli cuori e ci prepari a sopportare ogni prova per amore dell’Immacolata e delle anime. 

    Si capisce subito come questi mezzi siano strettamente collegati con quan-to dicevamo prima sulla preghiera. Se la preghiera è, prima di tutto, la vita di ogni giorno, a questa vita appartengono anche tutti i momenti che richiedono la rinuncia a noi stessi, il rinnegamento del nostro “io”, il prendere la nostra croce come ci dice Gesù: “Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.

    Oggi, nella nostra cultura, questo discorso è un po’ difficile perché il pro-gresso della tecnologia e i miracoli della scienza e della ricerca tendono a creare una mentalità erronea: che, cioé, si possa eludere o eliminare addirittura il sacri-ficio, l’impegno, la rinuncia, il dovere, l’onestà, la correttezza, ecc., che compor-tano sempre il taglio di qualcosa; saranno piccole cose ma sono necessarie perché la vita cresca e si sviluppi. La nostra cultura ormai è quella del “subito” e “senza sforzo”; basta premere un bottone o i tasti di un computer e si ha tutto. Tutto per modo di dire, perché la felicità, la pienezza di vita, la percezione di una vita che cresce dentro non la possono dare nessun computer e nessun marchingegno della tecnica.

    Anche su questo tema p. Kolbe ritorna spesso nei suoi scritti, soprattutto nei propositi, nelle meditazioni, negli esercizi spirituali. Nel sacrificio o nella penitenza S. Massimiliano include tutto ciò che, in qualche modo, può far soffrire: dolori fisici, morali, umiliazioni, insuccessi, privazioni materiali, ecc. Anzi, qualche volta si può aver l’impressione che quasi vada in cerca di soffrire. Non è masochismo il suo, ma è la sapienza dei santi che hanno compreso che la via per la vera felicità passa attraverso la croce, accolta in tutti i suoi volti, aspetti e forme: “Chi vuol venire dietro a me, prenda la sua croce...”

    E’ questa la legge vera di ogni crescita spirituale. Certo è che quest’ esercizio a morire ogni giorno a se stesso ha preparato S. Massimiliano a donare anche la vita fisica per un fratello.

    Anche qui riportiamo qualche brano di scritti.

    + ”...la mortificazione è necessaria e indispensabile per tutti noi, poiché è anche per mezzo di essa che noi ci procuriamo la grazia di Dio. Come l’oro nel fuoco, così nella mortificazione l’anima si purifica e irradia il proprio amore, diventa più simile a Dio, più gradita a Lui e per ciò stesso più capace di accogliere abbondantissime grazie per sé e per i suoi poveri fratelli. Che cosa si ottiene, infatti, per un amore a Dio senza sofferenze?! “ (S.K., 1075).

    + “...che l’Immacolata non risparmi le croci alla sua Milizia e a nessuno dei membri per causa di essa; solo così, infatti, si purificano le intenzioni, sicché non si aderisca ad essa né in essa si lavori per propria esibizione o per compiacenza interiore, ma unicamente per puro amore” (S.K., 51).

    Questa vita di penitenza e di mortificazione, esercitata nella pazienza, nell’unione fraterna, nell’obbedienza, nella povertà e nelle altre virtù cristiane, alimenterà una preghiera pura, scarna e serena, e farà nascere un comportamento nuovo totalmente ispirato al Vangelo.

    Si tratta di una vita umile, preoccupata dei diritti di Dio sulle anime e dei bisogni degli altri più che dei propri, attenta a tutti gli appelli della grazia, come l’ha manifestata la Vergine Maria nel corso della sua vita terrena. Allora la croce assume il suo vero significato e diviene “scuola d’amore”, segno della perfetta carità, poiché ogni sofferenza fisica o morale, ogni azione che comporta fatica e stanchezza, ogni privazione di carattere voluttuario, ogni accettazione generosa del quotidiano, dà robustezza alla preghiera (= vita in Cristo) e ci unisce al Salvatore e alla sua Madre Immacolata, per l’opera della redenzione del mondo.


    c) il lavoro: entra di diritto tra i mezzi della M.I., sia per l’aspetto di impegno e sacrificio che comporta, sia perché, come spiega p. Kolbe, “...l’attività esteriore porta a compimento l’opera...” E S. Francesco ammoniva i suoi frati: “Quei frati ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino con fedeltà e devozione... E io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare e tutti gli altri frati voglio che lavorino di lavoro quale si conviene all’onestà. Coloro che non sanno imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio”(FF.88-119).

    La vita di S. Massimiliano è di esempio: un’ attività instancabile, travolgente sia nei vari conventi dove è stato, sia nelle cittadelle da lui fondate: l’insegnamento nel Seminario a Cracovia, la creazione dei circoli M.I.. nei più svariati ambienti, l’inizio della pubblicazione del ‘Cavaliere’, il trasferimento della redazione a Grodno, l’acquisto della tipografia, la fondazione di Niepokalanów e la sua orga-nizzazione, la preparazione della missione in Estremo Oriente, la pubblicazione del ‘Cavaliere’ in giapponese, la fondazione della cittadella giapponese ... P. Kolbe si rivela grande organizzatore, capace di riunire attorno a sé collaboratori; è attento ai metodi degli stessi avversari.

    Non sono da sottovalutare le doti di cui era arricchito:

    * il genio organizzativo;

    * la creatività sempre feconda di nuovi piani e progetti;

    * la sicurezza nel dirigere e realizzare;

    * l’arte di animare e confortare, per cui tutti si sentivano a loro agio ed erano disposti a seguirlo fino alla morte. Tutto questo ha determinato quello che si può proprio definire “il fenomeno Kolbe”.

    Pur in mezzo a tanto lavoro, è attento ai fratelli animandoli e seguendoli nella loro vita spirituale. Quando, per malattia, deve disinteressarsi completa-mente del ‘Cavaliere’ appena iniziato, lo fa con decisione e fiducioso nell’Imma-colata, abbandonandosi totalmente alla sua volontà.

    E’ particolarmente preciso nel chiarire problemi e determinare competenze per-ché siano messi in luce i compiti di ciascuno e salvaguardati i rispettivi diritti.

    Continua a ricercare con grande impegno tutte le virtù cristiane e religiose e col-tiva con immutato slancio l’amore all’Immacolata e questa tensione non si limita alla dimensione interiore, ma si incarna poi in un’esplosione di vita esterna che si irradia in ogni direzione.

    In tutto quest’operare S. Massimiliano ha dovuto sempre fare i conti con la sua precaria salute fisica. Questa semplice annotazione dice tante cose: quando il cuore è pieno di un grande ideale, affascinante, che prende totalmente, non vi sono ostacoli o remore, non si bada a niente, ma solo ad essere puntati in ciò che vale; il resto viene di conseguenza perché allora è Dio all’opera!


    d) la Medaglia Miracolosa: ne abbiamo già parlato. Qui vogliamo ricor-dare la fiducia nell’ efficacia apostolica che S. Massimiliano attribuiva ad essa. Il motivo è evidente: la stessa Vergine Immacolata l’ha rivelata e ha voluto la sua diffusione come segno di una particolare protezione su coloro che la portano. Quindi un mezzo potentissimo per diffondere il regno di Dio e dell’Immacolata nei cuori.

    Convintissimo del bisogno estremo che c’è della protezione di Maria, si adopera in tutti i modi per diffondere la Medaglia in ogni ambiente e a tutte le persone senza distinzione: lo abbiamo già ricordato.

    “Uno può essere anche il peggiore di tutti, ma se acconsente a portare su di sé la Medaglia Miracolosa bisogna dargliela” (S.K., 97).

    Riporta con entusiasmo i prodigi che l’Immacolata compie attraverso la Meda-glia Miracolosa, dalla conversione del Ratisbonne, che abbiamo citato, a quella dell’ambasciatore giapponese in Polonia (S.K., 1173), alle tante conversioni di sani e malati (S.K., 1066).


    MEZZI   NATURALI


    P. Kolbe li specifica dettagliatamente: ”...ogni mezzo, ogni ultima inven-zione nel campo delle macchine o dei sistemi di lavoro, l’arte, la letteratura, il cinema, la promozione libraria, il giornalismo, la radio, la stampa, la televisione siano messi innanzi tutto a servizio dell’opera di santificazione delle anime attraverso l’Immacolata” (S.K., 1218).

    Nel medioevo l’arte era impregnata di spirito cristiano sia nelle tematiche desunte dalla Bibbia e dalle vite dei santi, sia nelle finalità: la formazione delle classi meno colte, la cosiddetta “Bibbia dei poveri”.

    Nel tempo moderno l’arte ha perso molto di questa sua connotazione. S. Massimiliano esorta i militi e tutti i cristiani ad essere presenti nei vari campi dell’arte per orientarli all’Immacolata e farne uno strumento della sua gloria.

    In preparazione al XXV° della M.I. pensa al cinema e alla radio. Alcune volte riesce, con successo, a parlare alla radio nazionale presentando con chiarez-za e senza paura una profonda catechesi mariana. In seguito a questa esperienza positiva, progetta una radio trasmittente privata da installare a Niepokalanów, ma, a causa della guerra e per difficoltà burocratiche e di osteggiamento, non rie-sce a concretizzare il suo progetto.

    La stampa è certamente il mezzo più efficace che S. Massimiliano mette in opera e sul quale concentra e profonde tutte le energie sue e dei religiosi di Niepokalanów. 

    Convintissimo dell’importanza che riveste la stampa nel mondo moderno e co-sciente dell’impegno forte, in tale settore, delle forze avverse alla Chiesa e ai va-lori spirituali, in una conferenza condensa molto bene il suo pensiero sull’impor-tanza della stampa, corredato dal pensiero dei Papi, e fa anche proposte concre-te: boicottare la stampa cattiva e appoggiare quella buona e si augura che possa essere presto potenziata la stampa cattolica in Polonia (S.K., 1249).

    Nel gennaio del 1922 esce il primo numero del ‘Cavaliere dell’Immaco-lata’. Nel 1937, 15 anni dopo, 30° della M.I., 10° anniversario di Niepokalanów p. Kolbe stesso, alla radio polacca, fornisce i dati sull’attività editoriale della sua città-convento: “La tiratura del Cavaliere dell’Immacolata tocca le 750.000 copie, il Piccolo Cavaliere 180.000, il Piccolo Giornale 130.000 copie al giorno” (S.K., 1222).

    In più tutte le altre pubblicazioni di bollettini e libri.

    Le ragioni dell’ampia diffusione della stampa M.I. ai tempi di p. Kolbe so-no molteplici, non ultima il suo basso costo. La perfetta organizzazione interna di Niepokalanów e l’assoluta assenza di operai salariati, essendo tutti religiosi, per-mette una produzione a prezzi imbattibili. Si pensi che il Piccolo Giornale costava 5 Groszy contro i 25, 30 degli altri quotidiani.

    P. Kolbe viene accusato di concorrenza sleale e di ingiustizia e il suo giornale è combattuto attraverso l’ostracismo delle cartiere, in mano ai suoi avversari, che sospendono a un certo punto le forniture di carta a credito per esigere il paga-mento immediato e in contanti.

    Anche i rivenditori si rifiutano di accogliere il Piccolo Giornale nelle proprie edicole per l’esiguo guadagno di percentuale, dato il basso costo.

    Le accuse di slealtà e di ingiustizia contro p. Kolbe sono false, perché la sua preoccupazione non è il guadagno, ma la possibilità di raggiungere i ceti più po-veri che, senza il Piccolo Giornale, sarebbero rimasti privi di ogni informazione. Facendo appello alla solidarietà e allo spirito di sacrificio di tutti i militi, le difficoltà sono superate. Le cartiere vengono pagate nell’atto di acquisto e per tutta la Polonia sono organizzate edicole proprie, fino a quando, vista l’inutilità della loro protesta, gli edicolanti non rinunciano al sabotaggio.

    Ma più ancora contribuiscono alla diffusione della stampa M.I. l’oggettivi-tà dell’informazione, l’impegno formativo delle riviste, che rispondono a un sen-tito bisogno dell’animo profondamente cattolico dei polacchi, l’appoggio sincero di tutto l’episcopato e, forse ancora di più, la varietà e l’attualità degli argomenti trattati e l’efficacia dello stile.

    Ancora, il segreto di questo enorme successo è legato al dono totale di sé all’Im-macolata da parte di p. Kolbe e dei suoi frati e una vita coerente con questo dono fino in fondo. Su questo opera l’Immacolata.


    Detto questo, proviamo a specificare alcune funzioni che S. Massimiliano attribuisce a questo potente mezzo che è la stampa. 

    Qui sarebbero da riportare numerosi brani di lettere, articoli, conferenze in cui affronta questo tema. Riassumo in alcune affermazioni il contenuto dello studio presentato da p. Alfonso Zincarini nel Convegno del 1984(2).

    Prima di tutto, quando parla di stampa, p. Kolbe pensa soprattutto al ‘Ca-valiere dell’Immacolata’, ma non esclude le altre riviste specializzate ad esso affiancate e altri tipi di pubblicazione.


    1. Funzione della stampa è prima di tutto realizzare lo scopo della M.I.:“Lo scopo del R.N. non è solo quello di approfondire e rafforzare la fede, indicare l’autentica via ascetica e presentare ai fedeli la mistica cristiana, ma, altresì, in conformità ai principi della M.I., impegnarsi nell’opera di conversione degli acattolici” (S.K., 994).

    Lo scopo della stampa M.I. poi si articola in vari aspetti concomitanti:

    *

    *

    *

    diffondere l’amore e la devozione all’Immacolata (S.K.,1084);

    difendere la fede dall’eresia e far conoscere la vera Chiesa (S.K.,1021);

    conquistare tutte le anime all’Immacolata per santificarle e condurle al S. Cuore di Gesù (S.K., 996);

    *

    *


    *

    *


    *


    *

    Convertire i massoni (S.K., 1127);

    rendere veramente felici tutti gli uomini, facendo crescere nel loro cuore la pace e la gioia (S.K., 1080);

    riconoscere la verità, amare la verità, difendere la verità (S.K., 1246);

    non rimanere sulla difensiva, ma muovere all’attacco con ardore e prontezza, pur nel rispetto di tutti (S.K., 199);

    operare nell’amore e nel rispetto di tutti, anche se fossero i nemici più acerbi; combattere l’errore amando gli erranti (S.K., 1281, 1075);

    studiare gli errori correnti di un ambiente, i loro effetti sulla gente per meglio combatterli (S.K., 51).

    2. Altra funzione della stampa è quella di raggiungere tutti gli uomini, tutti gli strati della società, a costo di qualsiasi sacrificio.

    Per realizzare questo p. Kolbe indica delle piste da seguire:

    a)

    b)


    c)

    far penetrare la rivista dappertutto (S.K., 1106);

    avvicinare personalmente le anime, inserirsi negli ambienti dove esse operano e vivono (S.K., 1210);

    sottoporsi a qualunque sacrificio materiale per servire la causa del-l’Immacolata nella missione della stampa, vivendo soprattutto la povertà;

    3. Ancora funzione della stampa è quello di collegare tutti gli iscritti alla M.I. e comunicare loro esperienze e proposte d’impegno apostolico. Secondo p. Kolbe :

    + il ‘Cavaliere’ è organo di collegamento con i militi lontani o facenti parte della M.I. 1 (S.K., 1277);

    + il ‘Cavaliere’ è organo ufficiale della M.I. (S.K., 1090);

    + ogni nazione deve avere una rivista nella propria lingua.


    4. S. Massimiliano riconosce alla stampa anche la funzione di pubblicare le “grazie” dell’Immacolata (S.K., 1150, 1146).


    5. P. Kolbe affida alla stampa anche la funzione di stabilire un rapporto amichevole e sereno con i lettori, di entrare in contatto immediato con loro e dimostrare sincera volontà di dialogo, denunciando con chiarezza gli errori ed of-frendo indicazioni precise sulla verità da seguire e sulle norme di comporta-mento.

    Spesso nei suoi scritti racconta di incontri-scontri con varie persone senza lasciarsi intimorire. Così pure il suo stile letterario è conciso e chiaro; per questo vuole anche la rivista attraente e chiara.

    Da qui alcuni suggerimenti:

    a)


    b)


    c)

    scrivere nello spirito della M.I., che è la salvezza e la santificazione delle anime (S.K., 631);

    usare un tono amichevole con tutti, per favorire l’amore, il rispetto e la stima (S.K., 994);

    servirsi di alcuni accorgimenti che, se non sono essenziali, costituiscono sempre un “diverso” significativo (S.K., 1211).

    Insieme a tutti questi mezzi S. Massimiliano non trascura mai l’incontro diretto con la gente. Al contrario per lui si rende necessario un ‘bagno’ periodico con i fedeli sia per non trascurare le forme tradizionali di apostolato (conferenze, confessioni, missioni, ecc.), sia per poter conoscere meglio le varie e urgenti necessità della gente cui rispondere soprattutto con la stampa.

    In questo spirito ha un’importanza tutta particolare la vita delle città-con-vento dell’Immacolata: luoghi di intensa vita spirituale e di continua formazione, centri di programmazione e di attività, punti di partenza da cui raggiungere le regioni più lontane per diffondere l’amore all’Immacolata e poi rientrare per un’iniezione di vita spirituale e di fraternità. In questa prospettiva si pone la lettera del Ministro Generale in occasione del Capitolo straordinario del 1986 su: “L’eredità kolbiana” (3). Dice:“Le “Città dell’Immacolata” sono parti vive del-l’Ideale kolbiano e sono nate nella concezione del Santo con finalità ben chiare. Esse appaiono delineate e sintetizzate in una conferenza che p. Kolbe tenne alla vigilia della fondazione della Niepokalanów polacca: “...In quel nuovo convento la nostra consacrazione dovrà essere totale. La pratica religiosa vi dovrà fiorire in tutta la sua pienezza: praticheremo soprattutto l’obbedienza. Quello sarà un convento molto povero, poiché vivremo secondo lo spirito di S. Francesco. Ci sarà tanto lavoro, molti patimenti, ogni disagio. Osserveremo con tutto il rigore la nostra Regola, le Sante Costituzioni e tutte le prescrizioni dell’Ordine, perché Niepokalanów deve assolutamente essere modello di vita religiosa”.

    E’ sembrato perciò conveniente al Capitolo generale definire, da una visione critica e oggettiva degli scritti kolbiani, i punti nevralgici propri, insostituibili, di sostanza, sottolineati da S. Massimiliano per le “Città dell’Immacolata”.

    Tali valori sono:

    *   una vita francescana in piena fedeltà alla Regola e alle Costituzioni dell’Or-dine;

    *   totale dedizione all’Immacolata;

    *   un fedele e peculiare amore all’obbedienza e povertà evangelica;

    *   accentuato spirito di sacrificio;

    *   impegno apostolico per la promozione della M.I..

    In sintesi: alla base delle “Città dell’Immacolata” deve manifestarsi una vita francescana vissuta con integralità e coerenza, accettando gioiosamente tut-te le conseguenze degli impegni assunti mediante la professione dei voti religio-si nello spirito di una totale dedizione all’Immacolata.

    Quest’ esperienza all’interno di una Provincia e dell’Ordine deve aiutare ad elevare la qualità della vita di tutti, agendo da stimolo e mai discriminando o dividendo. E’ chiaro, infatti, che il dono che Dio ha fatto alla nostra Famiglia religiosa non può rimanere un fatto esterno di momentanea compiacenza. Deve, al contrario, agire in profondità, pungolandoci ad una fedeltà che è un dovere liberamente assunto al momento della professione religiosa”.

    Dopo aver esposto il pensiero di S. Massimiliano, leggiamo quanto ci propongono gli Statuti M.I. su quest’aspetto(4): 


    Art. 10 

    Tre sono i fronti di azione del milite dell’Immacolata: se stesso, l’ambiente, il mondo. Colui, infatti, che sceglie di far parte della M.I.:

    1° inizia la sua missione dalla conversione e santificazione perso-nale: la conquista di sé a Dio è il suo primo indispensabile atto;

    2° scorge poi nella famiglia, nei vicini, nel campo del suo lavoro e del suo tempo libero il terreno provvidenziale per evangelizzare con l’esempio, la buona parola e la diffusione della stampa;

    3° infine, poiché la M.I. è un movimento a dimensione ecclesiale, allarga il suo cuore ad ogni uomo e al mondo intero. 

    Art. 11



    Art. 12


    Art. 13








    Art. 14







    Art. 15









    Art. 16




    Art. 17





    Art. 18

    I membri della Milizia dell’Immacolata fanno propria la missione della Chiesa: “portare il Vangelo di Cristo come fonte di speranza per l’uomo e di rinnovamento per la società”.

    Riconoscendo nell’Immacolata la “creatura nuova”, la M.I. vede in Lei, perfetta discepola del Signore, il modello del credente.

    Lo specifico della M.I. consiste nel promuovere il mistero dell’Im-macolata Concezione, ossia: “seminare questa verità nei cuori di tutti gli uomini e curare l’incremento e i frutti di santificazione”, contribuendo alla formazione cristiana delle coscienze e alla nuova evangelizzazione. Maria, segno della vittoria sul male e sulla mor-te, per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza, men-tre viene predicata e onorata, chiama i credenti al Figlio suo, al suo sacrificio e all’amore del Padre.

    I Militi si impegnano, quindi, a comunicare l’amore all’Immacola-ta attraverso la testimonianza nei vari settori di attività sociale, permeando di spirito evangelico ogni realtà umana.

    Sono chiamati, pertanto, a svolgere con particolare dedizione ogni attività, a promuovere la tutela della vita, a servizio della dignità integrale della persona, proponendo i valori di fraternità, di giusti-zia e di solidarietà.

    Tutti i membri della M.I., consapevoli di essere sempre e dovunque missionari, sono tali nella misura in cui vivono l’unione con Cristo Redentore sull’esempio di Maria.

    Nel riconoscere che il vero missionario è il santo, pongono al primo posto i mezzi evangelici della preghiera, del sacrificio, della testimonianza di vita.

    Da p. Kolbe è raccomandata caldamente anche la diffusione della Medaglia Miracolosa, segno dell’attenzione materna di Maria verso i peccatori e occasione propizia per la loro conversione.

    Una presenza significativa nell’Associazione è costituita dalle per-sone che soffrono. La loro consacrazione all’Immacolata nell’of-ferta delle proprie sofferenze rende partecipe tutta l’Associazione al mistero redentivo di Cristo e rinnova l’impulso missionario.

    Particolare premura è riservata alla presenza dei giovani. Ogni Centro Nazionale si adopera per organizzare il Movimento Gio-vanile M.I. quale parte integrante dell’Associazione. Per tale Movimento il Direttorio nazionale disporrà uno specifico itinerario formativo e pastorale.

    I membri della M.I., ai sensi dell’art. 8, si avvalgono dei mezzi che p. Kolbe ha utilizzato con spirito profetico e francescano, divenen-do così apostoli “della penna, del microfono, dello schermo, o di qualsiasi altro mezzo” (S.K., 382) Essi operano:

    1° nell’ambito dell’evangelizzazione (annuncio della Parola, cate-chesi, attenzione al mondo giovanile, missioni popolari, corsi di formazione spirituale, di aggiornamento o di cultura mariana);

    2° sul piano della carità (promozione umana, attenzione ai bisogni emergenti);

    3° nei settori dei mass-media (attività editoriale, radiotelevisiva, informatica, ecc.).












































    6.     ORGANIZZAZIONE  DELLA M.I.








    Un ultimo argomento che vogliamo trattare in questa presentazione della M.I.. riguarda la sua organizzazione interna. 

    Premettiamo che ogni grande idea ha sempre bisogno di un minimo di struttura, di organizzazione per incarnarsi, per essere concreta. Questo fa parte della natura delle cose: siamo esseri incarnati, non puri spiriti.

    Gesù stesso ha seguito questa via: per rendere concreto, visibile, accessi-bile a tutti l’amore del Padre, si è fatto uomo come noi perché la sua vita e le sue parole restassero per sempre manifestazione concreta del piano di amore di Dio verso ogni uomo.

    Scrive S. Massimiliano: “Come in ogni aspirazione verso un ideale, così anche nella M.I. nessuna forma organizzativa appartiene strettamente all’es-senza, benché tali forme aiutino a coordinare gli sforzi tendenti al raggiungi-mento di uno scopo.

     Chi ha conosciuto l’Immacolata, l’ha amata, si è consacrato a Lei e si è consa-crato in modo così completo che non gli è rimasto né si è riservato più nulla;chi fa di tutto per divenire sempre più proprietà di Lei sotto ogni aspetto;  chi inoltre nella sollecitudine per il suo regno nelle anime, desidera che altri si consacrino a Lei e, da parte sua, fa tutto quel che può per raggiungere tale scopo e si preoc-cupa di non trascurare alcun mezzo, anche qualora ciò gli possa costare  molto e lo metta perfino di fronte alla necessità di suggellare il proprio ideale con il san-gue; anzi, per raggiungere la massima felicità, il vertice delle proprie aspirazio-ni, ritiene opportuno deporre l’offerta totale perfino della propria vita allo scopo di guadagnare a Lei tutte le anime, proprio tutte, dovunque esse siano, a qua-lunque nazionalità o razza appartengano e in qualunque tempo vivano ora o in futuro: costui, evidentemente, è un perfetto milite dell’Immacolata, anche se non ha mai sentito parlare dell’associazione della M.I. e non è stato iscritto in uno dei suoi registri”(S.K. 1332) (1).

    In questa pagina è descritto molto chiaramente che cosa intende S. Massimiliano per partecipazione alla M.I.

    Partendo dalla base della consacrazione all’Immacolata, che è l’essenziale della M.I., fin dagli inizi S. Massimiliano avvertì che non tutti gli iscritti alla M.I. potevano dedicarsi con uguale operosità alla causa dell’Immacolata. Tenendo presenti allora le possibilità di apostolato e di coinvolgimento,ha previsto tre mo-delli differenti o tre forme o gradi secondo i quali può essere vissuta la totale offerta di sé all’Immacolata: la M.I. di 1° grado o M.I. 1; la M.I. di secondo grado o M.I. 2; la M.I. di terzo grado o M.I. 3.


    LA   M.I.   1


    La M.I. 1 è costituita da coloro che realizzano le condizioni essenziali se-condo la pagella di iscrizione e vivono la consacrazione all’Immacolata nell’azio-ne individuale, secondo il proprio zelo e le proprie possibilità, ma senza assumer-si particolari impegni, mediante la partecipazione a circoli o gruppi M.I. o a iniziative apostoliche comunitarie.

    “M.I. 1: senza impegni, secondo il minore o maggiore zelo; azione individuale; senza eroismo; con limitazioni. Unione con la Sua volontà, adempimento della Sua volontà, secondo diverso zelo” (S.K., 1272).

    Alla M.I. 1 possono aderire tutti, anche membri di altre associazioni com-presi gli Istituti religiosi. Così la M.I. può entrare in ogni anima. Per appartenere alla M.I. 1 “è molto facile. Basta scriverci e subito noi spediamo la pagella d’i-scrizione e la medaglia miracolosa già benedetta e contemporaneamente faccia-mo l’iscrizione sul registro...Non c’è bisogno di pagare alcuna tassa per le pa-gelle d’iscrizione o per le medagliette. Per coprire le spese accettiamo solo offerte libere e spontanee, secondo le possibilità di chi le vuole mandare... Ogni membro della M.I. legga costantemente il “Cavaliere”, che dà una formazione secondo lo spirito della M.I.” (S.K., 1090).




    LA   M.I.    2


    Dopo i primi anni dalla fondazione, appena rientrato in Polonia, S. Massi-miliano sente il bisogno di creare “circoli mariani” per diverse categorie di fedeli, con statuti particolari e orientati a specifiche forme di attività apostoliche comunitarie.

     “M.I. 2: impegni a norma di uno statuto dell’associazione; azione collettiva; senza eroismo, con limitazioni. Unione, adempimento della Sua volontà pure a norma della statuto dell’associazione” (S.K., 1272).

    Chi assume tale forma di impegno viene a far parte della M.I. 2, la cui caratteristica è data proprio dall’azione sociale, dall’organizzazione, dal collega-mento organico con la sede primaria e gli altri centri M.I. La M.I. 2 è detta anche “Sodalizio della M.I.”(SMI).

    Questi “circoli” durante le loro riunioni 

    * regolano gli statuti propri;

    * eleggono il consiglio direttivo, che ha il compito di guidare i membri del sodalizio verso lo scopo prefisso;

    * danno vita alle sezioni per realizzare nel modo migliore i compiti spe-cifici” (S.K., 554).

    Per ogni circolo è previsto un sacerdote moderatore (S.K., 554).

    Scrivendo ad un circolo di Fratelli dice: “Voi dirigete bene la sezione fran-cescana della M.I. In realtà il vero scopo dell’intero circolo M.I. dei Fratelli...è questo: sviluppare la causa dell’Immacolata nel nostro Ordine e al più presto possibile: in poche parole, conquistare a Lei l’Ordine intero e ogni singolo mem-bro di esso” (S.K., 586).

    Suggerisce anche: “Quanto alle persone, la M.I. 2 si divide in circoli: 1) dei bambini (fino a 7 anni), 2) dei fanciulli (7-14), 3) delle fanciulle (7-14), 4) dei giovani (14-22), 5) delle giovani (14-22), 6) degli uomini (22 in poi), 7) delle donne (22 in poi)”. 

    Quanto ai mezzi, la M.I. 2 si può dividere nel modo più vario in circoli o sezioni di circoli ad es.: circoli di preghiera, di sofferenza, di diverse forme di attività: degli scrittori, degli artisti, degli attori teatrali, dei pittori, degli scultori, e via dicendo, degli insegnanti, degli operai, dei commercianti, ecc. “.

    “Quanto al luogo la M.I. 2 si può dividere in mondiale, nazionale e locale (quest’ultima può dividersi in base alle necessità, a motivo dell’estensione territoriale, in  diocesana, decanale, parrocchiale, ecc.). Saranno a capo di esse i rispettivi Centri o direzioni: generale (mondiale), nazionale, locale.” (S.K., 591).

    Della Direzione Generale e nazionale parla più precisamente in una lettera al Definitorio dell’Ordine (S.K., 666).

    Da quanto si è detto appare che la M.I. 2 è l’aspetto caratteristico per il quale la M.I. è stata riconosciuta e approvata come Associazione Pubblicala Internazionale. Come ogni associazione ha bisogno quindi anche di una struttura, per quanto minima, che garantisca la sua continuità e il suo sviluppo.

    Le indicazioni di S. Massimiliano riportate sopra sono state recepite e “codificate” nel Direttorio Nazionale per la M.I. in Italia, ora in via di revisione. In esso, nel capitolo riguardante l’organizzazione e il governo, ci viene presentato come si articolano i vari circoli o gruppi e l’intero corpo della M.I. in Italia.

    La struttura dell’Associazione prevede un Centro nazionale, i Centri regionali e le sedi locali.

    Il Centro nazionale è formato dal Presidente nazionale, dal-l’Assistente nazionale e dal Consiglio di presidenza.

    Il Consiglio di presidenza è formato dal Presidente, dall’Assistente, dal  vice-presidente, dal segretario, dall’economo, dai consiglieri, dal delegato CIMP per la M.I., dal direttore del Cavaliere.

    Il Presidente e il Consiglio vengono eletti ogni quattro anni dall’Assemblea nazionale che è composta dal Presidente e Consiglio in carica, dall’Assistente nazionale e dai presidenti e assistenti regionali.

    Sul modulo del Consiglio nazionale si costituiscono anche i consigli regionali e locali. Quindi ogni gruppo è chiamato ad esprimere il proprio Presidente, il vice-presidente, il segretario, l’economo e i consiglieri in base al numero dei membri del gruppo. A questi si affianca l’assistente nominato dai superiori.

    I membri del Consiglio locale sono eletti da tutti i membri del gruppo. 

    Compito del Consiglio ai vari livelli è quello di animare e portare avanti la vita. Per questo è bene che periodicamente i componenti si incontrino prima di tutto per creare tra di loro una unità sempre più profonda, conoscendosi e collaborando e poi per programmare e progettare ciò che serve alla crescita dell’Associazione. 

    Limitandoci al livello locale, l’ideale sarebbe che ogni gruppo potesse ritrovarsi settimanalmente, alternando i contenuti di ogni incontro: formativo, liturgico, fraterno, operativo… Comunque almeno ogni 15 giorni. Al consiglio locale il compito di pensare insieme come organizzare e vivere ogni incontro.

    Questo ci aiuta a capire che la M.I. 2 ha la sua caratteristica nella vita insieme, nella comunione, nell’amore reciproco tra le persone dei vari “circoli” in forza dell’amore all’Immacolata. Ciò che lega, che tiene insieme, che fa operare i membri dei circoli non sono le cose da fare (anche quelle sono im-portanti), ma prima di tutto l’amore all’Immacolata, il voler essere suoi piena-mente, per poter poi comunicare questa pienezza ai fratelli nelle varie attività che si svolgono. Sempre però deve precedere il richiamo all’essenziale: la consacra-zione all’Immacolata, da vivere insieme, pronti sempre a lasciare perdere i nostri progetti di attività e di apostolato, per scoprire quelli che vuole Maria, per fare non la nostra volontà, ma la sua.

    In questo esercizio continuo di morte e risurrezione, vissuto nella comunione, nell’amore reciproco, ci accorgeremo come l’Immacolata sarà all’opera al nostro fianco, operando frutti impensati(2). La vita di S. Massimiliano e della città dell’Immacolata sono la testimonianza più concreta di quanto ho detto.


    LA  M.I.   3


    Questo terzo grado della M.I. si realizza quando ci si consacra in modo illimitato all’Immacolata, con la disponibilità a gesti eroici, desiderosi di divenire come Lei. E’ la consacrazione senza limiti.

    “M.I. 3: illimitatezza della consacrazione; quindi anche eroicità d’azione e per-fezionamento illimitato; divenire Lei, come Ella è di Dio e Dio (in senso catto-lico), divinizzazione in Lei e attraverso Lei. Unione, adempimento perfetto della Sua volontà. La M.I. perfetta. Una forza senza limitazioni” (S.K., 1272).

    La M.I. 3 si precisa soprattutto dopo la fondazione di Niepokalanów, il convento-città, in cui i frati sono totalmente consacrati all’Immacolata, pronti sempre a tutto ciò che è bene per Lei: 

    “L’intera Niepokalanòw, ogni sua istanza e ogni suo abitante si consacra total-mente all’Immacolata come strumento nelle sue mani immacolate” (S.K., 1380).

    “Tutti coloro che lavorano a Niepokalanow sono, o almeno dovrebbero essere pronti a tutto per l’Immacolata...” (S.K., 588).

    “Tutti noi che viviamo a Niepokalanów abbiamo deposto nelle mani dell’Imma-colata la completa offerta di tutto ciò che possedevamo, anzi perfino l’offerta della nostra stessa persona, consacrandoci totalmente alla sua causa “ (S.K., 1218).

    Il donarsi totalmente all’Immacolata fino a diventare “sempre più Lei” è “tutta la filosofia” (S.K., 542) degli abitanti di Niepokalanów, o, come dice altrove, l’unico grande ideale: 

    “L’Immacolata: ecco il nostro ideale. Avvicinarci a Lei, renderci simili a Lei, permettere che Ella prenda possesso del nostro cuore e di tutto il nostro essere, che Ella viva e operi in noi e per mezzo nostro, che Ella stessa ami Dio con il no-stro cuore, che noi apparteniamo a lei senza alcuna restrizione: ecco il nostro ideale” (S.K., 1210) 

    Penso che questo terzo grado richieda una grazia particolare e una voca-zione particolare. Non è detto che Maria non faccia questo dono anche a qualcu-no di noi. Occorre quindi essere pronti ad accogliere questo invito, a rispondere generosamente e a pregare molto perché l’Immacolata faccia sorgere Comunità mariane maschili e femminili in tutte le nazioni.

    A questo proposito riporto una proposta fatta dal Ministro Generale nel 1982, che penso sia ancora valida(3): “Abbiamo a Roma l'ex Collegio Internazionale, ora "Casa Kolbe", in via S. Teodoro che, a mio parere, potrebbe essere valorizzato di più sulle finalità mariano-kolbiane. L'attuale Pontefice, il 15 ottobre 1977, co-sì si esprimeva su “Casa Kolbe”: "E' qui che Massimiliano Maria Kolbe ha sco-perto il mistero dell'Immacolata e lo ha scoperto non solo come la più grande bellezza dell'universo creato, ma soprattutto come una forza, un'energia poten-tissima, che egli voleva comunicare agli altri" (Card. Karol Wojtyla).

    Questo luogo dovrebbe essere trasformato in un Santuario-Centro di spiritualità kolbiana, con la nascita di una Comunità Mariana che viva l'impegno kolbiano e curi più attivamente lo sviluppo internazionale e nazionale della Milizia del-l'Immacolata.

    Ho sentito rivolti a me i velati rimproveri che P. Kolbe mandava da Nagasaki a due Assistenti Generali di allora: "Per conseguire lo scopo della Milizia dell'Im-macolata, ci vogliono religiosi a ciò completamente addetti, ci vogliono conventi e gruppi di conventi. I nostri tempi sono tempi di specializzazione, perché dun-que la specializzazione in questa cosa sarebbe pericolosa, quasi un altro Ordi-ne?... Laonde credo che l'Ordine come tale ha non solo il diritto, ma anche il do-vere di conseguire questo scopo e, nella misura di trascurarlo, ha anche la col-pa". (SK, 475). "Credo che molto dipende nella causa dell'Immacolata nel nostro povero Ordine, dal Generalato. Diriga tutto l'Immacolata stessa". (SK, 618).

    "Ci vogliono religiosi a ciò completamente addetti ...": Questo richiamo di Kolbe lo sento attuale e lo rilancio, con immensa fiducia, convinto che il fascino del "modello Kolbe" ha oggi la forza di entusiasmare ed impegnare molti nostri frati. Il suo ideale esercita una forte attrattiva sulla gioventù di oggi, e se noi vogliamo sviluppare la tematica vocazionale, non dobbiamo aver paura di pro-porre ai giovani le entusiasmanti idee kolbiane.

    "Credo che in ogni nazione debba sorgere una Niepokalanów, nella quale e at-traverso la quale l'Immacolata debba operare con tutti i mezzi, compresi quelli più moderni, perché le invenzioni dovrebbero servire prima a Lei e dopo per il commercio, l'industria, lo sport, ecc." (SK, 382).

    Indubbiamente il Santo Massimiliamo Maria Kolbe ha iniziato questa nuova pagina della nostra storia, ma noi cosa abbiamo fatto e cosa facciamo per con-tinuarla?

    Tutto il grande movimento mariano che egli ha suscitato attraverso le "Niepo-kalanów" e la Milizia dell'Immacolata è destinato a svilupparsi o a rimanere epopea e poema di un grande condottiero e sognatore?

    Sono domande queste che da molti anni attendono una risposta dall'Ordine, ed io credo che sia giunto il momento di darla”

    Anche in questo aspetto vogliamo tenere presente quanto ci indicano gli Statuti della M.I.(4).


    Art. 19. Essenziale per l’appartenenza alla M.I. è il totale affidamento, cioè la consacrazione di sé all’Immacolata: anima e corpo, capacità umane e beni spirituali.

    Nessuno può essere iscritto alla Milizia dell’Immacolata senza adegua-ta preparazione, a norma del Direttorio nazionale.

    Il rito d’iscrizione viene celebrato secondo le modalità del luogo, evi-denziando i due aspetti essenziali: l’atto di consacrazione e l’imposi-zione della Medaglia miracolosa.

    L’atto viene trascritto nel registro dell’Associazione presso un Centro o una Sede giuridicamente eretti.


    Art. 20. Secondo le indicazioni di P. Kolbe, nella M.I. la consacrazione può essere vissuta:

    1° singolarmente e spontaneamente, secondo lo statuto originale redat-to dal fondatore medesimo. E’ la M.I.1.

    2° in forma associativa, a norma dell’art. 1 dei presenti Statuti. E’ la M.I.2.

    3° in maniera totale e incondizionata, in organismi legittimamente autonomi, dediti in maniera esclusiva alla causa dell’Immacolata. E’ la M.I.3. E’ il caso delle Città dell’Immacolata, dei Centri direttivi, delle Case mariane, degli Istituti e Congregazioni maschili e femminili d’ispirazione kolbiana.


    Gli altri articoli dal 21 al 46 sono di carattere tecnico riguardanti le strut-ture dell’Associazione e cioè i vari Centri, come sono composti, quali sono i loro compiti, quali sono i compiti delle persone che formano questi Centri, l’aspetto amministrativo, ecc.


    Così avrei concluso questa presentazione organica della Milizia dell’Im-macolata nei suoi vari aspetti e con la speranza che sia di giovamento anche a voi. 






















    NOTE

     PREMESSA 

    ● (1)     Cf. SK 390.

    • (2)    Analisi degli scritti di p. Kolbe e loro valorizzazione teologica, in F. S. Pancheri, OFMConv (a cura), La mariologia di s. Massimiliano Kolbe, Atti del Congresso Internazionale, Roma 8-12 ottobre 1984, ed. Miscellanea Francescana, Roma 1985, pp. 327-381. In seguito citeremo quest'opera con l'abbreviazione ACI.

     •(3)     Cf. SK 1-961. Al numero di 961 vanno aggiunte le 67 contraddistinte con il

                numero progressivo e la lettera a, b, ecc. Per esempio: 30a, 30b.  

    • (4)     Cf. ad esempio SK 486. 

    • (5)     Cf. SK 962-86.

    • (6)     Cf. SK 987

    ● (7)     Cf. G. Simbula, OFMConv, Profilo umano e spirituale del giovan  fra  Mas- 

                similiano Kolbe, in Miles Immaculatae, XXVIII, fasc. I (1992) 81-2. 

    • (8)     SK 988.

    • (9)     SK 989 A, 20 agosto Ì921.

    • (10)   Cf. SK 991 R, 26 aprile 1933. 

    • (11)   Cf. SK 991,14 aprile 1933. 

    • (12)   Cf. SK 991 Q, 23 aprile 1933. 

    • (13)   Cf. SK 993-1246. 

    • (14)   Cf.SK 994. 

    • 15)    Cf. SK 998. 

    • (16)   Cf. SK 995; 1001. 

    • (17)   Cf. SK 1004. 

    • (18)   Evangelii  Nuntiandi, 41. 

    • (19)   Cf. SK 996. 

    • (20)   Cf. SK 1002. 

    • (21)   Cf. SK 1247-1303.  

    • (22)   Cf.SK 1247. 

    • (23)   Cf. SK 1294. 

    • (24)   Cf. SK 1251-3, e altri pezzi. 

    • (25)   Cf. ad esempio SK 1282, 1286, 1288, 1291.  

    • (26)   Cf. SK 1283, 1284, 1285.  

    • (27)   Cf. SK 1304-1334.  

    • (28)   Cf. SK 455: "A volte mi vien la voglia di scrivere qualcosa di più  (un opuscolo) 

                  sulla Madre di Dio e la dogmatica, ma in modo più profondo e più semplice, più 

                    facile. Ma  l'Immacolata lo gradisce?”  

    • (29)   Cf. SK 804. 

    • (30)   Cf. SK 1335-1367. A questi vanno aggiunti 135la, 1354a, 1359a, 1362a. 

    • (31)   Cf. SK 1342.  

    • (32)   Cf. SK 1368-1385. 

    • (33)   Cf. SK 1373. Qui si rimanda al n. 666. 

    • (34)   Cf. SK 1370-1372.  

    • (35)   Cf. SK 1386-1388.  

    • (36)   Processo ord. patavino, f. 162, in L. Di FONZO, ACI, 63-4. 

    • (37)   SK 988 D, 22 novembre 1918.

    CAPITOLO I°

    ● (1)     Cf. F.S.Pancheri, Massimiliano Kolbe santo del secolo, EMP.,   Padova 1982, pp. 25ss.

    . (2)    Cf. A. Ricciardi, Padre Massimiliano Kolbe, Post. Generale, Roma 1960, pp. 7-8.

                Cf. Pancheri, o.c., pp. 29ss.

    ●  (3)     Cf. P. Treece, Massimiliano Kolbe il santo di Auschwitz, ed. Immacolata,  Bo 1996, pp. 12-13.

    ● (4)     Cf. P. Treece, o.c., p. 14-15.

    ●  (5)     Cf. P. Treece, o.c., p15.

    ● (6)     Cf. P. Treece, o.c., p. 16.

    ●  (7)     Cf. F. Pancheri, o.c., pp. 9ss;  ACI., pp. 37ss.

    ● (8)     Cf. P. Treece, o.c., pp. 25-26.

    ● (9)     Cf. F. Pancheri, o.c.,pp. 7, 12ss,; ACI., pp. 23ss.

    ● (10)   Cf. ACI., pp. 240ss.

    ●  (11)   Cf. G. Simbula, La Milizia dell’Immacolata, natura, teologia, spiritualità, ENMI, Roma 1991, pp.24-25.

    ● (12)   Viene spontaneo accostare questo sentire di Massimiliano, all’esperienza di Francesco d’Assisi nell’incontro con il Crocifisso di S. Damiano. Anch’egli non sa cosa fare per rispondere all’invito del Crocifisso e comincia a restau-rare materialmente le chiese di Assisi. Poi comprenderà che Dio vuole qualcos’altro da lui. Così Massimiliano, nel suo ardore giovanile, pensa di dover combattere materialmente, con armi, per la sua “Dama”.   Sarà Lei a manifestargli quale sarà la lotta che deve sostenere  per Lei. E Massimiliano andrà fino in fondo donando la sua  vita per un fratello.

    ● (13)   Cf. G. Simbula, o.c.,p.27.

    ● (14)   Cf. P. Treece, o.c.,pp.214-225.

    ● (15)   Cf. G. Simbula, o.c., pp.31ss; Miles Immaculatae, XXXIV (1) 

                 1998, pp.129-163.

    CAPITOLO II°

    ● (1)     Non è semplice presentare la visione teologica-mariologica di S. Massimiliano, che sta alla base della spiritualità della Milizia  dell’Immacolata. Come si sottolinea anche nel testo, il Santo non  ha avuto la possibilità di farne una esposizione sistematica, anche se era suo desiderio. Per questo infatti 

                  aveva predisposto  una schema: “Per un libro” di cui ha sviluppato solo alcuni punti e non compiutamente.

                  Mi sono servito perciò di studi sull’argomento, svolti da specialisti, molto più competenti di me, così come è indicato di seguito in queste note.

    ● (2)   Cf. Giovanni Paolo II°, Rosarium Virginis Mariae, Lettera apostolica sul Rosario, Ed. Paoline Mi, 2002 pp. 13ss.

    ● (3)   Cf. AA.VV., Dizionario Francescano, EMP 1983, alla voce: “Maria”; G. Iammarrone, La Spiritualità francescana, EMP. 1993, pp. 93ss.

    ● (4)   Cf. Miles Immaculatae, XXIX (2) 1993, pp. 278-290.

    ● (5)   Cf. ACI., pp. 280ss.

    ● (6)   Cf. ACI., pp. 417-476: ho sintetizzato e rielaborato, con altri piccoli apporti, lo studio di F. Pancheri, che ho trovato sufficientemente completo, organico e semplice   sull’argomento in questione. Cf. anche F. Pancheri, o.c., pp. 190-217.

    ● (7)   Cf. ACI:, p.455.

    ● (8)   Cf. ACI., p. 460-461.

    ● (9)   Cf.  Miles Immaculatae, XXXIV (1), 1998, pp. 129-163.

    ● (10) Cf. Miles Immaculatae, XXXIV (1), 1998, p. 13.

    CAPITOLO  III°

    ● (1)   Cf. AA.VV., Nuovo Dizionario di Mariologia, EP. Mi 1986, alla voce: “Consacrazione”, pp. 394-398.

    ● (2)   Cf. Idem, pp. 398-406.

    ● (3)   Cf. Idem, pp.406-411.

    ● (4)   Cf. Idem, p. 409.

    ● (5)   Cf. G. Simbula, o.c., pp. 87ss; ACI, pp 477-501.

    ● (6)   Cf. AA.VV., Nuovo Dizionario, pp.412ss.

    ● (7)   Cf. C. Lubich, Cristo dispiegato nei secoli, Città Nuova 1994, p. 195ss; L. M. Salierno, “Maria” negli scritti di C. Lubich, Città Nuova 1993, pp. 132-140; Unità e Carismi, Città Nuova, 3-4  2003, pp. 23-29; Unità e Carismi, Città Nuova, 5 2008, pp. 11-16.

    ● (8)   Cf. G. Brioschi (a cura), La Medaglia miracolosa, ed. Shalom, An 2005, pp. 74-95.

    ● (9)   Cf. Miles Immaculatae, XXXIV (1), 1998, pp. 14-16.

    CAPITOLO  IV°

    ● (1)   Cf. F. Pancheri, o.c., pp. 41-42; ACI., pp.628-643.  

    ● (2)   Cf. G. Lubich, Numero 16670, EMP 1971, p 50.

    ● (3)   Idem, p. 50.

    ● (4)   F. Pancheri, o.c., pp. 98-100.

    ●  (5)   Cf. Giovanni Paolo II°, Novo Millennio Ineunte, EDB Bo 2001,  nn. 29-41.

    ● (6)   Cf. Miles Immaculatae, XXXIV (1) 1998, p. 14.

    CAPITOLO V°

    ●  (1)  Cf. ACI., pp. 689-694. 

    ●  (2)  Cf. ACI:, pp. 694ss.                

    ●  (3)   Cf. Commentarium O.F.M.Conv., LXXXIII (1) 1986, pp. 288-289.  

    ●  (4)  Cf. Miles Immaculatae, XXXIV (1) 1998, pp. 16-18. 

    CAPITOLO  VI°

    ● (1)   Mi sembra che non ci sia definizione migliore e più completa di questa su chi è il “Milite”. Appare chiaro che non si tratta tanto di “cose da fare”, di strutture, o altro, ma è soprattutto un “essere”, uno stile di vita, una convinzione, una realtà di anima che si concretizza in un rapporto vitale con Maria Immacolata, specchio nel quale ravvisare la propria fisionomia di seguace di Cristo e del modo di esserlo.

    ● (2)   Cf. Giovanni Paolo II°, Novo Millennio Ineunte, EDB. Bo 2001, nn.42-45. Vi è qui il richiamo forte e primario del Papa alla comunione nella Chiesa, ad una spiritualità di comunione, che è l’amore reciproco sul quale solo riceve consi-stenza la nostra vita e testimonianza cristiana, come ha detto Gesù. “Da questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri (Gv. 13, 35).

    ● (3)   Cf. Commentarium O.F.M.Conv., LXXIX (3-4) 1982, pp. 355-358. 

    ●  (4)   Cf. Miles Immaculatae, XXXIV (1) 1998, p.19.

    APPENDICE I° 

    ● (1)   Cf. J.F.de Louvencourt, S. Massimiliano Kolbe amico e dottore della preghiera, ed.C.I.M.I., Roma 2002, pp. 601-610.

























    BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE








    S. MASSIMILIANO KOLBE, Scritti, ENMI Roma, 1997.

    AA. VV., La mariologia di S. Massimiliano Kolbe, Atti congresso, Miscellanea Francescana Roma, 1985.

    GIUSEPPE SIMBULA, La Milizia dell’Immacolata, ENMI Roma, 1991.

    FRANCESCO SAVERIO PANCHERI, Massimiliano Kolbe, EMP Padova, 1982.

    PATRICIA TREECE, Massimiliano Kolbe,  EI Bologna, 1996.

    MILIZIA DELL’IMMACOLATA, Statuti Generali, Centro Internaz. M.I. Roma, 1998.

    GIOVANNI IAMMARRONE, La Spiritualità francescana: anima e contenuti fondamentali, EMP Padova, 1993

    AA. VV., Fonti Francescane, EMP Padova, 1980

    LEONOR MARIA SALIERNO, “Maria” negli scritti di Chiara Lubich, Città Nuova,1993, pp.132-140

    UNITA’ e CARISMI, n. 3-4/2003, pp. 23-29; 5/2008, pp11-16.

    NUOVO DIZIONARIO DI MARIOLOGIA, Ed Paoline, Mi 1986.














    APPENDICE  I° (1) 








    1      L’infanzia


    1894    8 gennaio: Raimondo nasce a Zdunska Wola, in Polonia, provincia di Lodz, allora sotto la dominazione russa. E’ il secondo dei cinque figli (due moriranno in tenera età) di Giulio Kolbe e Maria Dabrowska. Viene battezzato lo stesso giorno nella chiesa parrocchiale dell’Assunta.

    1895    oppure 1896: la famiglia Kolbe lascia Zdunska Wola e va a stabilirsi a Lodz (per un anno) dove nasce il terzo figlio, Giuseppe (il futuro p. Al-fonso); quindi a Jutrzkowice (località vicino a Pabianice che appartiene alla parrocchia di S. Matteo) ove nasce il quarto figlio, Valentino; e infine si trasferisce a Pabianice.

    1902    29 giugno: Raimondo riceve la prima Comunione nella chiesa parrocchia-le di S. Matteo a Pabianice.

    1904   (molto probabilmente): la Vergine gli mostra due corone, una bianca a simbolizzare la purezza e l’altra rossa a significare il martirio.

    1906-1907 frequenta la scuola commerciale di Pabianice.

    1907    in prossimità della Pasqua, la predica di P. Pellegrino Haczela a Pabia-nice spinge Raimondo e suo fratello Francesco a chiedere l’ammissione nel seminario minore dei Frati Minori Conventuali di Leopoli (Lwòw).

    18 agosto: riceve la cresima nella chiesa dell’Assunta a Zdunska Wola.


    2.      L’ingresso nei Frati Minori Conventuali

    1907    settembre: Raimondo e suo fratello Francesco entrano nel piccolo semina-rio dei Frati Minori Conventuali di Leopoli.

    1908   Maria Kolbe, con il consenso del marito, si ritira nel convento delle Bene-dettine di Leopoli e dal 1913 (come terziaria e oblata) presso le Suore Feliciane di Cracovia.

    1910     4 settembre: Raimondo prende l’abito, riceve il nome di Massimiliano e inizia il suo noviziato.

    1911     5 settembre: emette la professione temporanea a Leopoli nelle mani del Ministro Provinciale, p. Haczela.

    1912     4 luglio: lascia Leopoli per trascorrere le vacanze estive nel convento di Kalwaria Paclawska.

    Settembre: viene inviato a Cracovia, al seminario maggiore della sua Provincia, dove viene poi scelto per andare a frequentare gli studi superiori a Roma.

    28 ottobre: partenza per Roma.


    3.      Gli studi a Roma


    1912     30 ottobre: arriva a Roma al Collegio Serafico Internazionale.

    10 novembre: inizia gli studi di filosofia all’Università Gregoriana.

    1913    in quest’anno e l’anno seguente, passa le vacanze estive nel convento di Zagarolo presso Roma.

    1914    28 luglio: l’Austria dichiara guerra alla Serbia ed è l’inizio della prima guerra mondiale.

    Agli inizi della guerra muore Giulio Kolbe: fatto prigioniero dai Russi, viene giudicato per direttissima e giustiziato per tradimento (con ogni probabilità impiccato).

    1 novembre: f. Massimiliano emette la sua professione solenne nelle mani del Vicario generale dell’Ordine, p. Domenico Tavani e aggiunge al suo nome di Massimiliano quello di Maria.

    1915    4 maggio: l’Italia rompe la Triplice Alleanza e si ritrova in guerra contro l’Austria. F. Massimiliano si trasferisce al convento di S. Francesco nel-la repubblica di S. Marino per circa un mese, il tempo di sbrigare le pratiche per il suo passaporto russo, grazie al quale potrà restare in Italia.

    22 ottobre: ottiene il dottorato in filosofia all’Università Gregoriana.

    4 novembre: inizia gli studi di teologia alla Facoltà pontificia S. Bonaventura.

    1916    21 settembre: dopo tre anni di rettorato di p. Luigi Bondini, diventa ret-tore del Collegio Serafico Internazionale P. Stefano Ignudi.

    1917     20 gennaio: nel giorno del 75° annniversario dell’apparizione dell’Imma-colata ad Alfonso Ratisbonne, fra Massimiliano formula il progetto di fondare un movimento mariano di preghiera e d’azione.

    Nell’estate viene colpito da una grave crisi di emotisia.

    24 settembre – 10 ottobre: viene mandato a riposare a Viterbo.

    16 ottobre: con sei confratelli del Collegio Serafico fonda la Milizia dell’Immacolata (M.I.).

    28 ottobre: è ordinato diacono.

    1918    28 aprile: è ordinato sacerdote dal Cardinale Basilio Pompili nella chiesa di S. Andrea della Valle.

    29 aprile: celebra la sua prima Messa nella chiesa di S. Andrea delle Fratte all’altare dove l’Immacolata era apparsa ad Alfonso Ratisbonne nel 1842.

    17 luglio – 29 ottobre soggiorna ad Amelia.

    18 ottobre: p. Antonio Glowinski, confondatore della M.I., muore a 27 anni di “febbre spagnola”.

    31 ottobre: f. Antonio Mansi, confondatore della M.I., muore a 23 anni colpito, anche lui, dalla “febbre spagnola”

    1919     28 marzo: su richiesta di mons. Dominique Jaquet, il Papa Benedetto XV benedice , a viva voce, la M.I.

    4 aprile: il Vicario Generale dell’Ordine, p. Domenico Tavani, benedice e conferma per iscritto la M.I.

    24 maggio: p. Massimiliano termina i suoi esami per il dottorato in teologia.

    4 giugno – 9 luglio: si reca al convento di S. Francesco a Ravello. Da lì va a Salerno, Scala, Amalfi e Portici.

    11 – 14 luglio: si reca prima ad Assisi e poi, il 14, a Loreto.

    22 luglio: riceve il dottorato in teologia, che gli viene conferito solenne-mente nel Collegio Serafico Internazionale.

    23 luglio: p. Massimiliano lascia Roma e fa ritorno in Polonia.


    4.      Il ritorno a Cracovia


    1919     29 luglio: arriva a Cracovia.

    16 – 30 agosto: si reca a Radomsko, Czestochowa, Zdunska Wola, Pabianice.

    ottobre: comincia ad insegnare storia della Chiesa nel seminario dei Frati Minori Conventuali di Cracovia.

    20 dicembre: l’arcivescovo di Cracovia, Mons. Adam Stefan Sapieha, dà il permesso di pubblicare lo statuto della M.I. per la Polonia.

    1920    18 giugno – 22 luglio: p.Massimiliano soggiorna a Leopoli per sostituire p. Venanzio Katarzyniec, maestro dei novizi, ammalato.

    11 agosto: entra nel sanatorio di Zakopane per curarsi dalla tubercolosi e vi rimane più di 8 mesi.

    1921   29 aprile: lascia Zakopane e si ferma qualche giorno a Cracovia. Il 4 maggio arriva a Nieszawa dove trascorre la convalescenza.

    5 novembre: è di ritorno a Cracovia.

    1922    2 gennaio: Il card: Basilio Pompili promulga il decreto di approvazione della M.I.

    gennaio: appare il primo numero del “Rycerz Niepokalanej”, con una tiratura di 5.000 copie.

    3 agosto – 2 settembre: p. Massimiliano è a Maszna Dolna.

    19 ottobre: lascia Cracovia e passa da Varsavia prima di andare a Grodno.


    5.      Gli anni di Grodno


    1922     20 ottobre: arriva a Grodno per pubblicarvi il “Rycerz Niepokalanej”.

    27 novembre: va a Cracovia per l’acquisto della prima macchina tipografica.

    1923    29 marzo: si reca per la prima volta al santuario mariano d’Ostra Brama a Wilno.

    1924   16 – 22 agosto va a Varsavia e a Czestochowa e poi a Cracovia per il Capitolo Provinciale.

    1925     dicembre: suo fratello, p. Alfonso, lo raggiunge a Grodno.

    1926     18 settembre: p. Massimiliano inizia un nuovo soggiorno nel sanatorio di Zakopane dove resta per circa sette mesi.

    20 novembre: Papa Pio XI invia la sua benedizione al “Rycerz Niepoka-lanej” in occasione del quinto anniversario della sua fondazione.

    18 dicembre: Papa Pio XI accorda delle indulgenze alla M.I.

    1927     13 aprile p. Massimiliano termina la sua cura a Zakopane.

    23 aprile Papa Pio XI eleva la sede della M.I. situata nel Collegio Sera-fico Internazionale di Roma a “Sedes primaria”, cioè come sede centrale per tutta la M.I., conferendole quindi la facoltà di aggregarsi le filiali erette da vescovi.


    6.      Il periodo di Niepokalanów



    1927   11 – 12 luglio: inizio delle trattative con l’amministratore del principe Giovanni Drucki Lubecki, quindi con lo stesso principe, per la conces-sione del terreno situato a Teresin (40 chilometri da Varsavia) e che accoglierà il convento–casa editrice che verrà chiamato “Città dell’Im-macolata”o “Niepokalanów”

    21 luglio: il Capitolo provinciale di Cracovia, presieduto dal Ministro Generale, dà il suo beneplacito per la fondazione di Niepokalanów.

    6 agosto: benedizione della statua dell’Immacolata come “prima pietra” di Niepokalanów.

    5 ottobre: inizio dei lavori di costruzione.

    31 ottobre: erezione canonica di Niepokalanów.

    20 novembre: p. Massimiliano e i suoi confratelli lasciano Grodno per arrivare il giorno dopo a Niepokalanów.

    7 dicembre: benedizione di Niepokalanow per opera del Ministro Provinciale p. Cornelius Czupryk. La comunità conta in quel momento 20 membri con p. Massimiliano come superiore.

    1928   21 luglio: il noviziato dei frati viene trasferito da Leopoli a Niepoka-lanów.

    1929     20 giugno: p. Girolamo Biasi, confondatore della M.I., muore a 31 anni di tubercolosi.

    19 settembre: apertura a Niepokalanów del seminario minore per le missioni.

    1930   14 gennaio: in previsione della fondazione di una missione in Estremo Oriente, p. Kolbe intraprende un pellegrinaggio visitando Vienna, Orvie-to, Roma, Padova, Assisi, Genova, Torino, Marsiglia, Lourdes, Parigi (Rue de Bac), Lisieux, Strasbourg, Ausgbourg, Berlino, Torun.

    6 febbraio: è di ritorno a Niepokalanow.

    26 febbraio: parte per l’Estremo Oriente con quattro confratelli e passa per Vienna, Padova e Roma.

    7 marzo: i cinque si imbarcano a Marsiglia. Scali principali saranno: Port-Said, Gibuti, Colombo, Singapore, Saigon, Hong-Kong e Shangai dove si fermerà una dozzina di giorni.


    7.      Il Soggiorno in Giappone


    1930     24 aprile: arrivo a Nagasaki.

    24 maggio: viene pubblicato il primo numero di “Mugenzai no Seibo no Kishi” con una tiratura di 10.000 esemplari.

    12 giugno: p. Massimiliano parte per la Polonia (prendendo la Transibe-riana) per partecipare al Capitolo Provinciale a Leopoli e arriva il 4 luglio a Niepokalanów.

    24 luglio: il Capitolo Provinciale conferma p. Massimiliano superiore della missione giapponese.

    13 – 25 agosto: ritorna a Nagasaki attraverso la Russia, la Siberia e la Corea.

    15 ottobre: rescritto della Congregazione dei Religiosi per l’erezione canonica di una città dell’Immacolata a Nagasaki.

    7 dicembre: apprende la notizia della morte di suo fratello, p. Alfonso, avvenuta in modo brutale a Varsavia il 3 dicembre.

    1931   16 maggio: p. Massimiliano e i suoi confratelli lasciano la casa affittata nei pressi della cattedrale di Nagasaki per trasferirsi a Mugenzai no Sono (il “giardino dell’Immacolata”) ai piedi del monte Hikosan.

    1932    11 febbraio: esce per la prima volta a Padova la rivista mensile “Il Cava-liere dell’Immacolata”.

    26 marzo: p. Massimiliano e i suoi confratelli pronunciano il quarto voto con il quale si impegnano ad essere disposti a tutto per l’Immacolata, anche ad essere inviati nelle missioni più difficili.

    29 maggio – 24 luglio va in India per studiare la possibilità di fondare lì una terza Niepokalanów.

    8 dicembre: l’arcivescovo di Verapoly dà il suo consenso per una fonda-zione in India.

    1933   7 aprile: p. Massimiliano ritorna in Europa via mare per partecipare al Capitolo Provinciale, che si terrà a Cracovia.

    14 maggio: assiste alla beatificazione di Gemma Galgani a Roma.

    Maggio: esce per la prima volta il “Rycerzyk Niepokalanej” – mensile per bambini – che, cinque anni più tardi, avrà una tiratura di 165.000 esemplari.

    Giugno: p. Massimiliano gira diverse città della Polonia per tenere delle conferenze sulla missione giapponese.

    17 – 20 luglio: prende parte al Capitolo Provinciale, che nomina p. Cor-nelius Czupryk superiore di Mugenzai no Sono. P. Massimiliano rimane con la redazione del Kishi e con la M.I. nel mondo.

    4 – 7 settembre: ripassa da Padova, Roma e Assisi.

    9 settembre: si imbarca a Venezia.

    4 ottobre: arriva a Nagasaki.

    1934     24 gennaio: l’arcivescovo di Tokyo fa visita a p. Massimiliano.

    1935    27 maggio: appare per la prima volta a Niepokalanów un quotidiano, il “Maly Dziennik”, che supererà, nel 1939, il traguardo di 135.000 copie nei giorni lavorativi e 250.000 la domenica.

    1936     16 aprile si apre il seminario minore di Mugenzai no Sono.

    23 maggio: p. Kolbe lascia (definitivamente) il Giappone e viaggia in nave a Genova, passando per Manila. Prosegue, quindi, in treno fino in Polonia.


    8.      Il secondo periodo di Niepokalanów


    1936      23 giugno: è di ritorno a Niepokalanów.

    13- 16 luglio: partecipa al Capitolo Provinciale di Cracovia, dove è nominato guardiano di Niepokalanów.

    8 dicembre: su iniziativa di p. Massimiliano, consacrazione dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali all’Immacolata.

    1937    10 gennaio: ad alcuni confratelli confida che gli è stato promesso il para-diso.

    20 gennaio: parte per l’Italia (Roma, Piglio, Assisi), il viaggio durerà meno di un mese, sia per riorganizzare la M.I., sia per partecipare alle riunioni che si terranno in occasione del 20° anniversario della sua fondazione.

    8 dicembre: parla alla Radio Vaticana in occasione del 10° anniversario della fondazione di Niepokalanów.

    1938   2 febbraio: parla ancora alla Radio Vaticana delle attività di Niepoka-lanów.

    Febbraio: esce per la prima volta la rivista “Miles Immaculatae”, mentre il “Rycerz Niepokalanej” continua a progredire: partito da 50.000 copie nel 1922, nel 1928 supera le 100.000 copie, arriva a 500.000 nel 1932 ed a 1.000.000 nel 1938.

      6 – 10 marzo: va a Berlino e a Lipsia.

    6 agosto: primo pellegrinaggio della comunità di Niepokalanów a Czestochowa.

    8 dicembre: prima trasmissione dell’emittente radio di Niepokalanów.

    1939     23 – 26 maggio: p. Massimiliano si reca in Lettonia per studiare la possi-bilità di fondarvi una nuova Niepokalanów.

    25 agosto: dal Capitolo provinciale di Cracovia viene confermato guar-diano di Niepokalanów.

    Settembre: la comunità di Niepokalanów conta più di 750 membri: 609 frati, 13 sacerdoti, 15 chierici-novizi e 120 seminaristi.


    9.      La guerra


    1939   1° settembre: l’armata tedesca invade la Polonia, segnando l’inizio della seconda guerra mondiale.

    5 settembre: per ordine dei superiori la maggior parte dei frati di Niepo-kalanów si disperde, ma p. Massimiliano resta con una cinquantina di religiosi.

    17 settembre: dopo i bombardamenti dei giorni precedenti, le truppe te-desche occupano Niepokalanów e saccheggiano tutto fuorchè il materiale della tipografia, sul quale vengono apposti i sigilli.

    19 settembre: primo arresto di p.Massimiliano assieme ad altri 35 frati. Successivamente vengono tutti detenuti nei campi di Lamsdorf, Amtitz e Ostrzeszow.

    8 dicembre: liberazione di p. Massimiliano e degli altri confratelli.

    1940    Niepokalanów accoglie a migliaia gli espulsi dalla Polonia occidentale, fra i quali molti ebrei.

    20 novembre: su richiesta di p.Kolbe, le autorità tedesche danno il per-messo di stampa per un solo numero del “Rycerz Niepokalanej”.

    1941   17 febbraio: secondo arresto di p. Massimiliano, che viene portato nella prigione di Pawiak di Varsavia con altri quattro Padri, tra i quali p. Pius Bartosik e p. Antonin Bajawski, che saranno proclamati beati il 13 giugno 1999.

    28 maggio: dalla prigione di Pawiak viene deportato al campo di con-centramento d’Oswiecim (Auschwitz) dove gli viene attribuito il numero 16670.

    Fra il 28 luglio ed il 1° agosto: prende volontariamente il posto di un pa-dre di famiglia, Francesco Gajowniczek, condannato a morte per rappre-saglia in seguito alla fuga di un detenuto e rinchiuso nel bunker della fa-me con altri nove detenuti.

    14 agosto: p. Massimiliano viene ucciso con un’ iniezione endovenosa di fenolo nel braccio sinistro.

    15 agosto: il suo corpo è bruciato in uno dei forni crematori del campo e le sue ceneri disperse..


    10.      Il riconoscimento universale


    1948     7 aprile: il vescovo di Nagasaki, mons. Paul Yamaguchi, è il primo di tutti i vescovi a scrivere a Papa Pio XII per chiedergli di elevare p. Mas-similiano all’onore degli altari.

    24 maggio: si apre a Padova il processo di informazione in vista della beatificazione di p. Massimiliano.

    1954    3 ottobre: consacrazione della chiesa di Niepokalanów, dedicata all’”Im-macolata Mediatrice di tutte le grazie” e che diventerà il secondo san-tuario mariano dopo Czestochowa.

    1955     12 maggio: decreto d’approvazione degli scritti di p. Masssimiliano.

    1959    12 marzo: concistoro pubblico durante il quale viene esposta in presenza di Papa Giovanni XXIII la causa di beatificazione di p. Massimiliano.

    1960   16 marzo: Papa Giovanni XXIII decreta l’introduzione della causa di beatificazione di p. Massimiliano.

    1961    23 settembre: si apre a Padova il processo apostolico, che viene istruito a Padova, Cracovia, Varsavia, Nagasaki e Trenton ( Stati Uniti).

    1964     6 giugno: decreto di validità del processo apostolico.

    1965    13 novembre: su richiesta comune dei vescovi polacchi e tedeschi, Papa Paolo VI accorda la dispensa del canone 2101 del Codice di Diritto Canonico, permettendo così di iniziare la discussione sull’eroicità delle virtù di p. Massimiliano prima che siano passati cinquant’anni dalla sua morte.

    1969    30 gennaio: sessione generale della Congregazione dei Riti alla presenza di Papa PaoloVI. A conclusione della sessione, il Santo Padre promulga, immediatamente ed eccezionalmente, il decreto sull’eroicità delle virtù di p. Massimiliano, che diventa così venerabile.

    1971     14 giugno: decreto per l’approvazione dei miracoli.

    17 ottobre: nell’anniversario della fondazione della M.I. e durante il Si-nodo dei Vescovi sul sacerdozio ministeriale, Papa Paolo VI presiede personalmente nella basilica di S. Pietro la cerimonia solenne, durante la quale proclama p. Massimiliano beato.

    1978    5 novembre: per la prima volta in quel giorno ad Assisi e poi il 7 giugno 1979 ad Auschwitz, il 10 ottobre 1982 nella sua Lettera decretale, il 13 ottobre 1982 a Roma, il 18 giugno 1983 a Niepokalanów, il 19 agosto 1985 a Casablanca e il 26 febbraio 1994 a Roma, Papa Giovanni Paolo II definisce p. Massimiliano “patrono del nostro difficile secolo”.

    1982    24 maggio: Papa Giovanni Paolo II tiene un concistoro durante il quale viene presentata la causa di canonizzazione di p. Massimiliano

    5 giugno: i vescovi della Polonia e della Germania scrivono insieme al Papa per chiedergli che p. Massimiliano venga venerato come martire.

    10 ottobre: alla fine dell’anno consacrato a S. Francesco d’Assisi, nel-l’ottavo centenario della sua nascita e vent’anni dopo l’apertura del Con-cilio Vaticano II (l’11 ottobre 1962), Papa Giovanni Paolo II canonizza p. Massimiliano in Piazza S. Pietro e lo proclama martire.

    1983    25 marzo: decreto che estende la memoria liturgica di S. Massimiliano alla Chiesa universale.

    1997   16 ottobre: la Santa Sede erige la “Milizia dell’Immacolata” in Associa-zione Pubblica Internazionale (Codice di Diritto Canonico, can 312) e approva i suoi Statuti Generali.

    La M.I. è presente nei cinque continenti, in 46 paesi, con 27 Centri Na-zionali e numerose Sedi canonicamente erette. Il totale dei membri iscrit-ti si avvicina ai quattro milioni.

















    APPENDICE  II°








    Maria - la Donna povera e madre dei poveri


    In uno dei suoi libri Carlos Mesters, caratterizzando la devozione mariana del popolo brasiliano, fa una bella e significativa riflessione sulla figura di Maria di Nazareth: "L'immagine della Madonna Aparecida è piccola, coperta da un manto azzurro, un manto bello e riccamente adornato. Dono del popolo. Proprio così. Perché al popolo piace adornare e arricchire quelli che ama. Ma il ricco manto ha finito per nascondere gran parte dell'immagine di Maria, immagine povera e nera. Solo se si guarda da vicino ci si accorge che, nel Brasile, Maria è nera. Il manto è bello, è buono non si può buttarlo via. Ma non ci si può dimen-ticare che l'immagine della Madonna Aparecida è nera, negrina, simile a tante negrine che si incontrano per la strada. Quello che è accaduto alla sua immagi-ne è accaduto a Maria stessa. Glorificata dal popolo e dalla Chiesa come Madre di Dio, Ella ha ricevuto un manto di gloria, dono della fede del popolo. Ma il manto di gloria ha finito per nascondere gran parte della sua somiglianza con noi. Ha fatto di lei una persona diversa, e quasi ci si dimentica che Ella fu ed è ancora una povera e semplice fanciulla del popolo. Solo guardando da vicino...ci si accorge che, nella Bibbia, Maria è povera e semplice, molto simile alla mag-gioranza del nostro popolo. La Bibbia parla pochissimo della Madonna, ma il poco che dice è molto importante. E' quanto basta perché si possa conoscere la grandezza della sua semplicità e la ricchezza della sua povertà. E' quanto basta perché si possa scoprire il suo messaggio a noi"1.

    L'osservazione dell'Autore è assai pertinente perché in effetti questo tratto della figura di Maria, così chiaramente delineato dalla Bibbia, in pratica è scom-parso dal campo visivo del popolo cristiano, non attirandone più l'attenzione. Nei secoli precedenti solo S.Francesco d’Assisi è riuscito a riscoprirlo, fino a farne la più significativa e la più originale dimensione della propria spiritualità mariana. Si tratta dell'associazione di Maria al mistero della povertà del suo Figlio.

    La Beata Vergine è vista, sentita, amata, onorata da lui quale Vergine e Madre Povera, la povera Signora2. E, come sottolinea L. Cignelli, "nessuno, né prima né dopo il Santo umbro, ha così profondamente penetrato e fatto norma di vita la povertà della Vergine"3.

    Quest'immagine della Madonna povera, ancora abbastanza rilevata nella spiritualità delle prime generazioni francescane, gradualmente impallidisce e vie-ne quasi "dimenticata" del tutto, in particolare nel campo teologico, dove l'atten-zione si concentra sulla dimensione gloriosa del mistero della Madre di Cristo. Non si vede più in Lei la serva del Signore, la donna povera, modello di povertà e di umiltà. La stessa situazione si fa notare in tutta la Chiesa4.

    Oggi, l'esegesi5, la mariologia orientata biblicamente6 e anche lo stesso Magistero7, riscoprono e mettono in rilievo la povertà, come una delle caratteri-stiche essenziali della Madre di Cristo, la quale nella sua concretezza evangelica, ci appare come una donna povera, che anzi "primeggia tra quegli umili e quei poveri del Signore che con fiducia attendono e ricevono da Lui la salvezza" (LG 55). La sua vita è contrassegnata da una duplice povertà: l’una secondo le catego-rie materiali e sociologiche e l’altra secondo le categorie spirituali, in lei armoni-camente coincidenti8. Oggi, inoltre, si coglie meglio il senso profondo della po-vertà di Maria collegandola con il mistero della ‘kenosi’, dell'abbassamento di Cristo stesso.


    1.  La povertà materiale di Maria di Nazareth.


    Prima di tutto dobbiamo osservare che l'idea di povertà nell'Antico Testa-mento è molto diversa da quella delle nostre culture moderne ed è più legata al contesto sociologico e ad una mentalità assai realistica. Però, si deve sottolineare con chiarezza che la povertà affrontata dalla Bibbia è quella reale: cioè la mancanza del necessario; la dipendenza che spesso sfocia nella schiavitù; ogni forma di "soggezione", quasi opprimente, dagli altri. Quando si parla di povertà, si fa riferimento a persona che manca di mezzi materiali, di denaro; vera insuffi-cienza di risorse, da cui deriva uno stato di soggezione, spesso totale"9. In questo senso la povertà è stata partecipata anche da Maria di Nazareth. Nel cantico del Magnificat (Lc 1,48) Ella stessa esprime la sua condizione di umiliazione, insigni-ficanza, bassezza, umiltà, miseria10.

    Parlando di Maria, dobbiamo prima di tutto essere ben coscienti che le no-stre riflessioni riguardano una donna che ha vissuto in un tempo, in uno spazio, in un contesto determinati, inserita in determinate strutture femminili, sociali, economiche, politiche e religiose.

    Quel poco che sappiamo di lei e della sua storia può quindi essere illuminato e illuminante se osserviamo più da vicino il contesto in cui ella è vissuta e se cer-chiamo di renderci conto, in tale contesto, di quale fosse il posto e il ruolo della donna. "Maria infatti, oltre e prima ancora che essere la regina gloriosa venerata dalla fede come Madre di Dio, è la donna ebrea fedele, la donna del suo popolo e del suo tempo, la donna dalle cui viscere è nato un figlio maschio al quale è stato dato il nome di Gesù"11. 

    In quanto donna, Ella è coinvolta nella generale disistima del mondo anti-co per le donne. La donna in Israele, secondo i dati pervenuti dall'Antico Testa-mento, dal punto di vista giuridico è più una cosa che una persona. Più che sposo, o padre della donna, l'uomo è il suo signore e padrone sotto quasi tutti gli aspetti (cf. Gen 3,16). Nei confronti dell'Antico Testamento, il giudaismo dei tempi succes-sivi fa ancora un passo indietro, manifestando un violento disprezzo per la don-na12. E perciò quando Paolo scrive: "Ma quando venne la pienezza del tempo Dio mandò il suo Figlio, nato da donna" (Gal 4,4), egli pone l'accento sulla fragilità della creatura umana, sulla sua bassezza e anche su ciò che lei ha di impuro (cf. Gb 14,1; 15,14) e sottolinea l’abbassamento, l'umiliazione cui si è sottoposto il Figlio di Dio facendosi uomo.

    La vita di Maria è_stata inserita tra la gente umile e povera. Ella nasce nella disprezzata regione di Galilea, a Nazareth, una borgata insignificante, che non conta nulla nella storia di Israele come appare dalla reazione spontanea di Natanaele: "Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?" (cf. Gv 1,46). Anzi la sua stessa appartenenza al popolo d'Israele, il più piccolo tra i popoli e in quel tempo sotto dominazione straniera, non era motivo di vanto né di potere.

    Che Maria di Nazareth vivesse veramente da povera ce lo mostrano i fatti riportati dagli evangelisti: viene data in sposa a Giuseppe, un umile carpentiere (cf. Lc 1,27: Mt 13,55); dà al mondo il suo figlio in una grotta/stalla di Betlemme e lo depone "in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo" (cf. Lc 2,7); nella presentazione di Gesù al Tempio fa l’offerta dei poveri, cioè due tortore, invece di un agnello (cfr. Lc 2,24); con suo Figlio deve fuggire in un paese straniero sottoponendosi a tutti i disagi dell'esilio (cf. Mt 2,13); ritornata a Nazareth, vive oscuramente per molti anni la vita dei poveri; anche durante la vita pubblica di Gesù nulla modifica la sua condizione di semplice donna del popolo, aumenta invece la sua partecipazione al mistero del "segno di contraddizione": sperimenta l'ostilità di concittadini nei confronti di Gesù.

    Come giustamente mette in rilievo S. De Fiores, tutto questo indica che “lo status” sociale di Maria era dunque basso: denotava povertà economica, as-senza di potere, insignificanza storica”13..


    2. Tra umili e poveri del Signore.


    Il fatto della povertà ha profondamente interessato e colpito gli autori della Bibbia e li ha spinti a riflessioni di notevole profondità.

    C'è in Israele un fatto sociale: l'esistenza di poveri e diseredati, comune a tutti i popoli dell'Oriente antico; ma c'è anche una problematica religiosa della povertà, che non ha riscontro nelle altre culture14.

    Secondo l’Antico Testamento gli umili e gli indigenti si trovano in un rap-porto speciale con il Signore, protettore dei poveri e degli indifesi, oltre che giu-sto retributore di chi ama gli oppressi e i miseri. Sicché la povertà incomincia ad assumere gradualmente una dimensione religiosa, tanto che in Israele viene a for-marsi via via un'autentica spiritualità propria dei poveri. I salmi ne sono la prova e la documentazione più eloquente. Molte di queste preghiere, ispirate e spesso commoventi, contengono suppliche accorate di persone umili che vivono nell'op-pressione e in ristrettezze economiche, ma confidano totalmente in Dio e in Lui solo. Si crea nel popolo d'Israele una corrente di pensiero e di vita degli anawim, cioè dei poveri di Jahvè. 

    Il nome designa una tipologia di persone le quali sono non soltanto dei deboli nel contesto sociale in cui vivono, ma soprattutto si affidano totalmente al Signore, lo invocano e attendono da Lui ogni liberazione15. La loro povertà non è tanto una condizione sociale, quanto un atteggiamento interiore di umiltà, abbandono fiducioso in Dio, rinuncia delle proprie vedute, disponibilità nel servizio di Dio,. speranza e attesa della salvezza16. E' l'atteggiamento spirituale che richiederà poi Gesù quale condizione necessaria per entrare nel regno dei cieli: "Beati i poveri in spirito" (Mt 5,3).

    Proprio in questa linea, nella quale si concentra la pietà religiosa d'Israele, viene collocata anche Maria di Nazareth. Anzi, come sottolinea il Vaticano II, Ella "primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da Lui la salvezza" (Lc 55).

    Lo attesta il cantico del Magnificat, nel quale Maria accoglie e assomma i sentimenti e le aspirazioni dei "poveri del Signore". Come giustamente sottolinea A. Gelili, "in esso udiamo la voce di una donna, che ha assimilato in misura così profonda lo spirito dei ”poveri”, che_nel momento dell’incarnazione viene ad essere la loro esponente più perfetta e più commossa"17. Maria esalta il Signore che "ha rivolto gli occhi alla bassezza della sua serva... ha rovesciato i potenti dal loro trono ed ha esaltato gli umili... ha colmato di beni gli affamati e rimandato a mani vuote i ricchi... ha soccorso Israele suo servo...come aveva promesso" (Lc 1, 48-55).

    La spiritualità dei "poveri" emerge in alcuni aspetti fondamentali della figura biblica di Maria.

    Prima di tutto la stessa Maria si autodefinisce la "serva del Signore” (Lc 1,38; 1,48). Questo termine va preso in tutto il suo vasto significato: totale, umile, fiduciosa sottomissione a Dio, adesione pienamente libera senza condizioni e riserve. Con questa parola ella esprime la sua perfetta disponibilità per svolgere il compito che le viene affidato18.

    Nel Vangelo, inoltre, Maria appare come la credente disponibile alla Paro-la annunciata (Lc. 1 .38.45); l’orante che loda Dio per le sue meraviglie e spera nel compimento delle promesse (Lc 1,45-56); la sapiente che cresce nella meditazione silenziosa degli eventi cristologici (Lc 2,19.51).

    La vita di fede di Maria non era immune da fatica e da prove dolorose, co-me evidenzia profondamente Giovanni Paolo II nell’ enciclica ‘Redemptoris Ma-ter’ (nn. 12-18). In questa sua volontà di ascoltare e praticare la parola di Dio Ella trovava non solo la sua felicità e la sua pace, ma anche la fonte della sua soffe-renza. Molta parte di ciò che Dio esigeva da lei Ella non riusciva a comprenderla pienamente. Cercava di capire, ma non sempre ci riusciva. Ella incontrava diffi-coltà nel comprendere il comportamento di Gesù (Lc. 2,50), i suoi gesti di rifiuto (Lc. 2,7), l'esilio (Mt. 2,14). In particolare, ai piedi della croce, Maria partecipa, me-diante la fede, allo sconvolgente mistero della spogliazione del suo Figlio. E’ questa forse "la più profonda 'kenosi' della fede nella storia dell'umanità" (RM 18). Dobbiamo anche aggiungere che "Maria non si aggrappa ai suoi privilegi, non rivendica una posizione di prestigio, ma sceglie come Cristo la via del servizio (Lc. 1,38). La sua umiltà fu volontaria”19.


    3. La povertà di Maria come partecipazione alla kenosi di Cristo.

    Riflettendo sulla povertà di Maria, sia di carattere economico che spiri-tuale, ci viene subito la domanda: perché Dio ha scelto per la Madre di suo Figlio una sorte terrena così dura: bassa condizione sociale, povertà, umiltà e sofferen-za? Probabilmente la questione va impostata in maniera diversa, dal momento che, proprio grazie alla sua povertà, Maria è diventata oggetto dello sguardo di Dio, il quale nel suo amore si compiace di soccorrere i poveri e gli oppressi e sceglie i suoi collaboratori tra coloro che avvertono la propria inadeguatezza di fronte alla potenza divina20. 

    Il problema della povertà di Maria trova la sua chiarificazione nel mistero di Cristo, al quale ella fu profondamente unita. 

    Maria - ci induce a riflettere il Vaticano II - "abbracciando con tutto l'animo...la volontà divina di salvezza, consacrò totalmente se stessa, quale ancella del Signore, alla persona e all'opera del Figlio suo, servendo al mistero della Reden-zione in dipendenza da lui e con lui" (LG 56).

    A partire dal mistero di Cristo, subito si vede come la povertà sia materia-le che spirituale, costituisca un tratto essenziale della sua persona. C'è in lui una strettissima congiunzione di due povertà: una povertà fisica ed una povertà spiri-tuale. Realtà che l'apostolo Paolo esprimerà così: "Apparso in forma umana, umi-liò se stesso facendosi obbediente fino alla morte ed alla morte di croce" (Fil. 2,8). Commentando questo testo, L. Grippa in modo molto franco così caratterizza la povertà di Gesù: "C'è realissima, dura e tragica una povertà fisica, materiale vissuta da Cristo. Questa si esprime anche - non v'è dubbio - nella scelta del ran-go sociale in cui si iscrive la sua famiglia: i suoi genitori sono povera gente; se non proprio dei miserabili, Giuseppe e Maria erano poveri economicamente e socialmente. La povertà di Gesù si esprime e si concretizza anche in uno stile di vita simile a quello dei poveri artigiani che vivevano a stento del proprio lavoro. Si esprime ancora nella preferenza data ai poveri ai sofferenti, ai peccatori. Certo Gesù è nato da poveri, è nato povero (cf. Betlemme), è vissuto nella pover-tà e venuto incontro - come consolatore e come taumaturgo - ad ogni forma di povertà; ha evangelizzato i poveri, soprattutto e li ha detti 'beati'. Sì questo è verissimo. Ma è sulla croce che Gesù esperimenta fino in fondo il mistero della kenosi, della povertà fisica...una povertà estrema, totale, tragica... Ma questa tragica solitudine, questa radicale povertà fisico-materiale è comandata ed illu-minata dalla povertà spirituale, la 'povertà di cuore' che caratterizzò quei 'poveri di spirito'..."21.

    Il profeta di Nazareth non solo praticava radicalmente la povertà, distacca-to da tutti i beni terreni ma viveva nell'atteggiamento religioso dei poveri di Jahvè, abbandonandosi completamente all'amore del Padre, affidandoGli tutta la sua persona, tutta la sua vita, fino al gesto estremo del grido sulla croce nel mo-mento della sua morte: "Padre, nelle tue mani affido il mio spirito" (cf. Lc 23,46). Nelle ore della passione il Cristo si presenta realmente come il povero abbando-nato totalmente nelle mani di Dio. La morte in croce è il culmine della kenosi. E' mistero di povertà, perché rappresenta il limite massimo di spogliazione dello splendore e delle prerogative divine, e perché realizza la comunione più totale con la miseria degli uomini. Morire è già comunicare alla povertà umana; ma la morte di Gesù assume la forma più intensa della miseria e dell'abiezione22.

    Il Concilio Vaticano insegna che "Cristo ha compiuto la redenzione attra-verso la povertà e le persecuzioni" (LG 8). Lo stesso ripete il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica (n. 517). Rilevando il senso cristologico della povertà, il Vaticano II si ispira soprattutto a due testi di S. Paolo. Il primo (2 Cor 8,3) presenta Cristo-Salvatore, che si fa "povero", per "arricchire" gli uomini con la sua po-vertà. A questo si può accostare Fil. 2,5s. il quale sintetizza in modo poetico tutto il mistero della salvezza, operata da Cristo, come un cammino di povertà dalla spogliazione della natura divina per assumere la condizione di schiavo, facendosi uomo e annichilendosi fino all'umiliazione suprema della crocifissione. In tale prospettiva l'incarnazione e la redenzione formano lo stato di povertà radicale che potremmo chiamare "metafisica" o "sostanziale", perché tocca l'essenza o la natura del Figlio di Dio.

    Il Messia, povero e profeta dei miseri e degli umili, ha scelto di prendere carne umana da una madre povera, anzi dalla povera del Signore per eccellenza. Maria, come Vergine e Madre povera, è stata chiamata da Dio a partecipare alla sua iniziativa salvifica verso l’umanità con la condivisione concreta della pover-tà, dell’umiltà, dello spogliamento kenotico abbracciati dal Figlio. In questo mo-do la "Serva del Signore" con la sua povertà partecipa all'opera della Redenzio-ne23.

    La povertà nel mondo attuale rappresenta un enorme e tragico fatto socia-le; è la prima volta nella storia che l'umanità percepisce questo fenomeno in termini mondiali, oggetto di interessi e tensioni da parte di molte forze politiche, sindacali ed economiche. Anzi oggi si vede in esso un segno dei tempi, cioè un modo con cui Dio vuole interpellare il suo popolo24. 

    E perciò la Chiesa di oggi sempre di più si rende conto che i poveri sono oggetto di un amore di preferenza da parte sua. "L'amore della Chiesa per i poveri... appartiene alla sua costante tradizione. Si ispira al Vangelo delle Beatitudini, alla povertà di Cristo e alla sua attenzione per i poveri. L'amore per i poveri è anche una delle motivazioni del dovere di lavorare per far parte dei beni 'a chi si trova in necessità' (Ef 4,28). Tale amore per i poveri non riguarda soltanto la povertà materiale ma anche le numerose forme di povertà culturale e religiosa"25.

    In questa prospettiva, la figura evangelica di Maria, "donna povera", con-tiene in sé un pressante invito a compiere una chiara opzione in favore dei poveri e a porre in atto un serio sforzo per vivere una vita sobria, libera da possessi e da poteri, partecipe dei disagi di una effettiva povertà. Come mette in rilievo Giovanni Paolo II:

    "Seguendo colui che disse di sé: '(Dio) mi ha mandato per annunciare ai poveri il lieto messaggio' (cfr. Lc 4.18), la Chiesa ha cercato di generazione in genera-zione e cerca anche oggi di compiere la stessa missione.

    Il suo amore di preferenza per i poveri è iscritto mirabilmente nel Magnificat di Maria. Il Dio di Maria, cantato nell'esultanza del suo spirito dalla Vergine di Nazareth, è insieme Colui che «rovescia i potenti dai troni e innalza gli umi-li,...ricolma di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote,... disperde i su-perbi... e conserva la sua misericordia per coloro che lo temono» (cfr. Lc. 1,50-53). Maria è profondamente permeata dello spirito dei «poveri di Jahvè», che nella preghiera dei Salmi attendevano da Dio la loro salvezza, riponendo in lui ogni fiducia (cf. Sal 25: 31: 35: 55). Ella, invero, proclama l'avvento del mistero della salvezza, la venuta del «Messia dei poveri» (cf. Is 11.4: 61.1). Attingendo dal cuore di Maria, dalla profondità della sua fede, espressa nelle parole del Magnificat, la Chiesa rinnova sempre meglio in sé la consapevolezza che non si può separa-re la verità su Dio che salva, su Dio che è fonte di ogni elargizione, dalla mani-festazione del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili, il quale, cantato nel Magnificat, si trova poi espresso nelle parole e nelle opere di Gesù" (Rm. 37).

    Possiamo concludere riprendendo il suggerimento molto attuale dei Servi di Maria: "Il culto della beata Vergine, se si vuole che non si perda nell'astrat-tezza o sia confinato in dimensioni puramente individuali, deve essere permeato dai contenuti del messaggio evangelico sulla povertà... Deve essere occasione per predicare a coloro che sono sociologicamente ricchi e a coloro che sono sociologicamente poveri l'unico evangelium paupertatis, cioè la subordinazione dei beni di questo mondo ai valori del regno e la loro primordiale destinazione al servizio e alla promozione dell'uomo; deve essere momento cultuale per l'annuncio del messaggio del Magnificat e delle Beatitudini"26-.

    Maurizio Wszolek OFMConv.


    1 C. MESTERS, Maria la Madre di Gesù, Cittadella Editrice Assisi 1983 pp. 14-15.

    2.  Cf. G. IAMMARRONE, La spiritualità francescana. Anima e contenuti fondamentali, Ed. Messaggero, Padova 1993. pp. 97-102.

    3. L. CIGNELLI, Maria nella famiglia dei poveri, Ed. Porziuncola, Assisi 1969 p. 125.

    4. Cf. G. IAMMARRONE, op. cit.. p. 102-106.

    5. Cf. A. GELIN, Lespauvres de Yahvé, Cerf., Paris 1953.

    6. Cf. E.G. MORI, Figlia di Sion e serva del Signore, EDB, Bologna 1988; E. Peretto. Povera, in NDM, pp. 1129-1137.

    7. Per. es.LG, 55;MC. 37.

    8 S. DE FIORES, Maria Madre di Gesù, EDB. Bologna, pp. 218-220.

    9. Cf. E.G. MORI, op. cit., pp. 266-267.

    10. Il termine “tapeinosis” viene spiegato dagli esegeti come "umiliazione" (S.Lyonnet) o "insignificanza/anonimato". Cf. A. VALENTINI, Il Magnificat. Genere letterario, struttura, esegesi, EDB, Bologna 19.87, pp. 144-148.

    11.I. GEBALA-M.C. BINGEMER, Maria Madre di Dio e Madre dei poveri, Assisi 1989,pp.61-62.

    12. cf.Ivi, p. 63.

    13. S. DE FIORES, op. cit., p. 218.

    14. Cf. E.G. MORI, op. cit., p. 257.

    15. Cf. S.A. PANIMOLLE, Povertà, in NDTB, pp. 1209-1210.

    16 . Cf. S. DE FIORES. Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa, Ed. Monfortane 1984,.pp.52.

    17. A. GELIN, op. cit., p. 125.

    18. Cf. C.I. CONZALEZ, Mariologia. Maria, Madre e Discepola, Ed. Piemme, Casale Monferrato 1988, p. 62; E. PERETTO, Serva, in NDM, pp. 1286-1287.

    19. S. DE FIORES, op. cit., p. 219.

    20. Cf. Ivi.

    21. Cf. L. CRIPPA, Povertà amata povertà beata, Ed. Ancora, Milano 1989, pp. 41-42.

    22 Cf. E:G: MORI, op. cit., p. 321-364; L. CRIPPA, op. cit., p. 39-44.

    23.Cf. E.G. MORI, op. cit., p. 365; S. DE FIORES, Mariologia, in NDT, p. 863.

    24.Cf. E.G. MORI, op. cit., p 311.

    25.Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2444.

    26. CAPITOLO GENERALE DELL'ORDINE DEI SERVI DI MARIA, Fate quello che vi dirà. Riflessioni e proposte per la promozione della pietà mariana, Editrice Elle Di Ci, Torino 1985, p. 71.














    APPENDICE  III°






    Alcuni testi di approfondimento sulla santità

    Dalla Christifideles Laici:  Partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Gesù Cristo

    14. Rivolgendosi ai battezzati come a «bambini appena nati», l'apostolo Pietro scrive: «Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo... Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce...» (lPt 2,4-5.9).

    Ecco un nuovo aspetto della grazia e della dignità battesi male: i fedeli laici parte-cipano, per la loro parte, al triplice ufficio - sacerdotale, profetico e regale - di Gesù Cristo. È questo un aspetto non mai dimenticato dalla tradizione viva della chiesa, come appare, ad esempio, dalla spiegazione che del salmo 26 offre sant'Agostino. Scrive: «Davide fu unto re. A quel tempo si ungevano solo il re e il sacerdote. In queste due persone era prefigurato il futuro unico re e sacerdote, Cristo (e perciò "Cristo" viene da "crisma"). Non solo però è stato unto il nostro capo, ma siamo stati unti anche noi, suo corpo... Perciò l'unzione spetta a tutti i cristiani, mentre al tempo dell'Antico Testamento apparteneva a due sole persone. Appare chiaro che noi siamo il corpo di Cristo dal fatto che siamo tutti unti e tutti in lui siamo cristi e Cristo, perché in certo modo la testa e il corpo formano il Cristo nella sua integrità».

    Nella scia del concilio Vaticano II, sin dall'inizio del mio servizio pastorale, ho inteso esaltare la dignità sacerdotale, profetica e regale dell'intero popolo di Dio dicendo: «Colui che è nato dalla vergine Maria, il figlio del falegname -come si riteneva - il Figlio del Dio vivente, come ha confessato Pietro, è venuto per fare di tutti noi "un regno di sacerdoti". Il concilio Vaticano II ci ha ricordato il mistero di questa potestà e il fatto che la missione di Cristo - sacerdote, profeta-maestro, re - continua nella chiesa. Tutti, tutto il popolo di Dio è partecipe di questa triplice missione».

    Con questa esortazione i fedeli laici sono invitati ancora una volta a rileggere, a meditare e ad assimilare con intelligenza e con amore il ricco e fecondo insegnamento del concilio circa la loro partecipazione al triplice ufficio di Cristo. Ecco ora in sintesi gli elementi essenziali di questo insegnamento.

    I fedeli laici sono partecipi dell'ufficio sacerdotale, per il quale Gesù ha offerto se stesso sulla croce e continuamente si offre nella celebrazione eucaristica a gloria del Padre per la salvezza dell'umanità. Incorporati a Gesù Cristo, i battezzati  sono uniti a lui e al suo sacrificio nell'offerta di se stessi e di tutte le loro attività (cf. Rm 12,1-2). Parlando dei fedeli laici il concilio dice: «Tutte le loro opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sol-lievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie della vita se sono sopportate con pazienza, diventano spirituali sacrifici graditi a Dio per Gesù Cristo (cf. IPt 2,5), i quali nella celebrazione dell'eucaristia sono piissi-mamente offerti al Padre insieme all'oblazione del corpo del signore. Così anche i laici, operando santamente dappertutto) come adoratori, consacrano a Dio il mondo stesso».

    La partecipazione all'ufficio profetico di Cristo, «il quale e con la testimonianza della vita e con la virtù della parola ha proclamato il regno del Padre», abilita e impegna i fedeli laici ad accogliere nella fede il Vangelo e ad annunciarlo con la parola e con le opere non esitando a denunciare coraggiosamente il male. Uniti a Cristo, il «grande profeta» (Lc 7,16), e costituiti nello Spirito «testimoni» di Cristo risorto, i fedeli laici sono resi partecipi sia del senso di fede soprannaturale della chiesa che «non può sbagliarsi nel credere» sia della grazia della parola (cf. At 2,17-18; Ap 19,10); sono altresì chiamati a far risplendere la novità e la forza del Vangelo nella loro vita quotidiana, familiare e sociale, come pure ad esprimere, con pazienza e coraggio, nelle contraddizioni dell'epoca presente la loro speranza nella gloria «anche attraverso le strutture della vita secolare».

    Per la loro appartenenza a Cristo signore e re dell'universo i fedeli laici parteci-pano al suo ufficio regale e sono da lui chiamati al servizio del regno di Dio e alla sua diffusione nella storia. Essi vivono la regalità cristiana, anzitutto mediante il combattimento spirituale per vincere in se stessi il regno del peccato (cf. Rm 6,12), e poi mediante il dono di sé per servire, nella carità e nella giustizia, Gesù stesso presen-te in tutti i suoi fratelli, soprattutto nei più piccoli (cf. Mt 25,40).

    Ma i fedeli laici sono chiamati in particolare a ridare alla creazione tutto il suo originario valore. Nell'ordinare il creato al vero bene dell'uomo con un'attività sorretta dalla vita di grazia, essi partecipano all'esercizio del potere con cui Gesù risorto attrae a sé tutte le cose e le sottomette, con se stesso, al Padre, così che Dio sia tutto in tutti (cf. Gv 12,32; ICor 15,28). La partecipazione dei fedeli laici al triplice ufficio di Cristo sacerdote, profeta e re trova la sua radice prima nell'unzione del battesi-mo, il suo sviluppo nella confermazione e il suo compimento e sostegno dinamico nell'eucaristia. È una partecipazione donata ai singoli fedeli laici, ma in quanto formano l’unico corpo del Signore. Infatti, Gesù arricchisce dei suoi doni la chiesa stessa, quale suo corpo e sua sposa. In tal modo i singoli sono partecipi del triplice ufficio di Cristo in quanto membra della chiesa, come chiaramente insegna l'apostolo Pietro, che definisce i battezzati come «la stirpe eletta, il sacerdozio rega-le, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato» (lPt 2,9). Proprio perché deriva dalla comunione ecclesiale, la partecipazione dei fedeli laici al triplice ufficio di Cristo esige d'essere vissuta e attuata nella comunione e per la crescita della comu-nione stessa. Scriveva sant'Agostino: «Come chiamiamo tutti cristiani in forza del mistico crisma, così chiamiamo tutti sacerdoti perché sono membra dell'unico sacerdote».

    I fedeli laici e l'indole secolare

    15. La «novità» cristiana è il fondamento e il titolo dell'eguaglianza di tutti i battezzati in Cristo, di tutti i membri del popolo di Dio: «Comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione, una sola salvezza, una sola speranza e indivisa carità». In forza della comune dignità battesimale il fedele laico è corresponsabile, insieme con i ministri ordinati e con i religiosi e le religiose, della missione della chiesa.

    Ma la comune dignità battesimale assume nel fedele laico una modalità che lo distingue, senza però separarlo, dal presbitero, dal religioso e dalla religiosa. Il concilio Vaticano II ha indicato questa modalità nell'indole secolare: «L'indole secolare è propria e peculiare dei laici».

    Proprio per cogliere in modo completo, adeguato e specifico la condizione ecclesiale del fedele laico è necessario approfondire la portata teologica dell'indole secolare alla luce del disegno salvifico di Dio e del mistero della chiesa.

    Come diceva Paolo VI°, la chiesa «ha un'autentica dimensione secolare, inerente alla sua intima natura e missione, la cui radice affonda nel mistero del Verbo incarnato, e che è realizzata in forme diverse per i suoi membri».

    La chiesa, infatti, vive nel mondo anche se non è del mondo (cf. Gv 17,16) ed è mandata a continuare l'opera redentrice di Gesù Cristo, la quale «mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure la instaurazione di tutto l'ordine temporale».

    Certamente tutti i membri della chiesa sono partecipi della sua dimensione seco-lare; ma lo sono informe diverse. In particolare la partecipazione dei fedeli laici ha una sua modalità di attuazione e di funzione che, secondo il concilio, è loro «propria e peculiare»: tale modalità viene designata con l'espressione «indole secola-re».

    In realtà il concilio descrive la condizione secolare dei fedeli laici indicandola, anzitutto, come il luogo nel quale viene loro rivolta la chiamata di Dio: «Ivi sono da Dio chiamati». Si tratta di un «luogo» presentato in termini dinamici: i fedeli laici «vivono nel secolo, cioè implicati in tutti e singoli gli impieghi e gli affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta». Essi sono persone che vivono la vita normale nel mondo, studiano, lavorano, stabiliscono rapporti amicali, sociali, professionali, culturali, ecc. Il concilio considera la loro condizione non semplicemente come un dato esteriore e ambientale, bensì come una realtà destinata a trovare in Gesù Cristo la pienezza del suo significato. Anzi afferma che «lo stesso Verbo in carnato volle essere partecipe della convivenza umana... Santificò le relazioni umane, innanzitutto quelle familia-ri, dalle quali traggono origine i rapporti sociali, volontariamente sottomettendosi alle leggi della sua patria. Volle condurre la vita di un lavoratore del suo tempo e della sua regione».

    Il «mondo» diventa così l'ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici, perché esso stesso è destinato a glorificare Dio Padre in Cristo. Il concilio può allora indicare il senso proprio e peculiare della vocazione divina rivolta ai fedeli laici. Non sono chiamati ad abbandonare la posizione ch'essi hanno nel mondo. Il battesimo non li toglie affatto dal mondo, come rileva l'apostolo Paolo: «Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chia-mato» (ICor 7,24); ma affida loro una vocazione che riguarda proprio la situazione intramondana: i fedeli laici, infatti, «sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dal-l'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l'esercizio della loro funzione propria e sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo mo-do a rendere visibile Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro vita e con il fulgore della fede, della speranza e della carità». Così l'essere e l'agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo antropologica e sociologica, ma an-che e specificamente teologica ed ecclesiale. Nella loro situazione intramondana, in-fatti, Dio manifesta il suo disegno e comunica la particolare vocazione di «cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio».

    Proprio in questa prospettiva i padri sinodali hanno detto: «L'indole secolare del fedele laico non è quindi da definirsi soltanto in senso sociologico, ma soprattutto in senso teologico. La caratteristica secolare va intesa alla luce dell'atto creativo e redentivo di Dio, che ha affidato il mondo agli uomini e alle donne, perché essi partecipino all'opera della creazione, liberino la creazione stessa dall'influsso del peccato e santifichino se stessi nel matrimonio o nella vita celibe, nella famiglia, nella professione e nelle varie attività sociali».

    La condizione ecclesiale dei fedeli laici viene radicalmente definita dalla loro no-vità cristiana e caratterizzata dalla loro indole secolare.

    Le immagini evangeliche del sale, della luce e del lievito, pur riguardando indistintamente tutti i discepoli di Gesù, trovano una specifica applicazione ai fedeli laici. Sono immagini splendidamente significative, perché dicono non solo l'inserimento profondo e la partecipazione piena dei fedeli laici nella terra, nel mondo, nella comunità umana; ma anche e soprattutto la novità e l'originalità di un inseri-mento e di una partecipazione destinati alla diffusione del Vangelo che salva.

    Chiamati alla santità

    16. La dignità dei fedeli laici ci si rivela in pienezza se consideriamo la prima e fondamentale vocazione che il Padre in Gesù Cristo per mezzo dello Spirito rivolge a ciascuno di loro: la vocazione alla santità, ossia alla perfezione della carità. Il san-to è la testimonianza più splendida della dignità conferita al discepolo di Cristo.

    Sull'universale vocazione alla santità ha avuto parole luminosissime il concilio Vaticano II. Si può dire che proprio questa sia stata la consegna primaria affidata a tutti i figli e le figlie della chiesa da un concilio voluto per il rinnovamento evangelico della vita cristiana. Questa consegna non è una semplice esortazione morale, bensì un'insopprimibile esigenza del mistero della chiesa: essa è la vigna scelta, per mezzo della quale i tralci vivono e crescono con la stessa linfa santa e santificante di Cristo; è il corpo mistico, le cui membra partecipano della stessa vita di santità del capo che è Cristo; è la sposa amata dal Signore Gesù, che ha consegnato se stes-so per santificarla (cf. Ef 5,25ss). Lo Spirito che santificò la natura umana di Gesù nel seno verginale di Maria (cf. Le 1,35) è lo stesso Spirito che è dimorante e operante nella chiesa al fine di comunicarle la santità del Figlio di Dio fatto uomo.

    È quanto mai urgente che oggi tutti i cristiani riprendano il cammino del rinnova-mento evangelico, accogliendo con generosità l'invito apostolico ad «essere santi in tutta la condotta» (lPt 1,15). Il sinodo straordinario del 1985, a vent'anni dalla conclu-sione del concilio, ha opportunamente insistito su questa urgenza: «Poiché la chie-sa in Cristo è mistero, deve essere considerata segno e strumento di santità... I san-ti e le sante sempre sono stati fonte e origine di rinnovamento nelle più difficili cir-costanze in tutta la storia della chiesa. Oggi abbiamo grandissimo bisogno di santi, che dobbiamo implorare da Dio con assiduità».

    Tutti nella chiesa, proprio perché ne sono membri, ricevono e quindi condivi-dono la comune vocazione alla santità. A pieno titolo, senz'alcuna differenza dagli altri membri della chiesa, ad essa sono chiamati i fedeli laici: «Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfe-zione della carità»; «Tutti i fedeli sono invitati e tenuti a tendere alla santità e alla perfezione del proprio stato».

    La vocazione alla santità affonda le sue radici nel battesimo e viene riproposta dagli altri sacramenti, principalmente dall’Eucaristia: rivestiti di Gesù Cristo e ab-beverati dal suo Spirito, i cristiani sono «santi» e sono, perciò, abilitati e impegnati a manifestare la santità del loro essere nella santità di tutto il loro operare. L'apo-stolo Paolo non si stanca di ammonire tutti i cristiani perché vivano «come si addice a santi» (Ef 5,3).

    La vita secondo lo Spirito, il cui frutto è la santificazione (cf. Rm 6,22; Gai 5,22), suscita ed esige da tutti e da ciascun battezzato la sequela e l'imitazione di Gesù Cristo, nell'accoglienza delle sue beatitudini, nell'ascolto e nella meditazione della parola di Dio, nella consapevole e attiva partecipazione alla vita liturgica e sacramentale della chiesa, nella preghiera individuale, familiare e comunitaria, nella fame e nella sete di giustizia, nella pratica del comandamento dell'amore in tutte le circostanze della vita e nel servizio ai fratelli, specialmente se piccoli, poveri e sofferenti.

    Santificarsi nel mondo

    17. La vocazione dei fedeli laici alla santità comporta che la vita secondo lo Spirito si esprima in modo peculiare nel loro inserimento nelle realtà temporali e nella loro partecipazione alle attività terrene. È ancora l'apostolo ad ammo-nirci: «Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre» (Col 3,17). Riferendo le parole dell'apostolo ai fedeli laici il concilio afferma categoricamente: «Né la cura della famiglia né gli altri impegni secolari devono essere estranei all'o-rientamento spirituale della vita». A loro volta i padri sinodali hanno detto: «L'u-nità della vita dei fedeli laici è di grandissima importanza: essi, infatti, debbo-no santificarsi nell'ordinaria vita professionale e sociale. Perché possano ri-spondere alla loro vocazione, dunque, i fedeli laici debbono guardare alle attivi-tà della vita quotidiana come occasione di unione con Dio e di compimento del-la sua volontà, e anche di servizio agli altri uomini, portandoli alla comunio-ne con Dio in Cristo».

    La vocazione alla santità deve essere percepita e vissuta dai fedeli laici, pri-ma che come obbligo esigente e irrinunciabile, come segno luminoso dell'infi-nito amore del Padre che li ha rigenerati alla sua vita di santità. Tale vocazione, allora, deve dirsi una componente essenziale e inseparabile della nuova vita bat-tesimale, e pertanto un elemento costitutivo della loro dignità. Nello stesso tempo la vocazione alla santità è intimamente connessa con la missione e con la responsabilità affidate ai fedeli laici nella chiesa e nel mondo. Infatti, già la stessa santità vissuta, che deriva dalla partecipazione alla vita di santità della chiesa, rappresenta il primo e fondamentale contributo all'edificazione della chiesa stessa, quale «comunione dei santi». Agli occhi illuminati dalla fede si spalanca uno scenario meraviglioso: quello di tantissimi fedeli laici, uomini e donne, che proprio nella vita e nelle attività d'ogni giorno, spesso inosservati o addirittura incompresi, sconosciuti ai grandi della terra ma guardati con amore dal Padre, sono gli operai instancabili che lavorano nella vigna del Signore, sono gli artefici umili e grandi - certo per la potenza della grazia di Dio - della crescita del regno di Dio nella storia.

    La santità, poi, deve dirsi un fondamentale presupposto e una condizione del tutto insostituibile per il compiersi della missione di salvezza nella chiesa. È la santità della chiesa la sorgente segreta e la misura infallibile della sua operosità apostolica e del suo slancio missionario. Solo nella misura in cui la chiesa, sposa di Cristo, si lascia amare da lui e lo riama, essa diventa madre feconda nello Spirito.

    Riprendiamo di nuovo l'immagine biblica della vite e i tralci: lo sbocciare e l'espandersi dei tralci dipendono dal loro inserimento nella vite. «Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15,4-5).

    È naturale qui ricordare la solenne proclamazione di fedeli laici, uomini e donne, come beati e santi, avvenuta durante il mese del sinodo. L'intero popolo di Dio, e i fedeli laici in particolare, possono trovare ora nuovi modelli di santità e nuove testimonianze di virtù eroiche vissute nelle condizioni comuni e ordinarie dell'esistenza umana. Come hanno detto i padri sinodali: «Le chiese locali e soprattutto le cosiddette chiese più giovani debbono riconoscere attentamente fra i propri membri quegli uomini e quelle donne che hanno offerto in tali condizioni (le condizioni quotidiane del mondo e lo stato coniugale) la testimonianza della santità e che possono essere di esempio agli altri affinché, se si dia il caso, li propongano per la beatificazione e la canonizzazione».

    Al termine di queste riflessioni, destinate a definire la condizione ecclesiale del fedele laico, ritorna alla mente il celebre monito di san Leone Magno: «Riconosci, o cristiano, la tua dignità». È lo stesso monito di san Massimo, vescovo di Torino, rivolto a quanti avevano ricevuto l'unzione del santo battesimo: «Considerate l'onore che vi è fatto in questo mistero!». Tutti i battezzati sono invitati a riascoltare le parole di sant'Agostino: «Rallegriamoci e ringraziamo: siamo diventati non solo cristiani, ma Cristo... Stupite e gioite: Cristo siamo diventati!»

    La dignità cristiana, fonte dell'eguaglianza di tutti i membri della chiesa, garantisce e promuove lo spirito di comunione e di fraternità, e, nello stesso tempo, diventa il segreto e la forza del dinamismo apostolico e missionario dei fedeli laici. È una dignità esigente, la dignità degli operai chiamati dal Signore a lavorare nella sua vigna: «Grava su tutti i laici - leggiamo nel concilio - il glorioso peso di lavorare, perché il divino disegno di salvezza raggiunga ogni giorno di più tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutta la terra».

    Questi testi trovano il loro corrispondente, al quale il Papa si rifà continuamente nella Lumen Gentium  nn.34, 35, 36, 39, 40, 41, 42. ai quali anch’io rimando.

  • INTRODUZIONE p. 5


    PREMESSA p. 7

    *Considerazioni introduttive p. 7

    *Elenco e natura singole sezioni p. 10


    1. ORIGINI della M.I. *La Polonia p. 16

    *La famiglia p. 18

    *L’Ordine p. 22

    *La formazione nell’Ordine p. 23

    *La città di Roma p. 25

    *Circostanze prossime p. 27

    *Inizio della M.I. p. 32

    *La M.I. approvata p. 44


    2. NATURA della M.I. p. 47

    *Considerazioni introduttive p. 48

    *La visione francescana di Maria p. 54

    - Maria e la Trinità p. 54

    - Maria e la Chiesa p. 56

    - Maria la Poverella p. 57

    *La Tesi dell’Immacolata p. 59

    *La visione di p. Kolbe p. 64

    - Immacolata e piano di Dio p. 67

    - Il nome Immacolata p. 69

    - Azione di Dio e risposta 

    dell’Immacolata p. 71

    - L’Immacolata e lo Spirito Santo p. 75

    - La maternità di Maria p. 82

    - La presenza di Maria nella Chiesa p. 86

    - La mediazione di Maria p. 89

    - Alcune considerazioni p. 96

    *La M.I.: aspetto giuridico p. 98


    3. CONDIZIONI della M.I. *Consacrazione p. 102

    - Concetto di consacrazione p. 103

    - Excursus storico p. 107

    - Contenuto odierno della consacrazione p. 118

    - Consacrazione in S. Massimiliano p. 123

    - Indicazioni per oggi p. 129

    *La Medaglia miracolosa p. 145


    4. FINALITA’ della  M.I. p. 159

    *La conversione dei peccatori p. 160

    *La santificazione di tutti p. 165

    *La gloria dell’Immacolata p. 166


    5. MEZZI  della M.I. p. 171

    *Mezzi soprannaturali p. 173

    *Mezzi naturali p. 178


    6. ORGANIZZAZIONE della M.I. p. 185

    *La M.I. 1 p. 186

    *La M.I. 2 p. 187

    *La M.I. 3 p. 189


    NOTE p. 193


    BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE p. 198


    APPENDICE I° (cronologia di p. Kolbe) p. 199


    APPENDICE  II° (Maria Donna povera) p. 209


    APPENDICE III° (testi santità) p. 218


    INDICE p. 228